2.2. Non si da amore per Dio a prescindere dall'uomo
E' anche vero che non si dà amore per Dio senza amore per l'uomo. Non è in discussione l'atto di amore verso Dio, quasi che questo passi attraverso le opere di carità verso il prossimo, a discapito dell'amore di Dio e delle espressioni e dei momenti in cui esso prende corpo[1].
Abbiamo già evidenziato come la carità di Dio in noi susciti primariamente il nostro amore per Dio. Ma non senza l'amore per il prossimo. L'amore per Dio, lungo tutto il messaggio neotestamentario, passa imprescindibilmente attraverso l'amore per il prossimo.
Già l'esiguo numero di testi sull'amore per Dio in tale messaggio[2], rispetto ai numerosi richiami all'amore per il prossimo, è indice di come non possa questi essere ricercato indipendentemente dall'amore dell'uomo.
Nell'annuncio di Gesù e nella predicazione apostolica sono evidenti i riferimenti di gran lunga prevalenti all'amore del prossimo e l'insistenza sulla inseparabilità dell'amore per Dio dall'amore per gli uomini.
Questa inseparabile connessione fa sì che l'amore del prossimo sua una conseguenza dell'amore di Dio.
A. Anzitutto una relazione di conseguenza: «Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio ami anche il suo fratello» (1Gv 4,21). L'imperativo segue l'indicativo della paternità di Dio e della figliolanza dell'uomo, che suscita l'amore filiale per il Padre e di conseguenza l'amore fraterno: «Chi ama colui che ha generato ama anche chi da lui è stato generato» (1Gv 5,1).
Si tratta di una implicazione intrinseca alla logica dell'amore: l'amore per il Padre deve esse seguito dall'amore per i fratelli.
La paternità di Dio suscita l'osservanza del suo comandamento. «In questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti» (1Gv 5,3; cf 2Gv 6). Ora, «questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato» (1Gv 3,23).
La predicazione di Giovanni, riflette il kerigma di Gesù, fa scaturire l'amore tra i discepoli dall'amore per lui, amato come Dio e Signore: «se mi amate, dice Gesù, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15); «chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (Gv 14,21); oppure «questo è il mio comandamento: che vi amiate reciprocamente» (Gv 15,12; cf 13,34; 15,17).
L'amore per Gesù suscita nei discepoli l'amore vicendevole che diventa espressione di fedeltà alla sua volontà.
L'amore vicendevole non è soltanto conseguenza dell’esigenza irrinunciabile dell'amore per Dio, ma il criterio di verità. Un amore per Dio e per Gesù Cristo, incurante dei fratelli, rischia il verbalismo di chi dice «Signore, Signore!», ma non adempie la sua volontà (cf Mt 7,21), o anche il cultualismo di chi presume presentare la propria offerta a Dio senza prima riconciliarsi col proprio fratello (cf Mt 5, 23‑24).
L'amore fraterno è il comandamento primordiale (cf 1Gv 2,7; 3,11), in cui l'amore per Dio si fa visibile: «Se uno dicesse: "Io amo Dio" e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio ami anche il suo fratello» (1Gv 4, 20‑21).
La verità del nostro essere cristiano è data dall’amore per Dio e per Gesù Cristo reso autentico dall'amore per il prossimo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 10,34). Ne consegue che la verità della fede, che configura il cristiano, è data dalla sua operosità nell'amore del prossimo (cf Gal 5,6), concretamente dimostrata da opere di carità (cf Gc 2,14‑26), perché «la fede senza le opere è morta» (Gc 2,26).
Per Giovanni la vita cristiana si riassume nell'imperativo «rimanete in me» (Gv 15,4.5.6), «rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Il «rimanere» è l’indicativo di un rapporto di comunione, di una relazione con Cristo, realizzabile solo con l'osservanza dei suoi comandamenti: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore» (Gv 15,10), e «il mio comandamento è questo: che vi amiate reciprocamente» (Gv 15,12).
«L'imperativo "rimanete in me" si risolve nell'imperativo "amatevi reciprocamente" »[3].
Giovanni, poi, assume a modello la carità di Cristo: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua ma coi fatti e nella verità.
Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri» (1Gv 3,16‑19).
L'amore per il prossimo, in cui si riassume il comandamento di Dio, non solo non sopprime l'amore per Dio, ma gli dà credibilità, sottraendolo ad un falso misticismo: «Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,12).
L’amore di Dio, che raggiunge la perfezione nell'amore fraterno, è l'amore che viene da Dio e suscita in noi l'amore per lui e per i fratelli[4].
«Immagine e riflesso di Dio» (1Cor 11,7; cf Gn 1,27) e «conforme all'immagine del Figlio suo» (Rm 8,29; cf Col 3,10), il fratello mi mostra il volto invisibile di Dio e di Cristo. Per questo l’amore di Dio si fa visibile e credibile nell'amore per i fratelli[5].
Cristo si fa prossimo a noi nell'indigenza del fratello che c'interpella: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me» (cf Mt 25, 34‑40).
Donare al fratello è donare a Cristo![6].
L'inseparabile connessione dell'amore del prossimo con l'amore di Dio raggiunge qui la sua massima espressione[7].
Quando Giovanni fa dell'amore del prossimo il comandamento nuovo (cf Gv 15,12; 13,34; 1Gv 2,8; 2Gv 4‑6) e Paolo riassume in esso tutta la morale (cf Rm 13,8.10; Gal 5,14), non è perché il prossimo sovrasta e soppianta Dio, ma perché nel prossimo si ama Dio[8].
Afferma Rahner: «è vero in senso radicale, cioè per una necessità ontologica, non soltanto "morale" o "psicologica", che chi non ama il fratello che "vede", non può amare nemmeno Dio che non vede, e uno può amare Dio che non vede soltanto amando intensamente il fratello che vede»[9].
La carità dà un'impronta teologale a tutte le nostre disposizioni relazionali. Si pensi, per esempio, all'atteggiamento dei ricchi stigmatizzato dal vangelo come durezza, alterigia e disprezzo nei confronti del prossimo e orgoglio nei confronti di Dio.
Al contrario la povertà, «che è anzitutto uno stato d'indigenza e di dipendenza nei riguardi degli altri, diventa progressivamente atteggiamento dell'uomo davanti a Dio,... un'apertura ai suoi doni che legano definitivamente l'uomo a Dio»[10].
L’amore per il fratello non è altro che un amore riconoscente all'amore con cui Dio ama l’umanità.
La carità è: amore di Dio in me, che ritorna a Dio nell'amore del fratello.
L’amore per Dio che ignora o esclude il fratello è come il talento della parabola (cf Mt 25, 14‑30), ricevuto e riconsegnato senza frutto, senza gratitudine. Un amore per Dio che fruttifica in opere di carità è invece amore grato e gradito a Dio: «Adorazione del Padre in spirito e verità» (Gv 4,23).
[1] RAHNER K., Unità dell'amore..., op. cit., p. 395).
[2] Cf PENNA R., Solo l'amore non avrà mai fine. Una lettura di 1Cor 13 nella sua pluralità di senso, in La carità. Teologia e pastorale alla luce di Dio‑Agape op. cit., p. 30; DE LA POTTERIE I., L'amore per Dio‑Padre fonte dell'amore per i figli di Dio, in Amerai Dio e il prossimo tuo, op. cit., pp. 197‑198).
[3] MAGGIONI B., Amatevi come io vi ho amato, op. cit., p 165.
[4] Cf PRETE B., Lettere di Giovanni, op. cit., p. 87.
[5] RAHNSR K., Unità dell'amore..., op. cit., p. 393).
[6] Cf LOCHET L., Charité fraternelle et vie trinitaire, in Nouvelle Revue Théologique 88(1956), pp. 116‑120.
[7] RAHNER K., Unità dell'amore..., op. cit., p. 408; cf anche pp. 405‑410).
[8] S. Agostino, De Trinitate, VIII, 7 10, PL 42, 957).
[9] RAHNER K., Unità dell'amore..., op. cit., p. 410.
[10] Cf LOCHET L., Charité fraternelle, op. cit., p. 119, PIGNA A., Carità, in Dizionario enciclopedico di spiritualità, Roma 1990, vol. I, p. 439.
domenica 13 aprile 2008
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