La carità che Dio è si è comunicata nella rivelazione.
«Noi abbiamo riconosciuto e creduto alla carità che Dio ha per noi» (1Gv 4,16).
La carità è la verità della fede, con la quale si conosce Dio che è carità: «Chi ama... conosce Dio» (1Gv 4,7; cf 4,8).
Avere fede vuol dire credere alla carità di Dio, che si è manifestata nel Figlio, relazionandoci a sé. Ne segue che ogni cristiano può dire di sé: «Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
La carità del Padre e del Figlio è stata effusa nei nostri cuore per il dono dello Spirito Santo (cf Rm 5,5), facendoci entrare nell'amore trinitario e abilitandoci a operare (cf Gal 5,6) e camminare (cf Ef 2,5; 2Gv 6) in essa.
La carità non designa primariamente la virtù del cristiano, ma l'essere di Dio. Non la prassi morale, ma la vita divina: «Dio è carità» (1Gv 4,8.16).
L'ontologia divina antecede la morale cristiana della carità. Ne segue che la carità morale attinge la teologalità alla carità fontale divina.
La virtù e il comandamento dell'amore sgorgano dall'amore ontologico trinitario, di cui il cristiano è reso partecipe per il dono sacramentale dello Spirito.
1. L'evento rivelatore della carità trinitaria
Gesù è la rivelazione di Dio che è amore!
In lui il mistero di Dio si svela come mistero d'amore sussistente ed effusivo. Si rivela non in un sistema di concetti, ma nella forma della storia, in quanto si fa evento, che la fede riconosce, accoglie e narra.
La fede conosce Dio guardando Gesù Cristo, Amore crocifisso. Essa è sguardo puntato sul Crocifisso: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37; cf 19,35‑37).
Espressione questa che richiama quella di Luca: «Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo... se ne tornavano percuotendosi il petto» (Lc 23,49).
La croce è lo «spettacolo» da contemplare per conoscere e convertirsi all'amore: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi» (1Gv 3,16).
Tutta l'esistenza di Gesù e, in modo sintetico, la croce e la risurrezione esprimono la storia trinitaria dell'amore. Gesù vive la sua vita come relazione di Figlio al Padre nella comunione dello Spirito Santo. L'evento di Gesù è la manifestazione dell'Amore trinitario, perché è storia dell'amore paterno, filiale e pneumatico di Dio.
1.1 La carità fontale e donante del Padre
L'evento è essenzialmente costituito dalla missione del Figlio e, per suo tramite e quale suo compimento, dall’invio dello Spirito Santo da parte del Padre[1].
Gesù è il mandato dal Padre: da lui «consegnato»[2], per la salvezza del mondo. Nella missione del Figlio unigenito si esprime l'amore fontale e donante del Padre.
Il Dio di Gesù Cristo non è il Dio impassibile (apatico) dei filosofi e delle religioni naturali.
E' il Dio passionale, pieno di "passione" per il suo popolo (simpatico)[3], rivelato dai profeti e che nel Figlio, donato per la salvezza dell'uomo, si presenta come un Padre amorevole.
Amore originario (cf 1Gv 4,19), gratuito (cf 1Gv 4,10), non motivato (cf Gv 3,16; 1Gv 4,9), immeritato (cf Rm 5,8).
Gesù è il Figlio prediletto, in cui il Padre si compiace (cf Mt 3,17; 12,18; 17,5). Egli è il dono d'amore del Padre per gli uomini: «Dio (il Padre) ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). «Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (cf 1Gv 4,9).
Gesù è la rivelazione dell'amore del Padre in tutta la sua vita.
Ma «il momento per eccellenza in cui l'amore del Padre risplende nella vita del Figlio è l'ora pasquale»[4], in cui la consegna del Padre assume la forma assoluta del sacrificio della croce per la redenzione: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32).
La consegna dell'iniquità, quella del tradimento e della condanna degli uomini (cf Mc 14,10; 15,1; 15,15), è trascesa dalla consegna dell'amore, quella, cioè, dell'offerta e del dono del Padre.
L'azione del Padre dà un nuovo significato alla vicenda umana della passione e della morte di Gesù, il significato, cioè, dell'amore assoluto e incalcolabile di Dio.
Nella consegna sacrificale del Figlio sulla croce, il Padre rivela l'immensità e la potenza redentiva del suo amore. «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10; cf 1Gv 4,19)[5]: «Dio (il Padre) dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
«In Cristo Dio sposa dall'interno la derelizione dell'uomo e si fa infinitamente vicino a lui, non con la prossimità di una causa metafisica, ma come una presenza personale totalmente amante. L'uomo, nella sua rivolta e nella sua disperazione, ha fatto sorgere un luogo spirituale in cui Dio non c'è: il luogo della morte, l'inferno. In Cristo, Dio discende fin nella sua propria assenza, va a cercare fino all'inferno la pecora perduta»[6].
La potenza redentrice di questo amore esplode in modo manifesto nella risurrezione del Crocifisso e nell’esaltazione del Figlio da parte del Padre: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 3,36).
La risurrezione è il trionfo dell'amore divino, che getta un fascio di luce retrospettiva sul mistero d'iniquità della passione e della morte, come su tutta la vita di Gesù, qualificandola come storia dell'amore del Padre.
Nella risurrezione il Padre si è pronunciato in modo inequivocabile a favore di Gesù Cristo. La «consegna» che egli fa del proprio Figlio sulla croce si rivela a Pasqua come il dono della vita che è più forte della morte: «Dio (il Padre) lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24).
Onnipotenza dell'amore divino, che ha il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo (cf Gv 10, 17‑18).
La potenza di questo amore coinvolge anche l'uomo. Nella risurrezione del Crocifisso, cioè, il Padre si è pronunciato anche sull'uomo.
«Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù» (Ef 2, 4‑6).
[1] Cf BIFFI I., La «carità» nella metodologia della teologia sistematica, in La carità. Teologia e pastorale alla luce del Dio‑Agape (a cura del Pontificio Istituto Pastorale dell'Università Lateranense), Bologna 1988, p. 76.
[2] Cf POPKES W., Christus traditus. Eine Untersuctung zum Begriffder Dabingabe im Neuen Testament, Zurich 1967.
[3] Cf KASPER W., Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1987, p. 267.
[4] BORDONI M., Gesù di Nazareth. Signore e Cristo, vol. III: Il Cristo annunciato dalla Chiesa, Herder‑Università Lateranense, Roma 1986, p. 128.
[5] Cf SPICQ C., Agapé dans le Nouveau Testament: Analyses des textes, Gabalda, Paris 1959, vol. III, p. 132.
[6] CLEMENT O., La charité comme don et révélation de Dieu, in La charité aujaurd’hui, Ed. S.O.S., Paris 1981, pp. 121‑122.
Gesù è la rivelazione di Dio che è amore!
In lui il mistero di Dio si svela come mistero d'amore sussistente ed effusivo. Si rivela non in un sistema di concetti, ma nella forma della storia, in quanto si fa evento, che la fede riconosce, accoglie e narra.
La fede conosce Dio guardando Gesù Cristo, Amore crocifisso. Essa è sguardo puntato sul Crocifisso: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37; cf 19,35‑37).
Espressione questa che richiama quella di Luca: «Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo... se ne tornavano percuotendosi il petto» (Lc 23,49).
La croce è lo «spettacolo» da contemplare per conoscere e convertirsi all'amore: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi» (1Gv 3,16).
Tutta l'esistenza di Gesù e, in modo sintetico, la croce e la risurrezione esprimono la storia trinitaria dell'amore. Gesù vive la sua vita come relazione di Figlio al Padre nella comunione dello Spirito Santo. L'evento di Gesù è la manifestazione dell'Amore trinitario, perché è storia dell'amore paterno, filiale e pneumatico di Dio.
1.1 La carità fontale e donante del Padre
L'evento è essenzialmente costituito dalla missione del Figlio e, per suo tramite e quale suo compimento, dall’invio dello Spirito Santo da parte del Padre[1].
Gesù è il mandato dal Padre: da lui «consegnato»[2], per la salvezza del mondo. Nella missione del Figlio unigenito si esprime l'amore fontale e donante del Padre.
Il Dio di Gesù Cristo non è il Dio impassibile (apatico) dei filosofi e delle religioni naturali.
E' il Dio passionale, pieno di "passione" per il suo popolo (simpatico)[3], rivelato dai profeti e che nel Figlio, donato per la salvezza dell'uomo, si presenta come un Padre amorevole.
Amore originario (cf 1Gv 4,19), gratuito (cf 1Gv 4,10), non motivato (cf Gv 3,16; 1Gv 4,9), immeritato (cf Rm 5,8).
Gesù è il Figlio prediletto, in cui il Padre si compiace (cf Mt 3,17; 12,18; 17,5). Egli è il dono d'amore del Padre per gli uomini: «Dio (il Padre) ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). «Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (cf 1Gv 4,9).
Gesù è la rivelazione dell'amore del Padre in tutta la sua vita.
Ma «il momento per eccellenza in cui l'amore del Padre risplende nella vita del Figlio è l'ora pasquale»[4], in cui la consegna del Padre assume la forma assoluta del sacrificio della croce per la redenzione: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32).
La consegna dell'iniquità, quella del tradimento e della condanna degli uomini (cf Mc 14,10; 15,1; 15,15), è trascesa dalla consegna dell'amore, quella, cioè, dell'offerta e del dono del Padre.
L'azione del Padre dà un nuovo significato alla vicenda umana della passione e della morte di Gesù, il significato, cioè, dell'amore assoluto e incalcolabile di Dio.
Nella consegna sacrificale del Figlio sulla croce, il Padre rivela l'immensità e la potenza redentiva del suo amore. «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10; cf 1Gv 4,19)[5]: «Dio (il Padre) dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
«In Cristo Dio sposa dall'interno la derelizione dell'uomo e si fa infinitamente vicino a lui, non con la prossimità di una causa metafisica, ma come una presenza personale totalmente amante. L'uomo, nella sua rivolta e nella sua disperazione, ha fatto sorgere un luogo spirituale in cui Dio non c'è: il luogo della morte, l'inferno. In Cristo, Dio discende fin nella sua propria assenza, va a cercare fino all'inferno la pecora perduta»[6].
La potenza redentrice di questo amore esplode in modo manifesto nella risurrezione del Crocifisso e nell’esaltazione del Figlio da parte del Padre: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 3,36).
La risurrezione è il trionfo dell'amore divino, che getta un fascio di luce retrospettiva sul mistero d'iniquità della passione e della morte, come su tutta la vita di Gesù, qualificandola come storia dell'amore del Padre.
Nella risurrezione il Padre si è pronunciato in modo inequivocabile a favore di Gesù Cristo. La «consegna» che egli fa del proprio Figlio sulla croce si rivela a Pasqua come il dono della vita che è più forte della morte: «Dio (il Padre) lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24).
Onnipotenza dell'amore divino, che ha il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo (cf Gv 10, 17‑18).
La potenza di questo amore coinvolge anche l'uomo. Nella risurrezione del Crocifisso, cioè, il Padre si è pronunciato anche sull'uomo.
«Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù» (Ef 2, 4‑6).
[1] Cf BIFFI I., La «carità» nella metodologia della teologia sistematica, in La carità. Teologia e pastorale alla luce del Dio‑Agape (a cura del Pontificio Istituto Pastorale dell'Università Lateranense), Bologna 1988, p. 76.
[2] Cf POPKES W., Christus traditus. Eine Untersuctung zum Begriffder Dabingabe im Neuen Testament, Zurich 1967.
[3] Cf KASPER W., Il Dio di Gesù Cristo, Brescia 1987, p. 267.
[4] BORDONI M., Gesù di Nazareth. Signore e Cristo, vol. III: Il Cristo annunciato dalla Chiesa, Herder‑Università Lateranense, Roma 1986, p. 128.
[5] Cf SPICQ C., Agapé dans le Nouveau Testament: Analyses des textes, Gabalda, Paris 1959, vol. III, p. 132.
[6] CLEMENT O., La charité comme don et révélation de Dieu, in La charité aujaurd’hui, Ed. S.O.S., Paris 1981, pp. 121‑122.
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