1. Introduzione
Dopo aver studiato il fondamento biblico è bene ora soffermarci sui fondamenti storici della morale. Vogliamo, cioè tracciare le linee fondamentali della storia della morale.
La storia della teologia morale è una disciplina relativamente giovane. E’ nata dopo la seconda guerra mondiale.
Lo spazio logico della nuova disciplina sgorga da una duplice consapevolezza:
- L’essenziale storicità dell’uomo, che costituisce uno dei parametri fondamentali dell’auto-comprensione dell’uomo odierno. Questo discorso ha coinvolto necessariamente anche il discorso teologico. L’incontro fra coscienza storica e discorso teologico ha costretto la teologia, non tanto a rivedere le sue posizioni su alcuni punti marginali, ma a porsi il problema della sua identità epistemologica. Anche la storia della teologia morale deve fare i conti con la cosiddetta "svolta antropologica".
- La seconda consapevolezza è data dal faticoso cammino della identificazione del suo statuto epistemologico. Visto che la teologia morale è la teoria critica della prassi cristiana, cioè ha il compito di svolgere una adeguata analisi ermeneutica, cercando di scoprire il significato ultimo della prassi cristiana in obbedienza al kerigma, ne segue che deve verificare le radici storiche o la genesi della vita cristiana.
La ricerca storica ha origine nel momento stesso in cui il teologo morale interpreta il suo lavoro come servizio alla comunità cristiana, per aiutarla a fare un sereno discernimento sulla sua eventuale coerenza o incoerenza al kerigma apostolico.
«La conoscenza della storia ci apre la strada di un sano relativismo, ma è al contrario un mezzo per essere e considerarsi con maggiore verità e, vedendo la relatività di quanto è effettivamente relativo, per conferire la qualità di assoluto solo a ciò che lo è veramente. Grazie alla storia, percepiamo l’esatta proporzione delle cose, evitiamo di considerare "tradizione" quello che è nato l’altro ieri e che nel corso del tempo è cambiato più di una volta»[1].
2. Preliminari
La scansione storica che adotto in questo beve trattato di storia della teologia morale è quella consueta:
- Morale dei padri,
- Morale dei teologi medioevali,
- Morale casitica
- Morale del neotomismo
- Morale dopo il Vaticano secondo.
3. Periodo patristico
Iniziando a parlare dell’origine della storia della teologia morale, è necessario soffermarci brevemente sulla situazione culturale delle origini cristiane. Essa è caratterizzata dalla presenza di numerose e varie correnti filosofiche. Correnti che è necessario conoscere se si vuole comprendere al meglio la riflessione che all’intero di esse i padri hanno sviluppato.
Dette correnti filosofiche avevano assunto un significato prevalentemente morale e religioso. La prima generazione di cristiani elaborerà la prima originale moralità proprio in questo contesto.
Si può costatare che per i primi due secoli dell’era cristiana non esiste in interesse di carattere teorico le tematiche morali e la produzione letteraria da interessi pratici, parenetici e pastorali.
L’elaborazione delle esortazioni facevano ricorso a categorie concettuali usate dalla contemporanea riflessione filosofica popolare.
Questo mutuare dalla filosofia popolare è favorita dall’obiettiva convergenza degli intenti pedagogici e protrettici e della filosofia popolare che della nuova religione.
E’ necessario, inoltre, dire che l’interesse della ricerca circa i temi di morale è strettamente legata a motivi apologetici, la necessità per Padri e i primi scrittori ecclesiastici di dimostrare la continuità con l’insegnamento biblico.
C’è però anche chi sostiene che la prima generazione cristiana è una pedissequa ripetitrice dei luoghi comuni della filosofia popolare ellenistica. Ci si serviva in modo particolare della filosofia stoica.
La ricerca storica, poi, di questo periodo è un po’ carente:
- Mancano tentativi di sintesi sufficientemente elaborati e informati;
- Abbondano, però, studi di carattere monografici;
- Gli studi di carattere sintetico hanno come oggetto lo sviluppo delle tematiche presenti nei vari padri.
Il problema principale della storiografia degli inizi della chiesa è il problema dell’ellenizzazione del cristianesimo. Era inevitabile che la religione di Cristo si confrontasse con la cultura greca, che aveva influenzato l’intero mondo allora conosciuto.
Mentre da una parte si rifiuta categoricamente le coordinate religiose della cultura greca, dall’altra si è propensi ad utilizzare le sue categorie filosofiche e culturali.
La questione della dipendenza del pensiero cristiano dalla cultura ellenistica non riguarda la legittimità del processo, ma le forme storiche in cui si è realizzato.
Più complessa è la questione del rapporto tra forme letterarie e forme di esperienza di vita. Si possono avanzare due costatazioni:
- Da una parte si costata una dipendenza del pensiero e del linguaggio cristiani dal pensiero e dal linguaggio ellenistici;
- Dall’altra le difficoltà di sviluppo di un interesse di carattere teorico per la morale.
E’ stato proprio l’accordo del cristianesimo nascente con la morale ellenistica che ha fatto ritenere non urgente una riflessione teorica su temi di morale. Invece si è sentito urgente una riflessione adeguata su temi cristologici e dogmatici.
Questa puntualizzazione è importante per lo sviluppo successivo della teologia, in quanto conserva a lungo le caratteristiche della sua origine dommatica, rimane cioè ancorata ai contenuti della fede piuttosto che alla morale. Si può condividere la tesi che la teologia all’inizio non era teologia morale e che non aveva voglia di divenirlo.
4. Morale cristiana e filosofia pagana
E’ necessario subito notare che il facile accordo con la morale proposta dalla filosofia ellenistica, ha ritardato la possibilità di una proposta morale specifica della prima cristianità.
Vi sono tuttavia alcune tematiche morali nel confronto apologetico e polemico con la filosofia pagana. Gli apologisti sostenevano che: anche se gli ideali di vita proposti dai cristiani e dai filosofi pagani erano gli stessi, si notavano due sostanziali differenze:
- I cristiani non propongono solo a parole gli ideali di vita, ma li praticano,
- Le cose che i pagani raccomandano in modo inefficace e confuso, i cristiani lo propongono con argomenti persuasivi e fondati.
Dalla prima differenza possiamo dedurre: la letteratura apologetica ha un tratto marcatamente pragmatico nell’approccio ai temi morali. L’insistenza, poi, sulle questioni pratiche fa ritenere le sottili questioni teoriche sofisticate questioni retoriche. Del tutto nuove sono le tematiche del martirio e della verginità.
La seconda differenza porta a qualche novità nell’elaborazione. Gli argomenti per rendere più urgente l’imperativo morale della pratica delle virtù sono:
- Argomento della rivelazione,
- Argomento della interiorità
- Argomento escatologico,
- Argomento della testimonianza.
Si nota inoltre che accanto ad alcune originalità vi sono diffuse dipendenze della riflessione cristiana dalla morale filosofico-popolare ellenistica. Una maggiore predisposizione c’è senz’altro nei confronti della riflessione stoica.
La ricezione delle categorie stoiche fu per il cristianesimo più immediata perché erano quasi del tutto attinenti la prassi morale. In questo modo gli ideali morali non dovevano necessariamente essere ricondotti a prospettive ontologiche o religiose. Quello stoico è un pensiero eclettico giunto agli autori cristiani da florilegi o raccolte di detti.
La scarsa compattezza dottrinale, poi, rendeva la sua ricezione più agevole e meno gravida di risvolti dottrinali.
Gli stoici consideravano il mondo fondamentalmente buono a guisa di una grande città, dimora degli uomini essenzialmente uguali.
Le categorie fondamentali della morale stoica sono:
- La vita retta e autonoma,
- La vita coerente.
La coerenza è richiesta sia con se stessi che nei riguardi del logos, inteso come legge della natura o della ragione. L’uomo deve vivere secondo natura o ragione e deve lottare contro le passioni per raggiungere l’apatia.
Il pensiero cristiano ribadisce la lotta contro le passioni, ma non adotta il concetto di apatia. Dal pensiero stoico viene mantenuta la centralità della legge di natura o di ragione con qualche piccola differenza.
L’altra grande corrente filosofica, che ha influito sul cristianesimo, è la tradizione platonica. In questo caso, però, la considerazione morale non può essere separata dall’orizzonte ontologico, antropologico e religioso.
L’insegnamento della tradizione platonica più utilizzato dal cristianesimo è il primato della "theoria" sulla prassi, destinato a diventare nel cristianesimo primato della vita contemplativa.
In questa visione il momento pratico della vita viene ricondotto al momento ascetico, preliminare all’esercizio delle virtù. La vita se è esercizio virtuoso.
Tuttavia il primato della teoria sulla pratica, rischia di far passare in secondo piano il comandamento della carità e in subordine lo steso agire rispetto al conoscere o la disposizione pratica rispetto alla conoscenza della verità (rischio gnostico).
5. Morale cristiana ed ebraismo
La rapida assimilazione delle istanze morali dell’ellenismo da parte del cristianesimo ha condizionato il rapporto tra cristianesimo e ebraismo. Questo può essere ricondotto al solo problema dell’interpretazione delle Scritture.
Gli ebrei consideravano importante il senso allegorico delle Scritture, i cristiani consideravano importante anche il senso letterale.
Un altro problema era la differenza da attribuire all’Antico Testamento rispetto al Nuovo.
6. I Padri apostolici: preliminari
I Padri apostolici sono così chiamati perché nei loro scritti, composti tra la fine del I° e la prima metà del II°, si percepisce un fedele riflesso della predicazione apostolica. Di questa tramandano anche la prima riflessione sulla moralità cristiana, senza pretesa di esaustività.
Si tratta ordinariamente di scritti occasionali, la maggioranza lettere, senza alcun intento sistematico. Avvenendo, poi, la trasmissione ordinaria attraverso la predicazione orale, la documentazione scritta è assai scarsa.
Pur non essendo i Padri apostolici dei moralisti sistematici, tuttavia elaborano una certa riflessione morale. Tutti gli scritti appartengono al genere parenetico e catechetico, per questo contengono specifiche riflessioni morali.
Appartengono ai Padri apostolici i seguenti scritti:
- Le lettere di Ignazio di Antiochia,
- La lettera ai Filippesi di Policarpo di Smirne,
- La lettera ai Corinzi di Clemente romano,
- Il martirio di Policarpo,
- L’omelia dell’Pseudo Clemente,
- La Didaché
- La lettera dello Pseudo Barnaba
- Il Pastore di Erma.
Questi scritti traggono i loro insegnamenti dalla Sacra Scrittura. Inoltre, fatta eccezione per le Lettere di Ignazio, si ispirano anche alla tradizione religiosa e culturale del giudaismo, in particolare all’essenismo, desiderando un ritorno ad esso.
Ciò sta a dimostrare la forte difficoltà a svincolarsi dal giudaismo e debole influsso dell’ellenismo. Si può notare che la riflessione morale cerca schemi e categorie utili alla predicazione nel mondi giudaico.
Detto che negli scritti apostolici non c’è una dottrina morale uniforme e sistematica, gli insegnamenti comuni e costanti sono inviti:
- alla pratica della virtù,
- a seguire la via del bene,
- a convertirsi,
- a entrare nel regno di Dio, nuovo alleanza.
Si rifiuta il legalismo formalistico tipico del giudaismo. Si pone l’accento sul nesso tra fede e morale, sulla interiorità di una religione autentica. Manca una qualsiasi analisi della natura umana. La morale è di tipo teocentrico e cristocentrico, consistente nel discernere la volontà di Dio.
I Padri apostolici prediligono schemi mutuati dal giudaismo, come la trilogia: digiuno, preghiera e elemosina, o la via del bene e del male. La Didaché considera il tema delle due vie sotto l’aspetto retributivo, altri scritti invece alla luce di una metafisica dualista, infatti il dualismo morale è connaturale allo spirito umano.
Già nella Genesi l’albero del bene e del male è associato alla contrapposizione vita-morte, bene-male. Queste categorie esprimono nella Bibbia il dualismo morale ed escatologico. Nel NT si preferiscono i temi: luce-tenebre, vita-morte e lo schema delle due vie.
Nella prima letteratura cristiana le due vie indicano l’inizio della vita cristiana con la decisione di rinunciare a Satana e decidersi per Cristo. La scelta iniziale impegna il cristiano a fondare la propria vita su orientamenti precisi. La fedeltà ad essi costituisce il criterio di appartenenza ad una via menché ad un'altra. Il tema delle due vie è l’espressione di due diversi modi di vivere, di due cammini diversi: la fede e l’empietà.
All’interno, poi, di questo contesto vengono elaborati alcuni temi morali desunti dalla Bibbia e dal giudaismo: il decalogo, il discorso della montagna, le beatitudini, la legge della carità, la regola d’oro.
I Padri apostolici mostrano interesse per i temi della morale affrontando problemi diversi non solo di ordine personale, ma anche coniugale e sociale. E’ da notare, poi, che l’insegnamento morale è strettamente collegato con l’esperienza liturgica.
La prima generazione cristiana è consapevole che l’originalità della morale cristiana non è nei contenuti, ma nei fondamenti. E’ il kerigma e non un’astratta concezione della natura, che veicola la volontà di Dio.
Credere in Cristo vuol dire cambiare vita, convertirsi. Ne segue che l’insegnamento morale è inscindibile dall’annuncio.
Oltre alle Lettere di Clemente, Ignazio e Policarpo, prenderemo in esame anche la seconda Lettera di Clemente, che è un’antica omelia morale; la Didaché, in cui la morale viene presentata in forma semplice e tratta direttamente dalla Bibbia; la lettera dello Pseudo Barnaba, esempio di reazione contro il legalismo e il ritualismo giudaico; il Pastore di Erma, in cui è forte la tendenza ascetica.
Farò, poi, riferimento anche a due scritti che ufficialmente non fanno parte dei Padri apostolici: le Odi di Salomone, esempio di gnosi giudeo-cristiano, e il Vangelo di Tommaso, esempio di morale encratista (predicava la continenza e la moderazione) in ambiente giudeo-cristiano.
7. Lettere di Vescovi
Clemente di Roma (papa dal 92 al 99)
Clemente fu il terzo successore di Pietro. E’ ritenuto essere l’autore di una Lettera ai Corinzi citata da molti padri della chiesa. Può essere datata intorno al 96, perché si fa riferimento a «calamità e sciagure» abbattutesi sulla comunità di Roma, chiaro riferimento alla persecuzione di Domiziano (m. 98). La lettera è motivata dalla deposizione di alcuni presbitero dalla comunità di Corinto senza motivazione. Essa intende portare la pace. Si tratta di un documento fondamentale per dimostrare il primato di Roma sulle altre comunità.
L’AT viene definito "unico codice conosciuto", la norma «gloriosa e veneranda della nostra vocazione». Scritto di carattere parenetico sembra una raccolta di testi scritturistici. Ciò fa supporre che Clemente fosse di origine ebraica, con una buona preparazione letteraria e filosofica.
La lettera, divisa in due Parti (cc1-38, 39-58), contiene indicazioni e ordini destinate a sedare le discordie della comunità. L’ultima parte contiene una lunga preghiera. Dopo aver elencato le virtù cristiane: carità, penitenza, obbedienza, fede, compassione, ospitalità, umiltà, pace e concordia, espone i motivi per praticare dette virtù: l’esempio di Cristo e dei santi, l’ordine e l’armonia ch devono regnare nel mondo, le promesse escatologiche, le benedizioni di Dio in Cristo.
La lettera propone una vita virtuosa secondo la sapienza cristiana. Ne individua le motivazioni: nel timore di Dio, nell’obbedienza alla sua volontà e nel suo servizio. Cristo e i santi vengono colti come modelli di umiltà. Le condizioni generali della vita virtuosa sono: fede e opere, lotta contro il peccato, pratica delle virtù fondamentali, fede, speranza e carità, le virtù sociali. Come si può costatare la lettera è una specie di trattati delle virtù pur non nominando mai la parola virtù.
Presenta la vita morale come una lotta dell’uomo contro se stesso e invita a rigettare i vizi dell’invidia e della gelosia. La morale della lettera consiste nell’obbedienza alla volontà e ai comandamenti di Dio. E’ una morale teonoma, ma anche cristonoma.
Insieme a questa lettera è conservato uno scritto che porta il titolo seconda Lettera ai Corinzi, ma che è in realtà una omelia collocabile tra il 120 1 il 150. E’ ricca di citazioni di parole di Gesù. L’idea guida dell’omelia è: la salvezza è un dono di Dio, cui va risposto con la penitenza intesa come obbedienza ai comandamenti consistenti nella castità e nella elemosina. Si presenta la vita cristiana come una lotta (agon) da cui agonismo. Si tratta di un agonismo spirituale, un esercizio continuo della virtù.
8. Ignazio di Antiochia (75-120)
Ignazio fu il terzo vescovo di Antiochia e martire a Roma sotto l’imperatore Traiano (53-117). Durante il viaggio verso Roma scrisse sette lettere: ad Efeso, Magnesia, Tralle, Roma, Filadelfia, Smirne e a Policarpo.
Questo epistolario costituisce uno dei più importanti documenti del cristianesimo antico, soprattutto per la dottrina del primato della Chiesa di Roma, e per gli inviti a guardarsi dalle correnti giudaizzanti e dal docetismo, eresia che nega la realtà della carne di Cristo e afferma che Gesù a sofferto solo in apparenza.
La mistica di Ignazio esprime i tratti fondamentali dell’esperienza cristiana. E’ la mistica di un vescovo che nutre un ardente aspirazione personale al martirio per poter diventare simile a Cristo . Ha un forte amore verso il gregge a lui affidato.
Ignazio, convinto che il cristianesimo ha stabilito un nuovo ordine, un nuovo modo di vivere e non è più possibile tornate all’antico patto, presenta la vita cristiana come un’unione con Cristo e invita a incorporarsi sempre più al suo mistico corpo, a impegnarsi a seguire Cristo con una disponibilità incondizionata anche nella sofferenza, fino al martirio. E’ la grazia la sorgente unica dell’imperativo morale.
Essere cristiani significa seguire Cristo nell’amore, nella sofferenza, nell’incondizionata prontezza a morire per lui. Centro e sorgente della vita cristiana è l’altare, l’eucarestia.
9. Policarpo di Smirne (70-155)
Fu discepolo egli apostoli, in particolare di Giovanni, da loro fu eletto vescovo di Smirne. Poco prima del martirio, compì un viaggio a Roma per discutere con papa Aniceto (155-166) la data della pasqua. Non si giunse ad un accordo.
Secondo Ireneo (m. 175) scrisse molte lettere pastorali, ma a noi ne è pervenuta una sola, indirizzata alla chiesa di Filippi. La lettera è una fonte per conoscere le costanti della morale e della predicazione antica.
Dopo una esortazione a rimanere nella verità e nella fede tenendo lontano l’avarizia, primo di tutti i mali, riporta un codice domestico, ricorda i doveri delle mogli, delle vedove, dei diaconi, dei giovani, dei presbiteri. Si esorta al timore di Dio e a chiedere perdono, a restare attaccati alla tradizione e a Cristo e a perseverare nella pazienza.
La lettera richiama al dovere dell’imitazione di Cristo, a conformarsi a Lui, alle sue virtù, al suo comportamento, camminando secondo la verità del Signore. Per Policarpo Cristo è soprattutto modello di pazienza.
10. La Didaché (130-150)
E’ uno scritto anonimo. Il testo intero fu scoperto nel 1873. Ha come sottotitolo: Dottrina dei dodici apostoli. Lo scritto, in sedici capitoli, è indirizzato da un giudeo cristiano ad una comunità di ebrei convertiti. E’ ampiamente utilizzato l’AT con citazioni espliciti e con semplici richiami. Par il NT sono molto citati Mc e Mt.
L’opera presenta il tema classico delle due vie e vuole offrire una serie di precetti morali, in particolare prescrizioni liturgiche (battesimo, digiuno, preghiera, eucarestia: cc. 7-9), informazioni sulla comunità cristiana (cc. 11-15), la parusia (c. 16).
Per poter camminare sulla via della vita è necessario osservare: il comandamento dell’amore, i doveri personali, i doveri sociali e confessare i peccati. Praticare l’amore di Dio e del prossimo, praticare la regola d’oro. Inoltre: non uccidere, non commettere adulterio, non corrompere i fanciulli, non fornicare, non rubare, non praticherai la magia, non abortirai, non ucciderai i bambini appena nati.
Viene fatto un elenco di vizi molto dettagliato. La conclusione à di non lasciarsi mai distogliere dalla retta via. Segue una serie di regole sull’ospitalità, la correzione fraterna.
La morale è assai chiara, ha leggi precise e non è lasciata all’improvvisazione. Si la netta distinzione tra precetti, che si impongono a tutti, e consigli che sono la condizione della perfezione.
11. La lettera dello pseudo Barnaba (140 ca)
E’ uno scritto anonimo in forma di lettera, diviso in ventuno capitoli, in lingua greca. E’ ricchissimo di citazioni bibliche. Con questo scritto l’autore intende comunicare ai fedeli quello che a sua volta ha ricevuto: la conoscenza perfetta.
La prima parte ha carattere polemico contro il giudaismo: l’antico patto è stato abolito ne è nato uno nuovo, la legge data a Mosè è passata attraverso la passione di Cristo ai cristiani, nuovo popolo dell’eredità.
La seconda parte descrive le due vie: quella della luce e quella delle tenebre e l’escatologia.
12. Il Pastore di Erma (150 ca)
L’opera scritta in lingua greca probabilmente in tempi successivi e a più mani a partire dalla fine del I° secolo. Erma presenta se steso come l’autore e il pastore è l’angelo che lo guida nella vita. Fa parte del genere apocalittico: viene annunciata la seconda penitenza offerta ai cristiani dopo il battesimo.
Lo scritto è suddiviso in cinque visioni, dodici precetti e dieci similitudini. La conversione deve essere l’orientamento decisivo e continuo di tutta la vita.
L’apporto alla riflessione morale del Pastore si può sintetizzare nei seguenti elementi: la valorizzazione della vocazione alla santità morale, l’arricchimento del catalogo delle virtù e dei vizi, l’affinamento della coscienza, il superamento del legalismo giudaico.
L’autore presenta la comunità cristiana della prima metà del sec. II, con le sue debolezze e i suoi meriti, annunciando l’efficacia universale della penitenza cristiana.
13. Gli Apologisti: introduzione
Gli apologisti sono scrittori del II° secolo che, confrontando la tradizione cristiana con la cultura del tempo, cercano di difendere la nuova religione dagli attacchi esterni. Le apologie sono scritti con i quali gli autori cristiani difendono la verità della fede dagli attacchi ostili provenienti da giudei o pagani.
La caratteristica fondamentale di detti scrittori è il confronto che essi stabiliscono tra la morale cristiana e quella pagana. Per loro la verità del cristianesimo è fondata sulla elevatezza della sua dottrina morale e sulla santità della vita dei cristiani.
Il diffondersi del cristianesimo produce nuovi problemi pratici tra questi: atteggiamento verso gli idoli, l’esercizio di alcune professioni, la partecipazione a spettacoli teatrali e circensi, la moda, il servizio militare.
Questi scrittori assumono spesso atteggiamenti rigoristi: si condanna radicalmente il mondo pagano e le sue istituzioni.
Gli apologisti, trovandosi a difendere il cristianesimo, gettano le fondamenta della scienza teologica. Per quanto attiene la riflessione morale, essi:
- in positivo esaltano lo stile di vita cristiano, vita seria, austera, onesta casta, vantaggiosa per lo Stato,per la società e per la civilizzazione in generale;
- in negativo, descrivono le immoralità del paganesimo.
In queste lezioni prenderemo in esame solo Giustino, la Lettera a Diogneto e Ireneo di Lione. Non parleremo degli apologisti greci.
14. San Giustino, martire (100-165)
Nacque a Sichen (Palestina) e morì a Roma martire. Era ebreo, ma ebbe una educazione greca. Fu discepolo della scuola stoica, della peripatetica e della pitagorica. Solo nel platonismo però si convinse di trovare la via giusta. A 30 anni circa si convertì al cristianesimo, ma continuò a studiare filosofia, aprendo una sua scuola a Roma con il proposito di difendere la dottrina cristiana. Fu ucciso per decapitazione.
Scrisse, secondo Eusebio, otto apologie, a noi ne sono pervenute tre sicuramente autentiche, scritte nel 160. Due Apologie e il Dialogo.
Il Dialogo, in 142 capitoli, mostra il metodo e gli argomenti usati per confutare gli ebrei. L’AT e una preparazione del NT. I profeti sono veri pedagoghi della verità. Le due Apologie, indirizzate all’imperatore Antonino Pio, difendono il cristianesimo contro l’impero romano.
Nella prima Apologia sono messi in campo tre serie di argomenti difensivi che sono:
- motivi discolpanti contro i crimini che si attribuivano loro: ateismo, immoralità, rifiuto del culto pagano;
- mettendo a confronto le due religioni si dimostra l’assoluta superiorità del cristianesimo;
- per dimostrare la legittimità delle pratiche cristiane fa la presentazione dell’iniziazione cristiana e dell’eucarestia.
La seconda Apologia prende lo spunto dalla condanna a morte di tre cristiani solo per essere seguaci di Cristo, spiega perché essi muoiono volentieri e dimostra che la dottrina morale dei cristiani è più elevata di quella degli stoici. Sviluppa la teoria dei semina verbi. Si chiede agli imperatori di essere oggettivi nel giudicare i cristiani.
Gli scritti di Giustino non sono originali. Ciò che può interessare è la sua antropologia, sulla partecipazione della ragione umana al Logos presente nella natura e nel quale è adombrato Gesù Cristo stesso.
Egli sostiene che è importante che si faccia una alleanza tra cristiani e filosofi per combattere l’idolatria e la mitologia; per difendere l’interiorità della morale cristiana e la sua fondazione escatologica.
15. La lettera a Diogneto (200)
Questo scritto spesso viene messo tra i padri apostolici. Si tratta senz’altro di uni scritto apologetico. E’ scritto in forma di lettera ed è inviata al Diogneto, un personaggio importante del paganesimo. E’ ignoto l’autore, il luogo ella composizione e la data esatta in cui è stata scritta.
Lo scritto si compone di:
- un’apologia contro i pagani e gli ebrei;
- una descrizione del ruolo dei cristiani nel mondo;
- una catechesi sommaria del cristianesimo
- una esortazione finale
E’ discussa l’antichità degli ultimi due capitoli.
Per quanto attiene la riflessione morale hanno particolare rilievo le seguenti affermazioni: i cristiani vivono come gli altri uomini, tuttavia nella società svolgono un ruolo speciale, sono come l’anima del corpo: specificità della morale cristiana; tutto è stato creato per l’uomo, centro e apice di quanto esiste: antropocentrismo morale; la carità è la sintesi della vita morale del cristiano.
16. Ireneo di Lione (130-203)
Greco di nascita, cresciuto in una famiglia già cristiana, ricevette alla scuola di Policarpo vescovo di Smirne, di Papia, di Melitone di Sardi ed altri, una buona formazione, religiosa, filosofica e teologica. Fu vescovo della città di Lugdunum (attuale Lione) dal 177, in seguito alla morte, per martirio sotto Marco Aurelio, del primo vescovo della città San Potino.
Secondo la tradizione della Chiesa fu martire a sua volta, anche se scarse sono le notizie storiche sulla sua vita e morte. Venne sepolto nella chiesa di San Giovanni, che più tardi venne chiamata di Sant'Ireneo. La sua tomba e i suoi resti vennero distrutti nel 1562 dagli Ugonotti durante le guerre di religione.
Il suo pensiero e le sue opere furono direttamente influenzati da Policarpo, che fu a suo tempo discepolo diretto di Giovanni Evangelista. Essi sono una testimonianza della tradizione apostolica, a quei tempi impegnata contro il proliferare di varie eresie, in particolare lo gnosticismo di cui Ireneo fu un forte oppositore. Delle sue opere ci permangono: Adversus haereses, che tenta di confutare le principali espressioni dello gnosticismo, e Demonstratio apostolicae praedicationis, sintetica e precisa esposizione della dottrina cattolica.
Uno dei suoi discepoli più noti è Sant’Ippolito romano.
Ireneo fu il primo teologo cristiano a tentare di elaborare una sintesi globale del cristianesimo.
All'interno di un periodo storico marcato da due eventi culturali di grande spessore:
- l'insorgere dello gnosticismo in ambito cristiano, la prima eresia in possesso di un buon impianto dottrinale che affascinava molti cristiani colti;
- il diffondersi nel mondo pagano del neoplatonismo, filosofia di vasto respiro, che presentava molte affinità con il cristianesimo.
Ireneo con la sua opera tentò di dare una risposta volta ad evidenziare i presunti errori contenuti nello gnosticismo, mentre nei confronti del neoplatonismo si aprì a un dialogo e fu disposto ad accogliere alcuni principi generali di questa filosofia.
Fu il primo teologo cristiano ad utilizzare il principio della successione apostolica, per confutare i suoi oppositori. Proprio nell'Adversus Ireneo scrive:
- La tradizione degli Apostoli manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi… (Gli Apostoli) vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo (Adversus haereses, III, 3,1: PG 7,848).
Ireneo indica pertanto la rete della successione apostolica come garanzia del perseverare nella parola del Signore e si concentra poi su quella Chiesa “somma ed antichissima ed a tutti nota” che è stata “fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo”, dando rilievo alla Tradizione della fede, che in essa giunge fino a noi dagli Apostoli mediante le successioni dei vescovi. In tal modo, per Ireneo e per la Chiesa universale, la successione episcopale della Chiesa di Roma diviene il segno, il criterio e la garanzia della trasmissione ininterrotta della fede apostolica:
- «A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata...» (Adversus haereses, III, 3, 2: PG 7,848).
La successione apostolica - verificata sulla base della comunione con quella della Chiesa di Roma - è dunque il criterio della permanenza delle singole Chiese nella Tradizione della comune fede apostolica, che attraverso questo canale è potuta giungere fino a noi dalle origini:
- «Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità» (ib., III, 3, 3: PG 7,851).
giovedì 10 febbraio 2011
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