L’uomo, come creatura razionale, partecipa del piano della divina provvidenza.
Partecipazione: è una categoria fondamentale nel discorso morale di Tommaso. Essa è decisiva per capire la natura umana. Infatti l’uomo, in quanto essere capace di autodominio (per se potestativum), non si inerisce nel piano divino in maniera solo esecutiva, non secondo una conformazione automatica alla lex aeterna, ma secondo il suo libero orientamento al bene.
Detta partecipazione si realizza in due modi: nella legge naturale e nella legge dello Spirito.
La prima e fondamentale partecipazione alla legge eterna avviene attraverso l’obbedienza alla legge naturale, in forza della quale la persona diviene consapevole della sua radicale vocazione.
Essa è il sigillo di Dio in noi, che è carico di promesse e responsabilità. Non è una imposizione dall’esterno, ma è iscritta nel più profondo della natura umana.
Nucleo essenziale della legge naturale è il precetto: «fa il bene ed evita il male» (bonum facendum et malum vitandum).
La legge naturale, in quanto partecipazione formale alla legge eterna, si distingue dal diritto naturale, che ne è una semplice partecipazione materiale.
Questa distinzione porta Tommaso a superare i limiti della tradizione precedente: sostenendo che l’uomo, obbedendo alla legge naturale, si realizza pienamente nella storia e attraverso la storia.
La legge umana costituisce il diritto positivo, la legge promulgata dall’uomo in vista del bene comune.
La seconda partecipazione avviene per mezzo del dono dello Spirito (lex Spiritus): per mezzo di essa l’uomo può con efficacia tendere a realizzare pienamente il progetto di Dio.
La legge dello spirito o la legge nuova del Vangelo è una legge interiore, infusa nel cuore del fedele, che ha come elemento costitutivo il dono dello Spirito Santo con la sua grazia.
Essa è luce, ma anche forza che permette al fedele di realizzare ciò che lo Spirito gli fa capire, cioè la sua vocazione.
In virtù di detta duplice partecipazione, il credente è reso capace di cooperare al progetto di Dio. Detta capacità passa attraverso il giudizio della coscienza, che si definisce come partecipazione della verità umana a quella divina, della conoscenza umana a quella divina.
La coscienza è la terza categoria fondamentale della riflessione morale di Tommaso.
La sua dignità consiste nel fatto che essa è elemento insostituibile della persona umana alla realizzazione del progetto di Dio. Per Tommaso solo l’atto che è emesso dall’interiore principio conoscitivo, cioè l coscienza, è personale.
Il fondamento della dottrina di Tommaso sulla coscienza è:
- La partecipazione,
- Il modo con cui questa si realizza nella soggetto.
Ne segue che il giudizio di coscienza è criterio irrinunciabile dell’agire umano, tuttavia non è norma assoluta.
Non sono criteri morali decisivi né l’efficacia storica, né ragioni ideali e astoriche.
A questo punto si può dire che per Tommaso i due elementi fondamentali dell’elaborazione morale sono la legge e la grazia.
L’uomo trova le regole dell’agire morale nella propria natura razionale, sia:
- come persona,
- come membro di una famiglia
- come essere sociale.
Le leggi umane, poi, precisano i principi generali della legge naturale.
La ragione deve stimolare l’ingegno umano affinché produca i complementi e i supplementi utili alla natura umana.
Alla produzione degli atti umani concorrono diversi principi, che sono interni ed esterni.
I principi interni, che aiutano le facoltà a rendere più facile e perfetta la produzione degli atti, vengono definiti da Tommaso "abiti", che ha il senso di qualità operative, inteso in senso lato:
- abiti buoni son le virtù alle quali sono legati i doni,
- abiti cattivi sono i vizi che si oppongono alle virtù.
La virtù è un abito operativo buono e principio esclusivo di bene. Vi sono virtù teologali o infuse e quelle cardinali o morali. Inoltre ci sono le virtù intellettuali speculative, le quali tendono a perfezionare la mente perché possa apprendere la verità. Esse sono: intelligenza, scienza, sapienza e prudenza.
Tommaso articola la teologia morale sulle virtù teologali (fede, speranza e carità) e su quelle cardinali (fortezza, temperanza e giustizia) tra le quali la prudenza ha un ruolo molto importante.
L’Aquinate ha senz’altro mutuato da Aristotele molti elementi della sua elaborazione morale, per esempio l’adozione dello schema delle quattro virtù cardinali, ma li trasforma facendo derivare la sua vitalità dai doni dello Spirito Santo.
Tuttavia l’assunzione dello schema delle virtù cardinali ha impedito a Tommaso di sviluppare adeguatamente le virtù della religione e dell’umiltà, fondamentali per l’uomo redento.
L’esistenza cristiana, in quanto ha come legge propria la legge dello Spirito di vita in Cristo, va considerata non come obbedienza a dei precetti, ma come attuazione delle potenze interiori che essa ha e che sono le virtù.
Esse sono mezzi per l’autorealizzazione umana, orientamenti verso la perfezione morale in senso teologico.
Oltre agli abiti virtuosi, che fanno tendere l’uomo al bene, ci sono gli abiti cattivi, i vizi (orgoglio, cupidigia, vanagloria, invidia, collera, avarizia, accidia, gola e lussuria), che lo distolgono dal bene. Essi, secondo Tommaso sono le principali cause del peccato.
Agostino così definiva il peccato: «est aliquid factum, vel dictum, vel concupitum contra legem eternam». Tommaso ne raccoglie l’eredità. Li distingue però in peccati veniali e mortali.
Misura della perfezione è la carità afferma Tommaso. Tutte le altre virtù sono necessarie alla perfezione, ma non ne sono costitutive come la carità, che ha la caratteristica di unire a Dio. Essa è la più importante di tutte le virtù e senza di essa non v’è vita virtuosa.
Si può allora affermare senza timore di essere smentiti che il criterio ultimo e definitivo è l’acquisizione progressiva della carità. Alla sua acquisizione concorrono: la grazia, i sacramenti, la devozione a Cristo, la preghiera.
La morale di Tommaso è l’elaborazione più completa che sia stata mai tentata.
mercoledì 25 febbraio 2009
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