Il dialogo teologale della fede
1. Introduzione
I presupposti antropologici costituiscono il fondamento su cui la fede teologale può costruire il suo impianto.
La fede è grazia, che non solo non prescinde dall'umano, ma lo assume come momento imprescindibile del suo dinamismo elevante[1].
L'uomo è il destinatario della verità e della grazia, il partner di Dio nel dialogo della fede[2].
Un dono è tale non solo perché donato, ma anche perché accolto. La parola è tale non solo perché rivolta ma anche perché ascoltata.
Non c'è fede senza l'iniziativa donante di Dio, la quale esige la risposta accogliente dell'uomo.
La fede si colloca nel punto d'incontro tra la grazia di Dio e la libertà dell'uomo. E' il «luogo» in cui Dio incontra l'uomo e questi si lascia incontrare da Dio liberamente e responsabilmente.
La fede ha, pertanto, un'ineludibile valenza antropologica che la grazia non nega, ma assume ed eleva alle altezze teologali della comunione divina.
La fede esprime la dinamica dell'alleanza e della comunione con cui Dio unisce a sé l'uomo.
In tal modo l'uomo comprende la fede, iniziativa di Dio, come evento personalizzate. Non come qualcosa da prendere a «scatola chiusa», ma come un evento che coinvolge interamente l'uomo in libera adesione e fedeltà alla chiamata di Dio.
Sono così rispettate, da una parte, le possibilità di Dio (la grazia e la rivelazione), dall’altra la libertà.
E' in rapporto all'uomo che Dio si rivela, perché questi possa riconoscerlo come il 'Dio per noi'.
Riconoscendo se stesso nel 'per noi' di Dio, l'uomo conosce Dio.
2. La conoscenza di Dio
Dio è conosciuto, non alla maniera delle teodicee filosofiche, intente a scandagliare il suo in sé, ma nella rivelazione biblica.
Nella Rivelazione l'uomo si scopre essere il destinatario della parola e della grazia, che dà la verità al mistero del suo essere in rapporto all'essere donante di Dio.
Conoscendo se stesso nella luce della parola e della grazia, l'uomo conosce Dio.
Lo conosce nel modo in cui Dio si è dato a conoscere, attraverso i segni ed eventi, mediante i quali l'uomo può rapportasi a Dio.
Da ultimo, e in modo esclusivo, Dio si è rivelato attraverso la sua Parola eterna, fattasi evento storico in Gesù di Nazareth.
Il conoscere Dio pone una triplice scanzione:
- l'atto,
- il contenuto,
- la verità.
Vogliamo analizzare distintamente qui di seguito questi tre elementi.
3. La fede che crede: l'atto di fede
Nella fede è impegnato tutto l'uomo nel tentativo di dare senso e fondamento alla propria esistenza.
Nell'Antico Testamento credere consiste nel porre il proprio fondamento in Dio, cioè fondare in lui la propria vita.
Il verbo ebraico 'âman, che designa l'atto del credere, significa «poggiare su», «appoggiarsi a»; dunque «trovare fondamento in»; e perciò «essere saldo, fermo, sicuro».
Esprime, in sintesi, la stabilità e la sicurezza derivanti dall'appoggiarsi su qualcuno. Ciò comporta inevitabilmente il senso di abbandono e di fiducia[3].
In seguito all’esperienza di vanità, insicurezza e miseria della condizione umana (cf Sal 39, 5‑6), l'israelita si affida a Dio, confida totalmente in lui (cf Sal 16,1; 25,2), trovandovi stabilità e solidità: «Confido nel Signore (mi appoggio su Jahvé), non potrò vacillare» (Sal 26,1); «Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare» (Sal 62,3; cfr. 18,3‑4).
Dunque «chi crede non vacillerà» (Is 28,16). Al contrario, «se non crederete (se non vi appoggerete a Yahvè), non avrete stabilità» (Is 7,9).
Nel Nuovo Testamento si ottiene la stessa solidità in Dio con l'ascolto osservante delle parole di Gesù: «Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia» (Mt 7,24‑25).
Credere è prima di tutto «una questione ontologica: "essere o non essere", più che una questione epistemologica: sapere o ignorare»[4].
Credere è rispondere positivamente a Dio!
Un sì che coinvolge tutta l'esistenza, nell'atto di decidere di sé. L'uomo e Dio sono messi l’uno di fronte altro[5].
Atto radicale dell'uomo che ripone in Dio tutta la sua fiducia[6].
La fede consiste nel rapportarsi dell'uomo a Dio, sua verità. Verità che non è comprensibile attraverso uno sforzo dell’intelligenza, ma con il rendere continuativo il rapporto personale.
«La fede non è l'affermazione impersonale di una verità su Dio... bensì un evento personale»[7].
La fede è l'atto con cui il soggetto si relaziona e affida completamente a Dio.
E' la fede di Abramo, il padre dei credenti.
La fede dei patriarchi, di Mosè, dei sapienti, dei profeti.
Cristo e la fede
E' la fede di Gesù Cristo. Quella da lui testimoniata ed esigita.
Gesù, «autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2), ne è il primo e più autentico testimone. Credere è «esistere da fondati in Dio, affidare a lui la nostra intera persona e vivere per questa ragione»[8].
Gesù c'insegna che cosa sia una vita secondo la fede.
La fede cristiana è la fede di Cristo. Tutta la vita di Cristo è caratterizzata dal suo vivere di Dio, Padre suo, della sua parola, della sua volontà.
Gesù non è solo testimone della fede. In lui la fede diventa fede cristiana. La fede da lui esigita, infatti, non è il semplice prolungamento di quella veterotestamentaria. Il 'per noi', che rivela la realtà di Dio, è collegata, in modo ultimo e definitivo, alla sua persona.
Si tratta del 'per noi' del regno di Dio, che è in noi, vicino a noi, in mezzo a noi, e che prende corpo e consistenza nelle parole e nelle opere di Gesù (Lc 11,20).
La fede in Dio diventa fede in Gesù il Cristo, rivelatore e sacramento di Dio (cf Gv 3,11): «Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me» (Gv 14,1), perché «chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9); «Io e il Padre, infatti, siamo una cosa sola» (Gv 10,30); «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,10). Per cui «chi crede a me non crede in me ma in colui che mi ha mandato» (Gv 12,44).
[1] «Gratia supponit naturam et perficit eam»: è l'espressione cattolica del rapporto tra natura e grazia (cf S. Th., I, q. I, art. 8). «La natura è un'attesa una potenza obbedienziale della grazia» (DELHAYE Ph., Rencontre de Dieu, op. cit., p. 17; cf anche pp. 7.19).
[2] Cf WELTE B., Che cosa è credere, op. cit., pp. 11‑17.
[3] Cf MARCONCINI B., Fede, in Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 1988, p. 536.
[4] Cf DE BOVIS A., Foi, in Dictionnaire de spiritualité, ascétique et mystique, Parigi 1964, vol. V, p. 539.
[5] Cf FRIES H., Teologia fondamentale, op. cit., p. 82.
[6] KASPER W., Oltre la conoscenza. Riflessioni sulla fede cristiana, Brescia 1989, p. 55.
[7] DE BOVIS A., Foi, op. cit., p. 545.
[8] FRIES H., Teologia fondamentale, op. cit., p. 88.
venerdì 7 marzo 2008
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