4.2. Questione di senso
La questione del senso, oggi, è divenuta il «luogo» della fede. Da sempre, quella del senso ha costituito la questione prioritaria e fondamentale per la coscienza umana, per la sua ineludibile domanda dalla cui risposta dipende la riconciliazione dell'uomo con la verità di se stesso e della realtà.
Nel passato, però, essa è stata percepita senza eccessivi problemi, perché la vita e il pensiero si svolgevano su uno sfondo socio‑culturale e su una base interpretativa prevalentemente e indiscutibilmente metafisica e religiosa.
La domanda di senso trovava, nella polarizzazione di tutto il pensiero al trascendente e nella comprensione religiosa e cristiana della vita, la sua ovvia risposta e la stessa fede non poneva problemi di legittimazione.
La fede non veniva assolutamente messa in discussione, essa, anzi, veniva colta come una componente essenziale del vivere.
Oggi la plausibilità s'è fatta debole e il credito è diventato discutibile.
La svolta antropologica del pensiero moderno e contemporaneo, che ha spostato e polarizzato sull'uomo il baricentro strutturale e interpretativo della realtà, ha acutizzata e resa problematica la questione del senso.
Essa è diventata una questione di fondo.
La svolta antropologica è stata determinata col contributo diverso e convergente, a partire da Cartesio, del razionalismo illuminista, idealista, positivista, marxista, storicista, esistenzialista, freudiana; e della cultura, da questi "partorita", scientista, tecnicista, pragmatista, secolarista, efficientista, sociologista, psicologista.
La svolta ha consacrato l'emancipazione dell'uomo[1], intesa e vissuta come:
- relativizzazione dell'autorità e della tradizione,
- autonomia della coscienza e della libertà,
- dominio strutturale del mondo,
- responsabilità per il futuro,
- signoria della storia,
- liberazione da bisogni primari.
Tutto questo ha indotto progressivamente l'uomo a comprendersi in rapporto esclusivo a se stesso, al proprio ingegno, che domina la realtà e arbitro del futuro[2].
Questo ha provocato un progressivo slittamento da una conoscenza metafisica, a una scienza fisica del reale.
La svolta antropologica, soprattutto nelle sue espressioni più radicali, si è posta in maniera alternativa alla comprensione teista.
L'uomo si è posto come padrone esclusivo di se stesso, delle sue possibilità teoretiche e tecniche.
In questo contesto la questione del senso, più che superata e risolta, viene rimossa o repressa. Per riemergere ed esplodere in modo più acuto come il «caso serio» dell'esistere umano.
Contrariamente a quanto tendeva a credere e a far credere l'ottimismo ingenuo dell’illuminismo[3], l'emancipazione autonomista della coscienza e della libertà, negatrice della metafisica che delegittima la fede, non solo non sopprime la questione del senso, ma la rende più acuta:
- nelle sue espressioni esistenziali: solitudine, paura, noia, ansia, angoscia, rivolta, nichilismo;
- nelle sue implicazioni storiche: ingiustizie planetarie, rischio nucleare, dissesti ecologici, libertà soffocate, demagogie ideologiche, guerre stellari, nuove malattie contagiose.
Per cui la perenne verità del senso, articolatasi da sempre attorno ai problemi del male, della sofferenza e della morte, viene a caricarsi di istanze nuove che ne acuiscono la questione.
Per questo il secondo illuminismo[4], più sobrio e realista, viene a raddoppiare il primo, relativizzandolo e in certo modo sconfessandolo nelle sue pretese onnicomprensive e riduttive di senso.
Ciò è evidente non solo negli esiti dell'esistenza, ma soprattutto negli esiti nichilisti della filosofia e letteratura dell'angoscia, che conclude affermando il non‑senso del nostro essere gettati nell'esistenza.
La tensione verso il senso è colta in negativo nella frustrazione che origina dalla considerazione del problema del nulla e dell'angoscia che procurano sensazioni di vuoto e di assurdità.
La critica del secondo illuminismo ha preso forma teorica e culturale nel ripensamento critico avviato dalla Scuola di Francoforte, denunciando il pensiero illuminista, il quale, nella pretesa di disporre di tutto, finisce col disporre dell'indisponibile[5].
Il postmoderno, in cui diciamo di essere transitati, è caratterizzato, sul piano socio‑culturale, dal crollo delle ideologie, i cui miti monopolizzavano i progetti di senso di intere masse.
Con la imprescindibile conseguenza:
1. di un vuoto di senso convulsamente provato e ampiamente surrogato. Si veda la cultura della droga, della violenza, dell'effimero... fino al demenziale elevato a scopo e proposta.
2. della domanda di senso più criticamente motivata:
- sia nei confronti della fede, della società e della politica;
- sia nei confronti di un secolarismo ambizioso, totalizzante, mistificante, incapace malgrado tutto di liberare l'uomo.
Al fondo della questione del senso c'è l'irriducibilità dell'essere umano al suo esserci e della coscienza ontologica a intelligenza oggettuale.
La questione di senso è espressione di una trascendenza ontologica ed epistemologica, costitutiva dell'essere e del conoscere umano.
E' per questo che ogni tentativo di liberazione umana, riduttiva della trascendenza dell'essere nell'esserci, è votato all'insuccesso.
L'uomo oggi è disilluso, perché la questione del senso rimane tutta, anzi si approfondisce e acuisce.
La questione del senso non può trovare risposta in nessun approccio parziale e materiale alla verità. Il senso, cioè, non può essere «fatto» dall'uomo, sarebbe sempre un senso parziale e penultimo, mentre per lui è fondamentale il tutto e l'ultimo.
«Il senso non si può dedurre dalla scienza.
Il volerselo dare in questo modo finisce con l'assomigliare all'assurdo e ridicolo tentativo intrapreso dal barone di Munchhausen, il quale si mise in testa di tirarsi fuori dalla palude tirandosi per i capelli.
Il senso vero, ossia il terreno su cui la nostra esistenza può realmente fondarsi, non può venir fabbricato artificialmente, ma può solo essere ricevuto dal di fuori»[6].
Nella questione di senso è in gioco tutto l'uomo:
- il suo essere come contraddizione del non essere,
- la sua vita come contraddizione della morte.
La questione di senso può essere anche definita questione di salvezza. La salvezza è possibile se c’è qualcuno che salva. L'auto‑salvezza è una pura contraddizione.
Il senso all'uomo può essere dato solo come dono.
Il dono del senso può pervenire all’uomo solo dalla fede che è capacità di accoglienza.
Il senso origina da due principi:
1. dalla coscienza del dover essere dell'essere umano, dalla costitutiva tensione all'Essere, colta come «nostalgia del totalmente Altro»[7].
2. dagli «adempimenti di senso immanente», che si evolve mettendo in fuga il non‑senso.
Allora «l'amore e la fedeltà, per fare due esempi, avrebbero ancora senso?
Si potrebbe ancora sostenere una distinzione tra giustizia e ingiustizia, tra verità e menzogna, tra libertà e schiavitù?...
Se tutto fosse affidato incondizionatamente e per sempre al nulla, e se questo fosse soltanto un nulla inutile, allora nessuna cosa avrebbe senso».[8]
Esso si offre all'uomo non come deduzione, prestazione o produzione, perché non sarebbe umanamente significativo, a come rivelazione, dono, grazia che l'uomo riceve e accoglie nella fede.
In un tempo critico per la fede, in cui l'uomo, per affermare la propria emancipazione, sostiene di poter prescindere da essa, la fede trova un campo nuovo di fecondazione[9].
E proprio quel campo che doveva costituire il suo superamento, ne diventa l'inedita richiesta.
La crisi sta a significare 'il tempo propizio' (kairos) per nuove possibilità.
Possibilità per la fede di poter rendere autentico il vissuto, di legittimare la dinamica che porta alla verità, di dare spessore alla verità che si fa annuncio.
Si tratta di nuove possibilità che si aprono fra i vuoti di un mondo in cui il desiderio dell'avere non è sinonimo di pienezza dell'essere o di significato.
[1] KANT I., ha parlato di «uscita degli uomini dalla minorità»: cfr. Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino 1965, pp. 141‑149.
[2] Cf RATZINGER J., Introduzione al cristianesimo, op. cit., pp. 28‑37. Della svolta antropologica in epoca moderna ho più ampiamente trattato in Dibattito culturale e teologico in atto e centralità dell'uomo. Quale prospettiva etica, in Presenza pastorale, 56 (1989), pp. 669‑671.
[3] Prendiamo qui illuminismo in senso ampio, come atteggiamento mentale che, a partire dalla corrente filosofica propriamente detta, investe tutte le determinazioni sopra menzionate del pensiero antropocentrico: cf KASPER W., Introduzione alla fede, op. cit., pp. 17ss.
[4] Cf KASPER W., Introduzione alla fede, op. cit., pp. 17ss.
[5] Cf HORKHEIMER M. – ADORNO T.W., Dialettica dell'illuminismo, Torino 1976.
[6] RATZINGER J., Introduzione al cristianesimo, op. cit., p. 41.
[7] HORKHEIMER M., La nostalgia del totalmente Altro, Brescia 1972.
[8] WELTE B., citato da FRIES H., Ivi, p. 37; cf anche della stesso autore: Che cosa è credere, op. cit., pp. 29‑48.
[9] Le «difficoltà non necessariamente sono di danno alla fede: possono anzi stimolare lo spirito a una più accurata e profonda intelligenza della fede» (GS n. 62).
lunedì 3 marzo 2008
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