1.2. La libertà fondamentale della fede
La fede costituisce l'opzione fondamentale del cristiano. L'atto con cui decide di sé, dando significato e orientamento a tutta la sua esistenza[1].
Non, dunque, un'opzione assimilabile alle tante scelte categoriali, di cui è costellata la libertà della persona, ma è la stessa libertà che si identifica con la persona morale e che dà dinamismo a tutto il suo agire.
«Più che un atto o una serie di atti la fede è un atteggiamento personale, fondamentale e totale, che imprime all'esistenza un indirizzo nuovo e permanente. Sorge nel più profondo della libertà dell'uomo, là dove l'uomo è invitato interiormente dalla grazia all'intima comunione con Dio e abbraccia tutta la persona umana, nella sua intelligenza, volontà e azione»[2].
La libertà fondamentale si definisce dal suo rapporto con la fede, più che per la globalità del coinvolgimento, la radicalità e l'assolutezza del bene e valore in gioco.
Si tratta della libertà con la quale l'uomo si apre o si chiude al dono della grazia. Libertà con cui l'uomo ripone la sua fiducia in Dio o in altra cosa.
La fede è l'atto morale decisivo che ogni uomo è chiamato a fare, «attraverso vie che Dio solo conosce» (AG n. 7)[3]. Per il cristiano la via è Gesù Cristo, sacramento dell'amore salvifico di Dio per noi.
La fede, in quanto coinvolge la libertà fondamentale, obbliga il cristiano ad una duplice fedeltà morale:
- fedeltà della fede,
- fedeltà alla fede.
1.2.1. Fedeltà della fede
Il cristiano è anzitutto chiamato alla fedeltà della fede, ossia a tradurre in modo operativo, categoriale e concreto l'opzione fondamentale che da consistenza a tutta la sua vita.
Il vissuto del cristiano è irradiazione della sua libertà fondamentale, la quale si esprime nelle diverse opzioni particolari costitutivo dell'esistenza cristiana.
Questo vuol dire che la fede penetra nel vissuto gli dà significato e lo orienta in modo operativo[4].
Il significato e l'orientamento propri della fede vengono ordinariamente definiti "discernimento"[5].
Si tratta del 'discernimento' paolino, inteso come atto di autenticazione di se stessi e della propria situazione in rapporto alla fede.
Paolo afferma: «Esaminate voi stessi se siete nella fede, mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi?» (2Cor 13,5); «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Questi e altri testi (cf Rm 2,18; Fil 1,10; Ef 5,10.17; 1Ts 5,21) ci fanno capire il ruolo decisivo della fede nella decisione morale.
Detto ruolo è di «tipo formale», mirante cioè a informare tutto l'agire etico umano e a dargli la forma di Cristo e del Vangelo.
Si tratta di ciò che la tradizione spirituale ha inteso quando parlava di spirito di fede, quale disposizione permanente a valutare eventi e situazioni e decidersi in essi dal punto di vista della fede.
Si tratta del «pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) e «lo Spirito di Cristo» (Rm 8,9) in noi, la sapienza divina di coloro che sono in Cristo in opposizione alla sapienza del mondo (cf 1Cor 1,17‑31).
«L'intelligenza spirituale» (Col 1,9) del cristiano, di cui parla 1'Apostolo, gli «occhi della fede» di cui parlano i Padri[6].
Lo spirito di fede viene azionato in noi dallo Spirito Santo, dall'azione convergente dei doni dell'intelligenza, della scienza, della saggezza e del consiglio.
Questo, concretamente, significa che nel fedele c'è la capacità di cogliere negli eventi e nelle situazioni la volontà di Dio, di leggerli con gli occhi di Cristo e di determinarsi in essi secondo il volere dello Spirito[7].
1.2.2. Fedeltà alla fede
La libertà per la fede esige la fedeltà alla fede secondo una duplice responsabilità:
- verso se stessi,
- verso gli altri.
La responsabilità verso se stessi vuol dire, in primo luogo:
1. accogliere la fede e farla crescere con la preghiera, la liturgia, l'ascolto meditativo della Parola, l'istruzione e la formazione cristiana, la fedeltà operativa.
Questo per diventare «saldi nella fede» (1Cor 16,3; Col 2,7; 1Pt 5,9), «fondati e fermi» (Col 1,23) e «conservare la fede» (2Tm 4,7).
2. Vuol dire, in secondo luogo, avere coscienza della possibilità di essere non fedeli alla fede, cioè del peccato di fede e della sua gravità.
Questo prende corpo:
- nell'indifferenza nella crescita, la quale indebolisce l'adesione a Dio in Cristo;
- nel disconoscimento della fede, che si esprime nell'incredulità come rifiuto di accogliere la fede, di aderire al messaggio cristiano;
- nell'eresia come adesione selettiva alle verità della fede e perciò negazione o messa in dubbio di talune di esse[8];
- nell'apostasia come abiura e ripudio della fede;
- nella superstizione come falsificazione magico e divinatoria della relazione di fede a Dio[9].
La responsabilità verso gli altri, invece, è quella dell'annuncio della fede, cioè l'evangelizzazione.
Si tratta di un compito esigito dalla comunione ecclesiale e dalla vocazione missionaria, che il cristiano adempie come partecipazione ed espressione del 'dono profetico' di Cristo, quale servizio della Parola.
Un compito ecclesiale che riguarda, sia pure in forme diverse, in relazione alla diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri nella Chiesa, tutti i cristiani.
Questi sono non solo destinatari della fede, cioè evangelizzati, ma anche ministri, cioè evangelizzatori.
I cristiani adempiono il ministero della fede mediante:
- «la testimonianza di una vita autenticamente cristiana»[10];
- «la proclamazione verbale del messaggio» nella predicazione della Parola, intimamente persuasi che «la fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo» (Rm 10,14‑17)[11];
- la celebrazione della liturgia, in cui «Dio parla al suo popolo e Cristo annuncia ancora il suo vangelo» (SC n. 33; EN n. 43);
- la catechesi nella chiesa, nella scuola, nella famiglia per l'iniziazione e la formazione sistematica alla fede (EN n. 44);
- il dialogo intersoggettivo della fede «mediante cui la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro» (EN n. 46);
- l'utilizzo o l'accesso ai mezzi odierni della comunicazione sociale, «capaci di estendere quasi all'infinito il campo di ascolto della parola di Dio» (EN n. 45).
La fede non ammette un vissuto privato, individualistico, intimistico, che, però, non va confuso con il silenzio e il raccoglimento e con il vissuto claustrale ed eremitico.
La fede è un evento ecclesiale di accoglienza e di annuncio. Nella fede non si matura individualmente.
[1] RATZINGER J., Introduzione al cristianesimo, op cit., p. 21.
[2] ALFARO J., Fede, op. cit., p. 742.
[3] Cf Lumen gentium, 13, 16; Gaudium et spes, 22; Ad gentes, 7, in Ench. Vat. 1, 321; 326; 1389; 1104. «Dalla volontà salvifica universale di Dio (Mc 10,45, 14,24 Rm 5,12‑20; 1Cor 15,20ss; 1Tm 2,1‑ó; 4,10; Gv,1,29; 3,14‑17; 1Gv 2,2) e dalla assoluta necessità della lede per la salvezza (Eb 11,6; Gv 3,16‑21, D 1532 (801)) consegue che ogni uomo è chiamato da Dio alla opzione fondamentale della fede, cioè a determinare il senso della propria esistenza mediante l'accettazione o il rifiuto liberi della grazia» (ALFARO J., Fede, op. cit., p. 745).
[4] E vero anche l'inverso, e cioè che gli atti che non esprimono in situazione l'opzione fondamentale di fede sono atti di infedeltà.
[5] AUBERT J.M., Abrégé de la morale, op. cit., p. 179.
[6] Cf Clemente di Roma, Ad Corinthios, 36; PG 1, 281a, Cirillo di Gerusalemme, Catechesis, 5, 4; PG 33, 509a; Giovanni Crisostomo, Expositio in Psalmos, 45, 3; PG 55, 207c; Agostino, Epistulae 120, 8; PL 33, 455; Enarratio in Psalmos, 145, 19 PL 37, 1897d.
[7] Cf DE BPVIS A, Foi, op. cit., pp. 603‑613.
[8] L'eretico è uno «accecato dall'orgoglio» (1Tm 6,4), che antepone il suo punto di vista alla verità della rivelazione accolta e proposta dalla comunità di fede.
[9] Cf TRUTSCH J., Opposizioni alla fede, deformazioni della fede, in Mysterium salutis, op. cit., vol. II, pp. 498‑504; TETTAMANZI D., Fede e ZALBA M., Superstizione, in DETM, Roma 1973, pp.390‑392 1021‑1026, HARING B., Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici, Roma 1980, vol. II, pp. 283‑291.
[10] Cf PAOLO VI, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi», 41, in Ench. Vat. 5 1634; LG n. 11, in Ench. Vat. 1, 313.
[11] Cf Evangelii nuntiandi, 42, in Ench. Vat. 5, 1635. «come, si domanda 1'Apostolo, potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?» (Rm 10,14).
lunedì 17 marzo 2008
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