sabato 26 aprile 2008

Il primato della carità (1)

La carità non è virtù accanto alle altre ma presiede le altre.
Le compete il compito di unificare la legge, gli atti e gli atteggiamenti morali.
E’ stato Gesù stesso a stabilire ciò rispondendo alla questione sollevata dal dottore della legge sul primo e più grande dei comandamenti.
Egli la risolve attribuendo priorità assoluta al comandamento dell'amore di Dio inseparabilmente unito a quello dell'amore del prossimo (cf Mt 22,34‑40; Mc 12,28‑34).
Ora «da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti» (Mt 22,40); «non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,31).
Questo insegnamento di Gesù è, negli scritto apostolici, alla base della costante unificazione nella carità di tutta la morale.
Come abbiamo notato, la trattazione avviene quasi esclusivamente sull'amore del prossimo, ma questo non separato dall'amore di Dio.
Il primato dell'amore del prossimo è semplicemente il primato della carità. Paolo infatti afferma: «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: "Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare" e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". L'amore non fa alcun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore» (Rm 13,8‑10).
La carità, inoltre, è a fondamento della libertà morale del cristiano: «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: "amerai il prossimo tuo come te stesso"» (Gal 5,13‑14).
«In Cristo Gesù, infatti, aveva detto poco prima l'Apostolo, conta... la fede operante nella carità» (Gal 5,6).
La libertà dell'uomo nuovo non è il libero arbitrio dell'uomo vecchio, ma libertà nella carità.
In Col 3,12ss Paolo conclude l'elenco delle virtù che i cristiani devono praticare come propri dell'uomo nuovo, esortando a porre «al di sopra di tutto la carità, che è il vincolo della perfezione» (Col 3,14)
La carità è la eminente virtù che «come il mantello copre tutti gli altri e li mantiene uniti»[1].
La carità «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7): «è davvero un coefficiente che moltiplica tutto»[2].
Comprendiamo, allora, la concentrazione nella carità di tutta la vita morale: «tutto si faccia tra voi nella carità» (1Cor 16,21); «comportatevi secondo carità» (Rm 14,15); «camminate nella carità» (Ef 5,2); semplicemente «ricercate la carità» (1Cor 14,1).
Essa è «la via migliore di tutte» (1Cor 12,31) e senza di essa non si ha niente, non giova niente, non si è niente (1Cor 13,1‑3).
In Giovanni la carità diventa il comandamento, che «unisce in uno stesso legame religioso Dio, il Cristo, il prossimo; l'anello d'oro dell'amore»[3]: «Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri» (1Gv 3,23; cfr. 3,11; 4,21; 5,1; 2Gv 6).
Parimenti in Pietro: «Soprattutto conservate tra voi una grande carità» (1Pt 4,8).
Giuda conferma: «Conservatevi nella carità di Dio... per la vita eterna» (Gd 21).
La carità deriva questo primato unificatore di tutta la legge e le virtù morali dall'oggetto e fine suo proprio che intenziona e muove la volontà del soggetto agente.
Tale oggetto e fine è Dio, il sommo bene voluto dall'uomo, che suscita la massima benevolenza dell'amore. Esso muove unitariamente e globalmente la libertà dell'uomo, così che ogni altro bene è tale ed è oggetto di benevolenza in quanto sua espressione e riflesso.
Ciò implica una determinazione oggettiva di tutto il bene morale e soggettiva di tutto l'agire morale, rispettivamente come espressione e attuazione della carità.
Tutto il bene è nella luce della carità: quello effettivamente deliberato e compiuto.
Dio costituisce, in forza del battesimo, il cristiano in comunione trinitaria.
In altre parole la libertà cristiana è interamente assorbita e polarizzata dall'amore di Dio. Essa, cioè, esprime unicamente e unitariamente la volontà di carità come comunione in atto con Dio.
Se l'uomo coincide con la sua libertà e questa è costituita dalla carità di Dio, allora la carità informa e muove tutta la libertà dell’uomo.
In questo modo tutto l'agire morale del cristiano esprime la carità e non può darsi bene e atteggiamento morale, come sostiene l'Apostolo in 1Cor 13,1‑3, senza la carità.
Analizziamo più da vicino quanto abbiamo enunciato.
Prima ancora che esprimersi in gesti categoriali, la libertà esprime fondamentalmente tensione al tutto, tensione realizzante la persona in quanto tale.
Si tratta della tensione alla realizzazione e compimento di sé in relazione al fine ultimo e sommo bene.
Questa è la libertà fondamentale o ontologica, l'atto globale con cui uno si realizza pienamente e che si determina, poi, in singoli atti parziali o categoriali[4].
[1] FITZMEYER J.A., La lettera ai Colossesi, in Grande commentario biblico, op. cit., p. 1270. «È possibile che Paolo si richiami qui al discorso della montagna: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,48), dove il grande amore universale di Dio è il supremo modello per l'uomo» (Ivi).
[2] VANNI U., Un inno all'amore che è anche una via (l Cor 13), in Amerai Dio e il prossimo tuo, op. cit., p. 192.
[3] SPICQ C., Charité et liberté, op. cit., p. 43.
[4] Cf RAHNER K., Il comandamento dell'amore fra gli altri comandamenti, in Saggi di spiritualità, Roma 1965, p. 390.

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