Questa libertà nell'uomo è amore per il sommo bene. L'amore del sommo bene nel cristiano è amore di Dio, cioè, carità teologale.
La carità è il costitutivo essenziale della volontà e libertà del cristiano, cioè tensione al dover‑essere nella carità.
Ciò implica che ogni bene, atto e virtù particolari, sono moralmente tali in quanto partecipazione espressiva della relazione e ordinazione al sommo bene e fine ultimo, che è la carità.
Questo significa che la carità informa tutto il bene oggettivamente considerato e tutta l'attività morale del soggetto agente.
Senza questa bontà formale che gli deriva dall'essere ordinato al fine ultimo, il bene particolare di una virtù o di un atto non sarebbe altro che una realtà senza valore morale, dunque premorale e, se contraria al fine, immorale.
Ne consegue che la bontà morale di un atto di virtù è dato «dall'informazione oggettiva dell'amore del fine, e sul piano soprannaturale, della carità»[1].
Dal che emerge come l'ordinamento al fine si realizza già sul piano degli oggetti (finis operis), cioè nella determinazione oggettiva del bene e del male morale, prima di compiersi sul piano dell'azione[2].
Si tratta della tesi di Tommaso, il quale afferma che «caritas est forma virtutum».
Sarebbe a dire che la carità dà il proprio oggetto e fine ad ogni virtù[3], per questo diviene il principio efficiente, imperante[4] e movente[5], della volontà virtuosa. Ogni virtù, cioè, partecipa della carità[6].
Si può parafrasare così l’insegnamento di Tommaso: «l'oggetto, il fine e la forma propria dell'atto di carità sono l'unione con Dio, con se stesso e con il prossimo. Quando si dice che la carità dà a tutti gli atti da lei imperati la sua propria forma, o più esattamente la forma corrispondente al fine proprio verso cui essa tende, si vuol dire che essa li fa partecipare alla sua propria perfezione specifica, che è di raggiungere Dio»[7].
Anche la fede e la speranza hanno come oggetto Dio e insieme con la carità danno consistenza alla vita teologale.
Ma solo la carità attinge Dio in se stesso, instaura un rapporto interpersonale, da soggetto a soggetto, con Dio.
Detto rapporto viene definito «comunione di amicizia», perché relaziona a Dio direttamente.
La riflessione teologica classica insegna che solo la carità rapporta a Dio direttamente (sub ratione finis). La fede e la speranza invece rispettivamente in ragione della verità e in ragione di un bene difficile.
«La fede e la speranza, precisa San Tommaso, raggiungono Dio in quanto causa in noi la conoscenza della verità e il conseguimento della beatitudine; invece la carità raggiunge Dio come è in se stesso, non in quanto causa di qualche beneficio per noi »[8].
E’ per questo motivo che tra le virtù teologali «la più grande è la carità» (1Cor 13,13), infatti è essa che rende stabile la libertà del cristiano nella comunione con Dio, così da dare forma all’operare virtuoso. Ogni intenzione progettuale e operativa di bene particolare o categoriale è resa partecipa della perfezione soprannaturale.
Ciò non significa che ogni atto o virtù particolari siano assorbiti dalla carità, perdendo così la propria specificità. Infatti la carità non offusca, né annulla l'oggetto o il fine da cui ogni atto e atteggiamento morale sono resi specifici, ma li unifica nel suo orizzonte complessivo di significato e fine.
La giustizia, la sincerità, la castità, l'ubbidienza, l'umiltà... e ogni altra virtù morale saranno sempre specificate dal loro oggetto, fine e bene particolare[9].
Ne consegue che la libertà, che le intenziona e attua in situazione, è una libertà distinta di giustizia, di sincerità, di castità, di ubbidienza, di umiltà... Tuttavia ogni oggetto o fine particolare, per essere un bene morale, oggetto dunque di virtù, «non può non essere relazionato al "bene divino", che è oggetto della carità»[10].
Tutti i beni o valori particolari, e relative virtù, in quanto espressione del bene divino, intenzionato dalla libertà, hanno rapporto ontologico con la carità.
Dunque, la carità non si distingue dalle altre virtù, come queste si distinguono fra loro, in nome cioè del diverso bene o oggetto, proprio di ciascuna.
Si distinguono, invece, per il bene semplice e particolare[11].
Il "bene semplice" è tutto il bene nella sua globalità che polarizza e realizza tutta la persona.
Il "bene particolare" è un aspetto parziale, un'espressione particolare del primo, in cui questo prende corpo[12].
San Tommaso li distingue come il fine e i mezzi e precisa: «Bene principale è il fine: infatti i mezzi ordinati al fine non sono beni che in ordine al fine»[13].
La carità è la virtù del fine, perché ordina al Bene supremo e ultimo, i beni particolari e gli atti che li assumono.
Ogni bene, in quanto ordinabile al fine è virtù, in quanto, stabilmente riconosciuto e assunto dalla libertà, diviene un « vero bene »[14].
Cosicché «non può esserci vera virtù senza la carità»[15] e ogni virtù è espressione della carità, «in quanto le virtù non sono altro che facoltà dei mezzi o dei fini intermediari»[16] e particolari.
La libertà esprime interamente se stessa, realizza la persona in relazione al Bene e Fine ultimo, nella pluralità dei beni e dei fini particolari, oggetto di atti e virtù diverse, in cui si realizza il bene[17].
La carità è la libertà fondamentale, il dinamismo profondo, che assume molteplici forme quando diviene attività determinata da oggetti diversi»[18].
L'unica carità si esplica in virtù e atti diversi, come un dinamismo totale si esprime in dinamismi parziali.
La carità esercita sugli atti una causalità efficiente, la causalità propria della volontà di carità interamente finalizzata dall'amore di Dio, che si esprime nelle opzioni dei beni particolari[19].
La carità è la volontà elevata dallo Spirito dell'amore del Padre e del Figlio. Volontà e libertà trasformate in realtà soprannaturali. Il dover‑essere che diviene essere per mezzo della grazia.
Colta così la carità ha radicamento ontologico, è la forza del nostro essere più profondo, è noi stessi in quanto libertà in atto.
Non una qualità esterna o un'intenzione aggiunta, ma la forma costitutiva e dinamica dell'essere e dover‑essere in Cristo[20].
«Ciò che la grazia santificante fa nella nostra sostanza, la carità lo fa nella nostra volontà; essa ci consente d'amare, cioè di entrare in comunione con Dio e con gli altri, non più nella misura nostra, ma con lo stesso amore di Dio.
La carità trasporta in noi, in certo modo, lo stesso amore trinitario, o meglio trasporta noi in esso... La carità attua già quaggiù il contatto d'amore che persisterà in cielo... Tale è il valore del nostro amore di carità che è "sovra‑amore"»[21].
La nostra libertà d'amore divinizzata dalla grazia è l'espressione creata della carità increata, partecipazione alla carità divina.
Tutta la vita morale dell'uomo in Cristo, in se stessa e nella pluralità dei suoi atti, è carità che narra l'amore trinitario, espressione effusiva della carità divina.
La carità nel cristiano partecipa della carità trinitaria come provenienza e come destinazione. Tutto l'agire cristiano ne condivide il finalismo trinitario[22].
La carità non si realizza come un'opera, non si esprime, come le altre virtù, in esigenze ben determinate, ma attua l'uomo stesso in totalità di libertà e fedeltà.
La carità, partecipazione dell'amore divino, coinvolge l'uomo in pienezza di cuore. E’ amare «con tutto se stessi» (cf Dt 6,5; Mt 22,37; Mc 12,30), espressione della radicalità della carità di Cristo.
Per questo la carità non è solo un comandamento, è l'uomo stesso «in quanto possibilità d'amore nell'accoglienza dell'amore di Dio, in cui Dio dà tutto se stesso»[23].
Il «se stesso» di Dio, come dono d'amore, è il «tutto se stessi» della carità nell'uomo.
Motivo per cui il peccato è il rifiuto di affidarsi a questo tutto dell'amore di Dio, è il non‑amore di una volontà chiusa su se stessa.
Il tutto della carità di Dio nell'uomo non significa indeterminatezza, ma matrice di ogni determinazione, in cui il Bene è oggettivamente riconoscibile e realmente attuabile[24].
Come tale la carità è anche comandamento: espressione concreta dell'amore di Dio e del prossimo.
Nella carità si compendia e si irradia tutto il bene.
Essa è il centro di unità diffusivo di tutti i comandamenti e le virtù, principio di tutta la vita morale.
Da qui il celebre detto di Agostino: «Ama et fac quod vis»[25]
[1] GILLMANN G., Il primato della carità, op. cit., p. 56.
[2] Cf Ivi, pp. 56‑57; RAHNER K., Il comandamento dell'amore, op. cit., pp. 376‑377.
[3] Cf S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23, art. 8.
[4] S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23, art. 4.
[5] S. Tommaso, Commentum in tertium librum Sententiarum, d. 27, q. 2, art. 4, s. 3, ad 4.
[6] La carità‑«forma» è detta pertanto da san Tommaso «fondamento», «radice», «fine» e «madre» di tutte le virtù: cf S. Th., II‑II, q. 23, art. 8.
[7] GILLMANN G., Il primato della carità, op. cit., p. 57.
[8] S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23, art. 6.
[9] Cf S. Tommaso, S. Th., II‑II q. 23, art. 7.
[10] PIGNA A., Carità, op. cit., p. 445.
[11] Cf Ivi.
[12] Cf RAHNER K., Il comandamento dell'amore, op. cit., p. 386.
[13] S Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23 art. 7.
[14] Cf Ivi.
[15] Cf Ivi.
[16] Cf RAHNER K., Il comandamento dell'amore, op. cit., pp. 376‑393.
[17] Cf GILLMANN G., Il primato della carità, op. cit., pp. 183‑184.
[18] Cf GILLMANN G., Il primato della carità, op. cit., pp. 183‑184.
[19] Cf Ivi, pp. 184‑185
[20] Cf Ivi. pp. 168‑169. 223: Ivi, p. 170.
[21] Ivi, p. 170.
[22] Cf Ivi, p. 171
[23] RAHNER K., Il comandamento dell'amore, op. cit., p. 403. 226; cf Ivi, pp. 394‑404.
[24] Cf Ivi, pp. 394-404
[25] «Eccoti dunque una brevissima norma che compendia tutto: ama e fa' ciò che vuoi! Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che tu perdoni, perdona per amore. L'amore affondi come una radice nel tuo cuore: da questa radice non può procedere se non il bene» (S. Agostino, Tractatus in epistolam Joannis ad Parthos, VII, 8; PL 35, 2033).
domenica 27 aprile 2008
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