4. Partecipazione dell'uomo alla pericoresi trinitaria della carità
L’effusione dell'amore di Dio nel mondo e nella storia coinvolge l'uomo in profondità. Questi non sta in rapporto con Dio come un qualsiasi elemento del mondo, ma con la dignità di soggetto.
Il suo essere «immagine e somiglianza» di Dio (Gn 1,26) indica la sua provenienza dall'Amore, che lo pone in essere come partner della comunione divina: non una cosa, né un «lui» estraneo, ma un «tu» in relazionale nell'amore.
L'uomo è persona perché chiamato dall'amore divino all'esistenza, come tale costituito in libertà di amore. Egli è chiamato nel tempo con lo stesso atto d'amore con cui il Padre dall'eternità chiama il Figlio.
Per cui egli è per partecipazione in rapporto al Padre nella stessa condizione e dignità in cui è il Figlio per generazione: figlio a immagine del Figlio.
L'uomo è costituito persona dall'amore del Padre per il Figlio. «Quell'amore paterno che genera il Figlio fin dall'eternità... chiama in vita le creature che sono create secondo l'immagine del Figlio e rispondono all'amore del Padre in comunione con il Figlio. La creazione deriva dall'amore che il Padre ha per il Figlio eterno. E così essa è chiamata a rendere beato Dio sintonizzandosi con l'obbedienza del Figlio e con la sua risposta d'amore al Padre»[1].
L'uomo è in relazione filiale con il Padre a causa del Figlio e per il dono dello Spirito[2].
Su tale partecipazione agisce come forza distruttiva il peccato. Questo è il rifiuto d'amare, l'anti‑amore, con effetti devastanti sulla condizione originaria dell’uomo, co‑soggetto della carità trinitaria. L'uomo subisce i contraccolpi nella lontananza, nello smarrimento, nella solitudine e nell’insignificanza.
Su questa condizione interviene l'amore salvifico di Dio, per ristabilire la comunione trinitaria perduta.
Tutto in assoluta gratuità dell'Amore, che riconduce l'uomo al dialogo trinitario della carità.
Il «meraviglioso scambio» tra la nostra condizione di peccato e la dignità filiale si compie nella solidarietà, fino alla morte, del Figlio con tutti i peccatori. La sua risurrezione afferma, invece, segna il trionfo redentore dell'amore sulle potenze disgregatrici dell'egoismo e dell'orgoglio.
Col dono pasquale dello Spirito l'uomo è raggiunto dalla potenza dell’amore (cf 1Gv 3,1): è ricostituito nella nuova condizione di figlio (cf 1Gv 3,1; Rm 8,6), per nuova conformazione ontologica al Figlio: «Dio mandò il suo Figlio... perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,4.6; cf Rm 8,15)[3].
«Esistere nello Spirito è essere presi in un movimento di trasformazione che ci assimila al Figlio e, mediante lui, ci introduce nel Padre. Come ha visto bene Atanasio d'Alessandria, ricevendo lo Spirito, "noi diventiamo per lo Spirito uno nel Verbo e, per il Verbo, nel Padre". In effetti, "lo Spirito è nel Verbo, il quale è nel Padre". Non basta dire che le missioni divine hanno il loro fondamento nelle processioni: bisogna aggiungere che hanno come fine di farci partecipare ad esse, a quella almeno in virtù della quale il Figlio è "Figlio" e "Dio"»[4].
Questa partecipazione dell'uomo al dialogo dell’amore trinitario «costituisce la sua nuova condizione di creatura e di figlio di Dio (1Gv 3,1), come lo statuto di un'esistenza nell'amore. È l'azione divinizzante (theopoiesis) di cui parlano la tradizione patristica e scolastica, affermando una presenza stabile (inabitazione) della Trinità nel credente, per cui egli è "personalmente" in uno stato nuovo esistenziale di "comunione" con il Cristo ed in lui, con il Padre nell'unità dello stesso Spirito»[5].
E’ a questa vivente comunione trinitaria che l'uomo accede con il battesimo: «Tenendo conto del senso semitico del "nome", che dice l'essenza viva di ciò cui si riferisce, essere battezzato "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19) significa entrare a far parte del mistero unico del loro essere, della loro insondabile unità»[6].
San Tommaso ha posizionato questa modalità primariamente della carità, espressione partecipativa dell'amore trinitario, San Tommaso nell'essenza dell’amore di amicizia. Essa è un «modo di essere» prima ancora che di agire, uno «stato» prima ancora che un «atto». E’ il modo di essere dell'uomo con Dio espresso dall'amore amicale: «La carità è una speciale amicizia dell'uomo con Dio»[7].
E’ proprio dell'amore di amicizia non solo la benevolenza[8], ma anche la reciproca comunione nell'amore[9], fondata sulla «comunione della vita»[10].
C'è reciprocità, infatti, dove c'è «un qualcosa in comune»[11], una «somiglianza d'ordine ontologico»[12], una con‑divisione vitale, che fa da principio di comunione e di unità fra gli amici[13].
Tra Dio e l'uomo questa condivisione, che fonda la comunione amicale, consiste nella «beatitudine» eterna: la vita beata di Dio comunicata all'uomo per grazia[14].
«Dio ha comunicato all'uomo la sua vita e la sua beatitudine chiamandolo a una intima comunione con sé: orbene, questo è ciò che rende possibile l'amicizia tra Dio e l'uomo»[15].
Non siamo, chiaramente, nell'ordine naturale delle umane possibilità, ma in quello soprannaturale della grazia che ci costituisce figli di Dio. San Tommaso è esplicito: «La carità non è virtù dell'uomo in quanto uomo, ma in quanto per partecipazione della grazia diventa Dio e figlio di Dio»[16].
L'uomo è in comunicazione di vita, e perciò di carità amicizia, con Dio per la comunione con Gesù, il Figlio.
A riguardo san Tommaso cita Paolo: «Di tale comunicazione è detto in 1Cor 1,9: "fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo"»[17].
Questa comunione è un dono dello Spirito Santo, «che è la carità increata»[18], «l'amore del Padre e del Figlio, la cui partecipazione in noi è la stessa carità creata»[19]: la carità‑grazia.
Per questa comunione che lo conforma a Cristo, mediante la carità infusa dello Spirito Santo, il cristiano è in relazione di amicizia con Dio.
Questa amicizia definisce insieme la carità e la vita cristiana. «La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,3).
[1] MOLTMANN J., Trinità e Regno di Dio, op. cit., p. 181.
[2] Cf WOLINSKI J., Le mystère de l'Esprit Saint, op. cit., p. 161.
[3] BORDONI M., Gesù di Nazareth. Signore e Cristo, vol. I: Saggio di cristologia sistematica, Herder‑Università Lateranense Roma 1982, p. 154. Cf anche BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, p. 548; cfr. anche pp. 497‑498.
[4] WOLINSKI J., Le mystère de l'Esprit Saint, op. cit., p. 162. La citazione di Atanasio d'Alessandria è dal Dialogo contro gli Ariani, III, 25; PG 26, 376 B e C.
[5] BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, pp. 548‑549.
[6] FORTE B., Trinità come storia, op. cit., p. 140.
[7] S. Tommaso, Commentum in tertium librum sententiarum, d. 27, q. 2, art. 1; S. Th., II‑II, q. 23, art. 1.
[8] Come nell'amore del prossimo, fatto di semplice ben‑volere, indipendentemente da ogni reciprocità o corrispondenza.
[9] «Requiritur quaedam mutua amatio: quia amicus est amico amicus» (S. Tommaso, S. Th, II‑II, q. 23, art. 1)
[10] Cf S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23, art. 1; I‑II, q. 65, art. 5. «Omnis amicitia fundatur super aliqua communicatione vitae: nihil enim est ita proprium amicitiae sicut convivere» (S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 25, art. 3). L'amore di amicizia lo analizziamo più avanti nella tipologia della carità.
[11] GILLON L.B., A propos de la théorie thomiste de l'amitié, in Angelicum, 25(1948), p. 16.
[12] CACCIABUE L., La carità soprannaturale come amicizia di Dio. Studio storico sui commentatori di S. Tommaso, Brescia 1972, p. 26.
[13] «L'amico deve prendere coscienza di questa sua somiglianza con l'amico affinché possa nascere un mutuo amore di benevolenza: questo amore termina in una comunicazione attiva reciproca, tale per cui gli amici mettono in comune i propri beni» (Ivi). «Perché la carità sia la vera amicizia con Dio occorre necessariamente qualche cosa di simile, di comune tra l'uomo e Dio, qualche cosa che sia fondamento della loro comunione» (Ivi, p. 29).
[14] Cf S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23, art. 1; q. 24, art. 2. Cf anche I‑II, q. 65, art. 5. «Cum igitur sit aliqua communicatio hominis ad Deum secundum quod nobis suam beatitudinem communicat, super hac communicatione oportet aliquam amicitiam fundari» (S. Th., II‑II, q. 23, art. 1).
[15] CACCIABUE L., La carità soprannaturale come amicizia di Dio, op. cit., p. 29.
[16] S. Tommaso, De caritate, art. 2, ad 15.
[17] S Tommaso, S. Th., II‑II, q. 23, art. 1.
[18] S. Tommaso. De caritate, art. 1.
[19] S. Tommaso, S.Th., q. 24, art 2.
lunedì 7 aprile 2008
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