Il rendersi presente di Dio in Gesù Cristo, chiama alla conversione di fede (cf Mc 1,15; At 20,21; 2,38; 3,19), «convertitevi e credete» (Mc 1,15), quale radicale e totale rinuncia:
- a gloriarsi delle proprie opere,
- a non riporre la propria fiducia nelle prestazioni umane,
- ad affidarsi totalmente al dono salvifico di Dio in Cristo (cf 1Gv 4,16).
Gesù nel Vangelo esige tutto questo a causa della radicalità della sua chiamata: «Chi crede e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,16); «Se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati» (Gv 8,24).
L'esige la predicazione apostolica con la polarizzazione su «Gesù il Signore» (Rm 10,9; 1Cor 12,3) di tutta l'esistenza credente: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9; cf At 16,31).
E' «l'obbedienza della fede (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2Cor 10,5‑6) con la quale l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestandogli "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui» (DV n. 5).
La conversione, che è obbedienza alla fede, è atto decisivo di tutto l'esistere cristiano. Essa, in continuità con l'âman veterotestamentario, il pisteuein neotestamentario, esprime e realizza non solo la conoscenza, ma l’essere: essere in Cristo (cf Ef 3,17).
Si tratta, è ovvio, di un conoscere in senso specificamente biblico e propriamente giovanneo, che esprime la relazione che unisce in modo profondo a Gesù, il figlio di Dio, e dà la capacità di «dimorare in Dio» (1Gv 4,15).
Dimoriamo in Dio perché siamo «figli di Dio per la fede in Gesù Cristo» (Gal 3,26) e partecipi del suo Spirito per la stessa fede (cf Gal 3,14).
Questo senso trinitario della vita cristiana è espresso dalla giustificazione e salvezza che la fede opera nel credente:
- «Giustificati per la fede» (Rm 5,1; cfr. At 13,29; Rm 3,21‑31; 4,1‑6; 10,4; 13,22; Gal 2,16; 3,24‑26);
- «Salvati per grazia mediante la fede» (Ef 2,8; cfr. Lc 7,50; Mc 16,16; At 16,31; Rm 10,9).
La conversione causata dalla fede, quale rinunzia a ogni autosufficienza e autogiustificazione per affidarsi totalmente all'azione salvifica che Dio compie in noi per mezzo di Gesù Cristo, diviene anche conversione ontologica.
Nella fede, infatti, c'è la vita. Vita nuova, vita eterna: «Chi crede... ha la vita eterna, ...è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24; cfr. 3,16; 11,25‑26; Rm 1,17; Gal 3,11).
La fede, portatrice di vita, è suscitata in noi dal Vangelo, in cui l'evento Cristo si fa parola e quindi annuncio e kerigma[1]:
«La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo» (Rm 10,17)[2].
Tutto ciò va riconosciuto e affermato di Gesù che annuncia ed è annunciato. E' questo il dichiarato motivo per cui Giovanni ha scritto il suo vangelo «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate vita nel suo nome» (Gv 30,31).
Se poi dallo stesso Giovanni «il possesso della vita viene attribuito anche all'eucaristia (Gv 6, 54‑58) e all'amore del prossimo (1Gv 3,14), non è perché eucaristia e amore del prossimo siano vie accanto alla fede, ma perché sono atti che possono essere compiuti in senso pieno solo nella fede»[3].
Questa precisazione fatta per l'eucaristia vale per tutti i sacramenti, che sono:
- segni efficaci della vita in Cristo in quanto sacramenti della fede;
- segni indivisibilmente legati alla fede e alla vita.
L'amore a sua volta è datore di vita in quanto carità, cioè fede che ama (Gal 5,6), amore che esprime il dinamismo salvifico della fede.
Carità della fede dunque. Ma anche fede che esprime la dinamica unitiva, comunionale della carità.
Elementi questi di un atteggiamento essenzialmente recettivo:
- in se stesso,
- in rapporto al suo oggetto.
In se stesso in quanto la fede è grazia. E' virtù donata, infusa. La fede non è il risultato di una dimostrazione o l'effetto di una prestazione.
Essa è opera dell'azione attraente del Padre[4], della mediazione rivelatrice del Figlio[5], dell'interiorizzazione illuminante dello Spirito Santo[6].
Tutto ciò non esime però gli uomini «dal cercare Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni» (At 17,27) e dal «cercare la giustificazione in Cristo» (Gal 2,17).
Nella fede, poi, sappiamo che questa ricerca è essa stessa fecondata dalla grazia, cioè dall'azione preveniente di Dio.
L'atto di fede è un atto eminentemente libero, cioè non necessitato, risposta a un evento che lo precede come chiamata.
Ascoltare
La risposta è ascolto della fede!
Il credente è anzitutto un uditore della parola di Gesù e su Gesù, che è Parola rivelatrice del mistero della salvezza.
Credere è ascoltare la Parola per aderirvi. «Coloro che ascoltavano la parola degli apostoli venivano alla fede» (cfr. At 4,4; 18,8).
La fede è conseguenza dell'ascolto (cf Lc 1,15) e non della visione (cfr. Gv 20,29).
Nel versetto «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9), è espressa l'idea che il veduto, cioè Cristo, il Verbo, è mediazione sacramentale, segno visibile[7].
Ciò che si vede in Cristo non è il Padre, «non è la sua parola, la sua espressione uguale, ma la sua realtà umana. Il Cristo è la Parola del Padre!»[8].
Così «l'uditore della parola è chiamato:
- alla fede che è causata dall'ascolto,
- alla fede che ha per oggetto ciò che non è stato ancora visto,
- alla fede che è, allo stesso tempo, anticipazione della visione, che tende al compimento escatologico»[9].
Il cristiano, chiamato alla fede mediante la parola del Vangelo (cf 1Ts 2,13), vi risponde accogliendola «con docilità» (Gc 1,21), quale parola di Dio «che opera in voi che credete» (1Ts 2,13).
Si può, infatti, dare anche un ascolto non accogliente e docile, ma distratto, superficiale, refrattario, proprio di quanti «pur udendo non odono e non comprendono» (Mt 13,13).
Gesù ha messo in evidenza tutto ciò nella parabola del seminatore, che sta a significare i diversi atteggiamenti dell'uomo nei confronti della parola e della sua fecondità (cf Mt 13, 4‑23).
Analogamente si dica del vedere accogliente della fede, che è in antitesi a quel guardare incapace di vedere (cf Mt 13, 13‑14) e a quell'osservare superficiale incapace di discernere e cogliere i segni di Dio e della sua presenza nella storia.
«Diceva (Gesù) alle folle: Quando vedete la nube salire da ponente, subito dite: "Viene la pioggia", e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?» (Lc 12,54‑56).
Si tratta del tempo che è kairos, il tempo, cioè, della grazia e della salvezza, il tempo luminoso del giorno del Risorto, che si offre alla fede con cui l'uomo:
- opera la lettura degli eventi,
- penetra oltre il tempo pura durata e successione di episodi,
- coglie i significati profondi, la verità che va al di là del fenomeno, la dinamica salvifica, i segni della speranza.
I nostri occhi, dunque, mancano di Luce quando presumono di vedere Dio chiudendosi al 'tempo di grazia' (kairos).
Gesù, quando parla di tempo di grazia si riferisce certamente al tempo del suo evento non accolto. Tuttavia quell'evento penetra con la Pasqua nel tempo, dandogli spessore e significato, facendolo assurgere a tempo di grazia, invitando l’uomo a riconoscerlo e ad accoglierlo nella fede.
«Perché, aggiunge Gesù, non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57). Gesù, qui, mette in evidenza che l'atto di fede, con cui la libertà decide di sé e della realtà che lo circonda, non si può delegare e ad essa non ci si può sottrarre.
Pregare
Questo atto, che ingloba e dà forma a tutta l'esistenza credente, si esprime e acquista spessore nella preghiera, come «luogo» dell'incontro e della comunione dialogica con Dio, nelle forme dell'invocazione, dell'ascolto, della meditazione, del pentimento, della professione, dell'offerta, dell'affidamento, della domanda, della lode, del rendimento di grazie.
Non si dà fede senza preghiera, perché la fede acquista consistenza nella preghiera.
E' per questo che l'affievolirsi e l'estinguersi della preghiera segna l’inizio della crisi di fede.
Impossibile coltivare la fede in modo diverso!
Ci ha provato, inutilmente, il secolarismo cristiano!
La fede ha bisogno della preghiera, di una preghiera liberante perché liberata.
La preghiera deve essere il luogo di un'autentica esperienza di Dio in Gesù Cristo, a cui l'uomo della società tecnologica e informatica non è, malgrado tutto, meno sensibile e disponibile.
A quest’uomo non si può solo offrire ragionevoli motivi di credibilità della fede, ma è urgente insegnargli a scoprire la nella preghiera[10].
[1] Cf SCHLIER H., Per la vita cristiana, op. cit., p. 26).
[2] Cf SCHLIER H. Per la vita cristiana, op. cit., p. 27.
[3] Ivi.
[4] Cf VANHOYE A.; Notre foi, oeuvre divine d'après le quatrieme évangile in Nouvelle revue théologique, 96(1964), p. 354).
[5] Cf De Bovis A., Foi, op. cit, p. 549.
[6] Cf De Bovis A., Foi, op cit., pp. 549‑550.
[7] Cf Fries H., Teologia fondamentale, op. cit., pp. 97‑100.
[8] TRUTSCH J., L'uditore della parola di Dio, in Mysterium salutis, op. cit., vol. II p. 375. Nei debiti rapporti, lo stesso dicasi della Chiesa‑sacramento e dei sacramenti cf FRIES H., Teologia fondamentale, op. cit., pp. 100‑102.
[9] TRUTSCH J., L'uditore della parola, op. cit., p. 375.
[10] Sulla «preghiera come caso serio della fede» cf KASPER W., Introduzione alla fede, op. cit., pp. 95-102.
- a gloriarsi delle proprie opere,
- a non riporre la propria fiducia nelle prestazioni umane,
- ad affidarsi totalmente al dono salvifico di Dio in Cristo (cf 1Gv 4,16).
Gesù nel Vangelo esige tutto questo a causa della radicalità della sua chiamata: «Chi crede e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,16); «Se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati» (Gv 8,24).
L'esige la predicazione apostolica con la polarizzazione su «Gesù il Signore» (Rm 10,9; 1Cor 12,3) di tutta l'esistenza credente: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9; cf At 16,31).
E' «l'obbedienza della fede (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2Cor 10,5‑6) con la quale l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestandogli "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui» (DV n. 5).
La conversione, che è obbedienza alla fede, è atto decisivo di tutto l'esistere cristiano. Essa, in continuità con l'âman veterotestamentario, il pisteuein neotestamentario, esprime e realizza non solo la conoscenza, ma l’essere: essere in Cristo (cf Ef 3,17).
Si tratta, è ovvio, di un conoscere in senso specificamente biblico e propriamente giovanneo, che esprime la relazione che unisce in modo profondo a Gesù, il figlio di Dio, e dà la capacità di «dimorare in Dio» (1Gv 4,15).
Dimoriamo in Dio perché siamo «figli di Dio per la fede in Gesù Cristo» (Gal 3,26) e partecipi del suo Spirito per la stessa fede (cf Gal 3,14).
Questo senso trinitario della vita cristiana è espresso dalla giustificazione e salvezza che la fede opera nel credente:
- «Giustificati per la fede» (Rm 5,1; cfr. At 13,29; Rm 3,21‑31; 4,1‑6; 10,4; 13,22; Gal 2,16; 3,24‑26);
- «Salvati per grazia mediante la fede» (Ef 2,8; cfr. Lc 7,50; Mc 16,16; At 16,31; Rm 10,9).
La conversione causata dalla fede, quale rinunzia a ogni autosufficienza e autogiustificazione per affidarsi totalmente all'azione salvifica che Dio compie in noi per mezzo di Gesù Cristo, diviene anche conversione ontologica.
Nella fede, infatti, c'è la vita. Vita nuova, vita eterna: «Chi crede... ha la vita eterna, ...è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24; cfr. 3,16; 11,25‑26; Rm 1,17; Gal 3,11).
La fede, portatrice di vita, è suscitata in noi dal Vangelo, in cui l'evento Cristo si fa parola e quindi annuncio e kerigma[1]:
«La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo» (Rm 10,17)[2].
Tutto ciò va riconosciuto e affermato di Gesù che annuncia ed è annunciato. E' questo il dichiarato motivo per cui Giovanni ha scritto il suo vangelo «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate vita nel suo nome» (Gv 30,31).
Se poi dallo stesso Giovanni «il possesso della vita viene attribuito anche all'eucaristia (Gv 6, 54‑58) e all'amore del prossimo (1Gv 3,14), non è perché eucaristia e amore del prossimo siano vie accanto alla fede, ma perché sono atti che possono essere compiuti in senso pieno solo nella fede»[3].
Questa precisazione fatta per l'eucaristia vale per tutti i sacramenti, che sono:
- segni efficaci della vita in Cristo in quanto sacramenti della fede;
- segni indivisibilmente legati alla fede e alla vita.
L'amore a sua volta è datore di vita in quanto carità, cioè fede che ama (Gal 5,6), amore che esprime il dinamismo salvifico della fede.
Carità della fede dunque. Ma anche fede che esprime la dinamica unitiva, comunionale della carità.
Elementi questi di un atteggiamento essenzialmente recettivo:
- in se stesso,
- in rapporto al suo oggetto.
In se stesso in quanto la fede è grazia. E' virtù donata, infusa. La fede non è il risultato di una dimostrazione o l'effetto di una prestazione.
Essa è opera dell'azione attraente del Padre[4], della mediazione rivelatrice del Figlio[5], dell'interiorizzazione illuminante dello Spirito Santo[6].
Tutto ciò non esime però gli uomini «dal cercare Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni» (At 17,27) e dal «cercare la giustificazione in Cristo» (Gal 2,17).
Nella fede, poi, sappiamo che questa ricerca è essa stessa fecondata dalla grazia, cioè dall'azione preveniente di Dio.
L'atto di fede è un atto eminentemente libero, cioè non necessitato, risposta a un evento che lo precede come chiamata.
Ascoltare
La risposta è ascolto della fede!
Il credente è anzitutto un uditore della parola di Gesù e su Gesù, che è Parola rivelatrice del mistero della salvezza.
Credere è ascoltare la Parola per aderirvi. «Coloro che ascoltavano la parola degli apostoli venivano alla fede» (cfr. At 4,4; 18,8).
La fede è conseguenza dell'ascolto (cf Lc 1,15) e non della visione (cfr. Gv 20,29).
Nel versetto «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9), è espressa l'idea che il veduto, cioè Cristo, il Verbo, è mediazione sacramentale, segno visibile[7].
Ciò che si vede in Cristo non è il Padre, «non è la sua parola, la sua espressione uguale, ma la sua realtà umana. Il Cristo è la Parola del Padre!»[8].
Così «l'uditore della parola è chiamato:
- alla fede che è causata dall'ascolto,
- alla fede che ha per oggetto ciò che non è stato ancora visto,
- alla fede che è, allo stesso tempo, anticipazione della visione, che tende al compimento escatologico»[9].
Il cristiano, chiamato alla fede mediante la parola del Vangelo (cf 1Ts 2,13), vi risponde accogliendola «con docilità» (Gc 1,21), quale parola di Dio «che opera in voi che credete» (1Ts 2,13).
Si può, infatti, dare anche un ascolto non accogliente e docile, ma distratto, superficiale, refrattario, proprio di quanti «pur udendo non odono e non comprendono» (Mt 13,13).
Gesù ha messo in evidenza tutto ciò nella parabola del seminatore, che sta a significare i diversi atteggiamenti dell'uomo nei confronti della parola e della sua fecondità (cf Mt 13, 4‑23).
Analogamente si dica del vedere accogliente della fede, che è in antitesi a quel guardare incapace di vedere (cf Mt 13, 13‑14) e a quell'osservare superficiale incapace di discernere e cogliere i segni di Dio e della sua presenza nella storia.
«Diceva (Gesù) alle folle: Quando vedete la nube salire da ponente, subito dite: "Viene la pioggia", e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?» (Lc 12,54‑56).
Si tratta del tempo che è kairos, il tempo, cioè, della grazia e della salvezza, il tempo luminoso del giorno del Risorto, che si offre alla fede con cui l'uomo:
- opera la lettura degli eventi,
- penetra oltre il tempo pura durata e successione di episodi,
- coglie i significati profondi, la verità che va al di là del fenomeno, la dinamica salvifica, i segni della speranza.
I nostri occhi, dunque, mancano di Luce quando presumono di vedere Dio chiudendosi al 'tempo di grazia' (kairos).
Gesù, quando parla di tempo di grazia si riferisce certamente al tempo del suo evento non accolto. Tuttavia quell'evento penetra con la Pasqua nel tempo, dandogli spessore e significato, facendolo assurgere a tempo di grazia, invitando l’uomo a riconoscerlo e ad accoglierlo nella fede.
«Perché, aggiunge Gesù, non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57). Gesù, qui, mette in evidenza che l'atto di fede, con cui la libertà decide di sé e della realtà che lo circonda, non si può delegare e ad essa non ci si può sottrarre.
Pregare
Questo atto, che ingloba e dà forma a tutta l'esistenza credente, si esprime e acquista spessore nella preghiera, come «luogo» dell'incontro e della comunione dialogica con Dio, nelle forme dell'invocazione, dell'ascolto, della meditazione, del pentimento, della professione, dell'offerta, dell'affidamento, della domanda, della lode, del rendimento di grazie.
Non si dà fede senza preghiera, perché la fede acquista consistenza nella preghiera.
E' per questo che l'affievolirsi e l'estinguersi della preghiera segna l’inizio della crisi di fede.
Impossibile coltivare la fede in modo diverso!
Ci ha provato, inutilmente, il secolarismo cristiano!
La fede ha bisogno della preghiera, di una preghiera liberante perché liberata.
La preghiera deve essere il luogo di un'autentica esperienza di Dio in Gesù Cristo, a cui l'uomo della società tecnologica e informatica non è, malgrado tutto, meno sensibile e disponibile.
A quest’uomo non si può solo offrire ragionevoli motivi di credibilità della fede, ma è urgente insegnargli a scoprire la nella preghiera[10].
[1] Cf SCHLIER H., Per la vita cristiana, op. cit., p. 26).
[2] Cf SCHLIER H. Per la vita cristiana, op. cit., p. 27.
[3] Ivi.
[4] Cf VANHOYE A.; Notre foi, oeuvre divine d'après le quatrieme évangile in Nouvelle revue théologique, 96(1964), p. 354).
[5] Cf De Bovis A., Foi, op. cit, p. 549.
[6] Cf De Bovis A., Foi, op cit., pp. 549‑550.
[7] Cf Fries H., Teologia fondamentale, op. cit., pp. 97‑100.
[8] TRUTSCH J., L'uditore della parola di Dio, in Mysterium salutis, op. cit., vol. II p. 375. Nei debiti rapporti, lo stesso dicasi della Chiesa‑sacramento e dei sacramenti cf FRIES H., Teologia fondamentale, op. cit., pp. 100‑102.
[9] TRUTSCH J., L'uditore della parola, op. cit., p. 375.
[10] Sulla «preghiera come caso serio della fede» cf KASPER W., Introduzione alla fede, op. cit., pp. 95-102.
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