2.2. La carità motivante di Cristo
Vivere la novità cristiana dell'amore vuol dire al tempo stesso amare con la stessa motivazione di Cristo. «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19).
L'amore di Dio in Cristo per noi è il principio fondante della carità[1]. L'amore «come» Cristo è effettivamente possibile «perché» lui ce lo ha mostrato e donato. Noi vi attingiamo non solo l'esempio normativo ma anche la forza motivazionale.
Esso non è offerto solo alla nostra attenzione contemplativa; ma ci coinvolge come destinatari e beneficiari e ci sospinge e incalza.
La carità ama in nome di Dio che in Cristo mi ama: non primariamente in nome del prossimo amato. «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).
Il cristiano non conosce l'amore sulla base di un'assiologia puramente umana o di un'antropologia razionale; ma sulla base dell'evento storico‑salvifico dell'amore di Dio in Cristo Gesù per noi.
Questo l'evento non solo rivelativo dell'amore cui siamo chiamati e della sua radicalità («dobbiamo dare la vita per i fratelli»), ma anche fondativo di questo amore («egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo...»).
Si badi bene: è fondativo non del dovere di dare la vita per lui, ma dell'obbligo di dare la vita per i fratelli. Noi amiamo i fratelli perché Dio in Cristo ci ama: «Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Cor 4,11).
La norma dell'amore fraterno deriva la sua forza obbligante dalla certezza di essere amati da Dio: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16).
Amore donatoci nel dono salvifico del Figlio: «In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9).
Questo suscita la professione della fede: «Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo» (1Gv 4,14).
Nel «perché» Dio in Cristo ci ha amati e ci ama c'è l'inedito della carità e della sua esigibilità. Ciò significa che, quando anche dovessero venir meno tutti i motivi umani d'amore del prossimo, tutti i supporti e gli stimoli affettivi, tutte le ragioni di relazione e di comunicazione, resta il dato incontrovertibile di essere io amato da Dio, di essere io beneficiario della carità di Cristo.
Il servo senza pietà della parabola (cf Mt 18, 23‑35), in base a una giustizia puramente umana, si sentiva persino legittimato a esigere la restituzione del prestito dal proprio debitore.
Invece doveva condonargli il debito, doveva usargli misericordia in nome della pietà di cui era stato beneficiario da parte del re‑signore: «Io ti ho condonato tutto il debito... non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18, 32‑33; cf 18, 23‑35).
Questo significa che l'amore di Dio per noi trova corrispondenza e reciprocità nella testimonianza dell'amore fraterno.
Noi diciamo l'amen della fede a Dio nella fedeltà con cui amiamo i fratelli. Ciò che decide del nostro rapporto con Dio è «la fede operante nella carità» (Gal 5,6)[2].
Amando il prossimo perché Dio ci ama, noi troviamo la ragione dell'amore altrui e la perfetta reciprocità nell'amore di Dio.
Le ragioni della carità e del suo radicalismo non sono né quelle della filantropia, né quelle della contrattualità legale, né quelle del sentimento emotivo: sono le ragioni della «fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 5,20; cf Ef 5,2).
Queste ragioni, dettate dallo Spirito, donano alla libertà del cristiano la forza persuasiva della carità di Cristo, che lo rendono capace di un amore difficilmente comprensibile e motivabile da una logica puramente umana. Questa è la carità dei santi, l'amore propriamente cristiano, cui è chiamato ogni discepolo: è l'amore «come» e «perché» Cristo.
[1] SEGALLA G., Giovanni, Roma 1980, p. 374.
[2] ALFARO J., Esistenza cristiana, op. cit., p. 190.
martedì 22 aprile 2008
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