mercoledì 21 dicembre 2011

L'etica attuale della vita umana

Come gli altri trattati della teologia morale, anche il tema della vita umana si trova davanti a una sfida quella che gli è lanciata dalla situazione presente e dalla prospettiva futura.

Senza disprezzare il passato, la morale si deve orientare di preferenza sulla base delle urgenze del presente e del futuro.

Avendo l’obiettivo di indicare le strade per le quali si deve orientare la morale della vita umana, riteniamo opportuno analizzare gli orientamenti fondamentali per formulare una corretta impostazione dei rapporti tra vita umana ed etica cristiana. Esponiamo tali orientamenti fondamentali in tre momenti:

- indicando il quadro biomedico nel quale si deve situare l’impostazione etica attuale sulla vita umana;

- analiz­zando il significato della bioetica in quanto disciplina interfa­coltativa razionale, dato che la trattazione teologico-morale deve conoscere e tener conto delle impostazioni della raziona­lità etica;

- proponendo la configurazione di un discorso teo­logico morale specifico sui problemi della vita umana median­te la costituzione della bioetica teologica.


1. Quadro biomedico dell’impostazione etica attuale sulla vita umana


Crediamo che l’impostazione etica attuale sulla vita umana debba realizzarsi tenendo conto di due aspetti fondamentali che configurano la situazione attuale della biomedicina e che costituiscono l’inquadratura adeguata per il discorso teo­logico-morale sui temi della vita.

La bioetica non può essere formulata trascurando la realtà.

La ripetizione quasi meccani­ca di formule e soluzioni di altri tempi non è la posizione ade­guata davanti alle nuove impostazioni dei problemi.

Semplificando al massimo la nuova situazione biomedica, riteniamo opportuno tener conto di questi due fattori:


1.1. I progressi della scienza nel campo biologico


La bioetica si trova permanentemente sfidata dai progressi scientifici nel campo della biologia. A volte si chiede al moralista di improvvisare una valutazione morale sul filo di un’informazione più o meno seria, su nuove scoperte scientifiche.

Il fattore decisivo nella rapida configurazione della bioeti­ca consiste negli altrettanto rapidi progressi delle scienze biologiche e mediche.

Questi processi danno origine a seri interrogativi quando sono applicati all’essere umano nella pratica medica. Si pensi, per esempio, alle seguenti possibilità:

- L’ingegneria genetica applicata alla biologia umana, con l’orientamento non soltanto di dare soluzione a infermi­tà genetiche, ma anche, benché ancora in modo ipoteti­co, di manipolare la specie umana.

- Le tecniche di riproduzione umana: l’inseminazione artificiale, con il concomitante immagazzinamento, classifi­cazione e distribuzione di seme umano;

- la fecondazione artificiale, con l’impianto di embrioni nell’utero proprio o affittato, e con il congelamento e la manipolazione di embrioni umani.

- Le nuove frontiere nel trapianto di organi (cuore, cervel­lo) e nelle investigazioni sugli stati intersessuali e sulla transessualità.

- I progressi tecnici nella pratica della rianimazione (problema della eutanasia e della adistanasia), nella diagnosi prenatale (aborto eugenetico), nella sterilizzazione e nel­la contraccezione.

Ci troviamo davanti a un’autentica «rivoluzione biologi­ca». La nuova situazione lancia una sfida all’umanità. Tale sfida può essere espressa con l’interrogativo: tutto ciò che «si può» (tecnicamente) fare, «si deve» (eticamente) fare? Si tratta dell’eterna domanda sul rapporto tra «tecnica» e «eti­ca», tra «scienza» e «coscienza».


1.2. I cambiamenti operati nel concetto della salute e della pratica medica


Alcuni anni fa, Laìn Entralgo concretizzava in quattro caratteristiche la situazione attuale della medicina. «La medici­na odierna è attuale per l’opera congiunta, e a volte conflit­tuale, di quattro caratteristiche o note principali:

- La sua estrema tecnificazione strumentale e un peculiare atteggiamento del medico davanti ad essa.

- La crescente collettivizzazione dell’assistenza medica in tutti i paesi del mondo.

- La personalizzazione dell’infermo in quanto tale e, di conseguenza, la ferma acquisizione del concetto di per­sona in seno alla patologia scientifica.

- La prevenzione dell’infermità, la promozione della salute e il problema se sia tecnicamente possibile un miglioramento della natura umana».

Nella pratica medica attuale stanno emergendo sensibilità e valori che devono essere tradotti nelle considerazioni etiche e negli ordinamenti giuridici: l’autonomia dell’infermo, il ri­spetto della sua libertà, i diritti del paziente (diritto a rifiuta­re il trattamento, compensazione per l’assistenza medica defi­citaria, diritto dell’infermo alle cartelle cliniche). Davanti alla crescente disumanizzazione della medicina sorge l’aspirazione viscerale e la ricerca ragionata per una pratica medica al ser­vizio dell’uomo.

D’altra parte, la dimensione sociale della medicina dà ori­gine a nuove possibilità e a nuove ambiguità.

L’etica si sente interpellata da vari fronti;

- la determinazione delle necessità e delle priorità sanitarie, che non può essere affidata esclusiva­mente a medici e a politici, ma che richiede la partecipazione di tutta la comunità sociale;

- il discernimento tra i diversi sistemi di salute, i cui criteri ispiratori e le cui opzioni operative devono essere sottoposti all’interpellanza morale;

- la denun­cia dello spirito consumistico nell’area della salute, che si traduce nella creazione di necessità artificiali e nell’uso indiscriminato di medicine non necessarie e persino nocive.

Il concetto di salute ha acquisito un’estensione notevole. Implica non soltanto l’idea di stare bene ma anche la realtà della qualità della vita, così come la realizzazione integrale della persona umana. La promozione della salute impone nuovi compiti: alimentazione, igiene, pianificazione familia­re, la società.

Le interferenze di alcune aree con altre esigono l’analisi valutativa e la concomitante riflessione etica.


2.
L’interdisciplinarità della «bioetica» razionale


Nel corso degli ultimi decenni si è andata configurando una disciplina chiamata bioetica o etica biomedica, che in mo­do sistematico studia i problemi morali proposti dalle scienze e dalle tecniche della vita e dall’attenzione alla salute.

La bioetica si presenta come una scienza organica, in stretta rela­zione con l’etica fondamentale e con i dati della scienza e dell’attenzione mediche.

Sebbene non neghi il riferimento religio­so nei discernimenti morali, la bioetica si colloca nell’orizzon­te dell’etica razionale e intende offrire un orientamento valido per la società laica e pluralista.

La riflessione teologico-mora­le deve tener conto delle impostazioni e delle soluzioni della bioetica, mentre, allo stesso tempo, si mantiene coerente con la cosmovisione cristiana.

Qui di seguito offriamo un insieme di prospettive al fine di descrivere il significato e la funzione della disciplina della bioetica razionale.


2.1. Novità terminologica e concettuale


Il termine bioetica è di conio recente. Nato in ambiente anglosassone, ha trovato accoglienza favorevole nelle altre aree linguistiche.

Trattandosi di una novità terminologica e con­cettuale, è necessario iniziare la riflessione con un insieme di accostamenti allo stesso tempo delimitativi e chiarificatori.

Il termine deriva dalla radice greca di due parole di notevole significato: bios (vita) ed éthos (etica).

Proposito generale della bioetica è raggiungere la «composizione» adeguata tra codeste due realtà della vita e dell’etica; una composizione che non sia puramente una giustapposizione ma un’autentica inte­razione.

La relazione attiva e stimolante tra vita (bios) ed etica (éthos) può essere intesa con maggiore o minore ampiezza e con minore o maggiore precisione.

Per Potter (1971), uno dei primi a utilizzare il termine bioetica come titolo di un libro e con il senso programmatico di una nuova sezione del sapere, la bioetica consiste fondamentalmente nel servirsi delle scienze biologiche per migliorare la qualità di vita.

In que­sta considerazione si avverte immediatamente tanto l’ampiez­za di significato come la conseguente imprecisione del contenuto.

Ci sono coloro che, situati sull’estremo opposto, limitano il rapporto tra vita e valori etici all’area dell’attività medica. Secondo questa considerazione, la bioetica verrebbe a essere un nuovo termine per esprimere il vecchio concetto dell’etica medica.

Come Kieffer avverte, «per molte mentalità, questa è l’accezione predominante».

Non si può togliere importanza ai due orientamenti accen­nati. Da una parte, i fatti biologici hanno una inevitabile ri­percussione nei valori etici; i progressi scientifico-tecnici della biologia devono essere orientati per promuovere la qualità di vita, individuale o sociale, personale e ambientale.

D’altra parte, dove la vita umana si trova problematizzata in modo decisivo è nelle situazioni sottoposte alla pratica medica. Ne segue che la bioetica debba assumere i problemi e gli obiettivi sia dell’«etica della natura» (ambientale) sia dell’«etica della biomedicina».

Tuttavia, la nozione di bioetica si estende oltre la morale medica e possiede una precisione maggiore di quella espressa dall’etica ambientale.

Nell’attuale momento, la nordamerica­na Encyclopedia of Bioethics segna il significato vigente della bioetica, la quale «può essere definita come lo studio sistema­tico del comportamento umano nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto il detto comportamen­toe ‘ esaminato alla luce dei valori e dei principi morali».


In conformità con questa considerazione, la bioetica è formalmente un ramo o subdisciplina della scienza etica, dalla quale riceve lo statuto epistemologico basilare e con la quale mantiene un rapporto di dipendenza giustificatrice e orientatrice.

Alla bioetica i contenuti materiali sono forniti dalla real­tà della «cura della salute» e dai dati delle «scienze della vita» come la biologia, la medicina, l’antropologia, la sociologia.

L’analisi dei temi, benché abbia un onnipresente riferimento all’etica, deve essere eseguita mediante una metodologia interdisciplinare; scienza, diritto, politica sono grandezze imprescin­dibili per configurare la bioetica.


2.2.Deconfessionalizzazione e dedeontologizzazionè dell’etica


Per molto tempo i problemi morali della biomedicina sono stati orientati e regolati fondamentalmente da due istanze: la morale religiosa e i codici deontologici.

Non è giusto né esatto trascurare di riconoscere a queste due istanze un ruolo decisivo nella storia dell’etica della biomedicina.

Tanto meno è segno di maturità scientifica proscrivere come spuri ogni riferi­mento religioso e ogni codificazione deontologica in rapporto con l’etica attuale della vita umana. Sono prospettive degne di essere considerate.

Nonostante gli apprezzamenti precedenti, la bioetica si è configurata a partire dalla deconfessionalizzazione dell’etica e liberandosi dal predominio della codificazione deontologi­ca.

Questo, dal punto di vista positivo, significa che la bioeti­ca:

- deve fondarsi sulla razionalità umana laica, e condivisa da tutte le persone;

- deve situarsi sul terreno filosofico, .cercando un paradig­ma di «razionalità etica» che si situi al di là dell’ordina­mento giuridico e deontologico e al di qua delle convin­zioni religiose.


2.3. Il paradigma di razionalità in bioetica


La debolezza e la forza della bioetica dipendono in grande misura dalla teoria etica generale in cui si situano le impostazioni e gli orientamenti. La bioetica funziona all’interno di un paradigma di razionalità etica, il quale le fornisce il carattere di riferimento per i discernimenti e per le proposte operative.

Ci sono tanti paradigmi di razionalità etica quante sono le teorie filosofiche sulla moralità. Nella bioetica ne sono appli­cate diverse con maggiore o minor risultato.


2.3.1. Paradigmi teleologici


Nel mondo anglosassone prevalgono due paradigmi:

- quello consequenzialista o utilitarista;

- quello dell’etica evoluzionista.

Secondo il paradigma consequenzialista la moralità si misura dai risultati dell’azione, cioè dall’utilità, individuale o sociale, che risulta da una determinata azione.

Il paradigma dell’etica evoluzionista fa coincidere la mora­lità con quelle condizioni che «minimizzano la sofferenza umana e massimalizzano quei valori umani che innalzano la sopravvivenza della comunità umana, la qualità della vita per tutta la società e il livello di potenziale umano per ciascun individuo».


2.3.2. Paradigmi deontologici


Insieme ai due paradigmi menzionati di carattere teleologi­co ce ne sono altri di taglio più deontologico.

Sono quei siste­mi che fondano la razionalità etica su un «ordine» precedente all’azione e indipendente dalle conseguenze di questa. La teo­ria classica della «legge naturale» e il formalismo morale kan­tiano sono esempi qualificati del sistema morale deontologi­co.


2.3.3. Verso un paradigma pragmatico con funzionalità pubblica


Senza che sia necessario dirimere la discussione accademi­ca sull’uso dell’uno o dell’altro dei paradigmi etici, riteniamo che la bioetica abbia bisogno di optare per un’inquadratura di riferimento più concreto e con funzionalità pubblica.

In conformità con la situazione laica e pluralista della società democratica, la bioetica deve essere impostata all’interno d’una ra­zionalità etica delimitata dai parametri della democratizzazione, del dialogo pluralista e della convergenza d’integrazione.

Le esigenze di tale razionalità sono soddisfatte dal paradig­ma dell’etica civile.


2.3.4. I criteri di riferimento della bioetica


Il paradigma dell’etica razionale e civile può essere concretato in un complesso di validità etiche e di orientamenti estirna­tivi che hanno funzionalità diretta nel campo della biomedici­na.

Le une e gli altri costituiscono i criteri di riferimento della bioetica.



2.3.4.1. Validità etiche


Si può constatare una serie di valori che sono generalmente ammessi come orientamenti basilari per il giudizio etico nel campo della bioetica.

Così, per esempio, il principio di cercare sempre «il bene del soggetto» o, con formulazione negativa, «non causare danno al soggetto». L’assioma «primum non nocere» è un’espressione fondamentale dell’éthos della medicina a partire dal codice ippocratico fino ai nostri giorni.

Allo stes­so livello di questo criterio bisogna situarne altri, come il principio della libertà di ogni soggetto razionale e il diritto di tutti a una giusta distribuzione dei benefici e degli obblighi nell’ambito del benessere di vita.


2.3.4.2. Orientamenti estimativi


Gli interventi umani sul terreno della biomedicina sono sottoposti a orientamenti etici specifici. Qui di seguito, ne enumeriamo i più decisivi:

- In primo luogo, le formulazioni etiche della biomedicina devono liberarsi dai residui tabuistici di una morale eccessivamente «timorosa» davanti agli interventi dell’uo­mo in questo ambito della sua realtà.

La mitizzazione e la falsa sacralizzazione di un «ordine naturale» ha condotto l’etica della vita umana nei vincoli ciechi di una normatività morale «fisicista» e «naturalista».

La bioetica deve fare un grande sforzo per liberarsi da tali impostazioni.

- Da una morale «naturalista» è necessario passare a una morale nella quale il criterio fondamentale sia la persona.

Orbene, è necessario che la comprensione normativa di persona sia intesa all’interno di una visione globale.

«La mo­rale medica del futuro è alla ricerca di un concetto di totalità che abbracci tutto: la dignità e il benessere dell’uomo, in quanto persona, nel suo rapporto fondamentale con Dio, con l’uomo e con il mondo che lo circonda».

Questo perso­nalismo morale non va inteso in chiave «individualistica» e «privatistica»; si tratta di un personalismo inteso e valutato dal punto di vista dell’alterità.

I problemi concreti di morale medica gravitano attorno alla normatività etica della persona.

- Liberata la morale dai residui tabuistici di un «ordine naturale» sacralizzato e proiettata sul principio basilare della persona come realtà normativa, è opportuno inten­dere l’etica della biomedicina come l’istanza normativa del processo di umanizzazione ascendente.

L’influenza dell’uomo e della società sulla condizione corporea umana rivolge la chiave di interpretazione e di normatività preferibilmente verso il futuro: nell’idea di uomo che de­sideriamo realizzare.

Non ogni progresso tecnico deve essere iscritto senz’altro nel processo di umanizzazione. Di qui il fatto che la bioetica deve tener conto dei criteri del discernimento per esprimere l’istanza etica dei progressi scientifico-tec­nici nel campo della biologia.

I giudizi morali devono cercare il percorso difficile e incerto tra la Scilla di un’accettazione ingenua di tutto il nuovo e la Cariddi di una riserva reazionaria davanti ai progressi scientifico-tecnici.

Riconosciamo che è difficile trovare la rotta sicura. Non è facile risolvere con certezza l’ambiguità latente in ogni progresso umano. La morale della biomedicina si trova collocata tra la «manipolazione» e l’«umanizzazione».

Quali sono i criteri per distinguere l’una e l’altra?

Tale è uno dei compiti della bioetica.

I moralisti si confrontano in questo aspetto dell’accettazione più o meno ingenua oppure più o meno sospet­tosa dei progressi scientifico-tecnici nel campo della biologia.

- Negli ultimi anni si è parlato della necessità di formulare la morale in termini «provvisori», nello stile della morale accettata da Cartesio nel processo del «dubbio metodico».

Questo carattere di provvisorietà e di ricerca ha la sua applicazione nel campo della bioetica.

Come dice Sporken: «Le intuizioni che ci sono state trasmesse appaiono oggi, a motivo del mutamento delle nostre idee dell’uomo e del mondo, sottoposte a una profonda revi­sione critica. Ciò si deve dire con enfasi ancora maggiore per quanto riguarda l’etica medica, dato che l’investigazione medica e l’assistenza facoltativa si trovano in uno sviluppo progressivo straordinariamente rapido. Ne risulta un’impresa az­zardata pubblicare un libro sull’etica medica in mezzo a simile evoluzione. Ancora non si possono dare risposte definitive ai problemi impostati tanto dalle scienze mediche e affini quanto dalla stessa società umana dei nostri giorni».

Nella soluzione dei problemi morali della vita corporea la morale tradizionale ha dato molta importanza a un insieme di «principi» o assiomi, come quello del «doppio effetto» e della «totalità».

L’impostazione attuale della bioetica deve tenere conto della revisione cui tali principi sono stati

mercoledì 9 novembre 2011

Le cellule staminali

1. Chiarificazione dei termini

Ricerca: è l’anima e il motore del progresso
Essa:
- indica la direzione da seguire per conoscere la natura delle cose, dei processi, dei comportamenti;
- usa il metodo scientifico che è basato su: osservazione, formulazione di ipotesi, verifica sperimentale, validazione.
La ricerca è sempre mossa dal desiderio di conoscere, di sapere di più di una realtà data o fenomeno (ricerca pura) o finalizzata ad uno scopo (ricerca applicata).
La ricerca può comportare dei rischi perché, trovando soluzioni per migliorare la vita dell’uomo, non sempre può prevederne tutte le implicazioni.

2. Medicina e biologia

Queste due parole unite insieme (biomedicina) danno vita ad una scienza che studia la biologia e la medicina ad essa confacente.
La biologia studia i processi fisici e chimici che originano e regolano la vita e il suo ambiente.
L’essere umano è costituito di cellule.
Lo studio di esse porta a conoscere meglio il funzionamento con i suoi aspetti fisiologici e patologici.
La medicina studia le possibilità di produrre nuovi farmaci e conoscerne il meccanismo d’azione dei farmaci con la relativa azione biologica.
La ricerca biomedica avviene:
- in vitro o in laboratorio: si studiano cellule di animali sani o malati per conoscere i fenomeni biologici. Questa è medicina sperimentale;
- in vivo: studio su animali o sull’uomo per migliorare i procedimenti diagnostici e terapeutici con ricerca chimica.
E’ ovvio che le scienze sperimentali necessitano di un continuo processo di orientamento etico.

3. Cellule staminali

La biomedicina è composta di vari settori. Tra essi possiamo annoverare:
- medicina procreativa o fecondazione medicalmente assistita,
- medicina rigenerativa o stimolazione per rigenerare cellule, tessuti e organi,
Queste tecniche utilizzano le cosiddette "cellule staminali". Esse sono cellule capaci teoricamente di riprodursi all’infinito e, poste in determinate condizioni, capaci di trasformarsi in cellule specializzate: neuroni, cellule epatiche, cellule del sangue.
Ne esistono di vari tipi. I più importanti sono:
- totipotenti: possono dar vita a qualsiasi tessuto o organismo intero. Si possono estrarre da embrioni vivi (CSE),
- pluripotenti: possono dar vita a qualsiasi tessuto, ma non ad un organismo intero. Si trovano nel liquido amniotico, nella placenta, nel sangue del cordone ombelicale,
- Unipotenti o specializzate: sono presenti in ogni tessuto adulto ma in numero assai limitato.

3.1. Cellule staminali embrionali

Queste cellule, oltre a presentare ancora grosse problematiche scientifiche sul loro utilizza, sono fonte di questioni etiche, perché per ottenerle è necessario sopprimere l’embrione.
L’opinione comune tende a pensare la ricerca scientifica ad un qualcosa di neutrale. La valutazione etica entra in scena al momento dell’applicazione, in quanto può diventare strumento diagnostico (radiologia) o strumento distruttivo (la bomba atomica).
Nel caso delle cellule staminali il problema etico non si pone al momento dell’utilizzo, ma al momento della loro produzione.
Infatti per ottenerle dall’embrione è necessario prelevare le cellule interne (o blastomeri) dell’embrione di almeno quattro giorni (si tratta del blastocisti).
Si tratta di produrre embrioni umani o utilizzare quelli crio conservati in banche per embrioni e poi distruggerli.

3.2. Cellule staminali adulte

Dette anche somatiche. Sono isolate da diversi tessuti. Il loro utilizzo, per altro già ampiamente operato clinicamente e risultati sicure per i pazienti, non presenta problemi etici.
In alcuni casi si sono isolate cellule pluripotenti da tessuti con elevata plasticità, quali il midollo spinale, il sangue del cordone ombelicale, il liquido amniotico o della placenta. In altri casi si sono isolate da tessuti già ben differenziate quali la cornea, il tessuto adiposo, il bulbo alfatico.

4. Problemi etici

In genere il mondo mediatico quando parla di cellule staminali fa riferimento alla ricerca biomedica. Si parla di esse sempre in senso generale, senza specificare il tipo, adulte o embrionale.
In genere si critica il giudizio negativi della chiesa sull’uso dell’embrione umano come mezzo per raggiungere nuove metodologie terapeutiche, affermando che il giudizio della chiesa blocca la ricerca sulle cellule staminali.
In realtà la chiesa afferma che: «la ricerca sulle cellule staminali somatiche merita approvazione e incoraggiamento quando coniuga felicemente insieme il sapere scientifico, la tecnologia più avanzata in ambito biologico e l’etica che postula il rispetto dell’essere umano in ogni stadio della sua esistenza» (PAV, 2006).
L’opinione pubblica fa questo semplice ragionamento: la maggioranza delle malattie è dovuta a un insieme di fattori genetici, ambientali, comportamentali interagenti tra loro.
Questo spiega perché il progresso della conoscenza diagnostica in genetica è sempre molto più veloce di quello terapeutico.
Il ragionamento deterministico: dato un effetto deve esserci senz’altro una causa, mistifica il senso del dibattito sul paino della realtà.
Si pensi, per esempio, alla diffusione dello stretto rapporto tra diagnosi prenatale e prasi abortiva o alla diffusione di banche con seme geneticamente selezionato.
Il ragionamento sotteso e il seguente: migliore Dna uguale migliore salute, prestanza fisica, maggior benessere del nascituro.
Si pensi, inoltre, alla selezione genetica operata mediante la diagnosi reimpianto, diagnosi che precede il trasferimento in utero dell’embrione, per evitare la nascita di bambini con fattori di rischio per malattie importanti e nel futuro.
Sono all’ordine del giorno diagnosi genetica preimpianto per individuare embrioni di sesso femminile portatori di cancro al seno, malattia di origine multifattoriale.
A questo punto sorgono le seguenti domande:
- E’ lecito l’uso di embrioni umani per la produzione di cellule staminali?
- E’ lecito la selezione di embrioni in epoca preconcezionale, anche per fattori di rischio di malattie che eventualmente si svilupperà in età adulta?
La prima domanda rimanda alla natura dell’embrione e dell’azione umana. La biologia insegna che l’embrione umano è individuato da un Dna che lo caratterizza biologicamente per tutto il corso della sua vita. Il suo sviluppo prosegue in modo coordinato, continuo, graduale dalla prima cellula fecondata (zigote) fino alla morte. E’ un essere umano a pieno titolo.
La seconda domanda può essere assolta dicendo che: un atto, mosso da finalità buona, non può essere compiuto attraverso un’azione che tende a distruggere la vita umana.
A proposito la PAV (Pontificia Accademia per la Vita) afferma: «nell’elaborazione di un itinerario di ricerca biomedica che sia rispettoso del vero bene della persona risulta appropriata la seguente metodologia:
- esposizione dei dati biomedici,
- approfondimento del significato antropologico,
- individuazione dei valori in gioco che tale fatto comporta,
- elaborazione di norme etiche atte a guidare il comportamento degli operatori in determinate situazioni».
Migliorare la qualità della vita è possibile e doveroso, senza però danneggiare nessuno.
Per questo l’uso di cellule staminali embrionali non è moralmente accettabile.

giovedì 10 febbraio 2011

1.1. MORALE DEI PADRI prima parte

1. Introduzione

Dopo aver studiato il fondamento biblico è bene ora soffermarci sui fondamenti storici della morale. Vogliamo, cioè tracciare le linee fondamentali della storia della morale.
La storia della teologia morale è una disciplina relativamente giovane. E’ nata dopo la seconda guerra mondiale.
Lo spazio logico della nuova disciplina sgorga da una duplice consapevolezza:
- L’essenziale storicità dell’uomo, che costituisce uno dei parametri fondamentali dell’auto-comprensione dell’uomo odierno. Questo discorso ha coinvolto necessariamente anche il discorso teologico. L’incontro fra coscienza storica e discorso teologico ha costretto la teologia, non tanto a rivedere le sue posizioni su alcuni punti marginali, ma a porsi il problema della sua identità epistemologica. Anche la storia della teologia morale deve fare i conti con la cosiddetta "svolta antropologica".
- La seconda consapevolezza è data dal faticoso cammino della identificazione del suo statuto epistemologico. Visto che la teologia morale è la teoria critica della prassi cristiana, cioè ha il compito di svolgere una adeguata analisi ermeneutica, cercando di scoprire il significato ultimo della prassi cristiana in obbedienza al kerigma, ne segue che deve verificare le radici storiche o la genesi della vita cristiana.
La ricerca storica ha origine nel momento stesso in cui il teologo morale interpreta il suo lavoro come servizio alla comunità cristiana, per aiutarla a fare un sereno discernimento sulla sua eventuale coerenza o incoerenza al kerigma apostolico.
«La conoscenza della storia ci apre la strada di un sano relativismo, ma è al contrario un mezzo per essere e considerarsi con maggiore verità e, vedendo la relatività di quanto è effettivamente relativo, per conferire la qualità di assoluto solo a ciò che lo è veramente. Grazie alla storia, percepiamo l’esatta proporzione delle cose, evitiamo di considerare "tradizione" quello che è nato l’altro ieri e che nel corso del tempo è cambiato più di una volta»[1].

2. Preliminari

La scansione storica che adotto in questo beve trattato di storia della teologia morale è quella consueta:
- Morale dei padri,
- Morale dei teologi medioevali,
- Morale casitica
- Morale del neotomismo
- Morale dopo il Vaticano secondo.

3. Periodo patristico

Iniziando a parlare dell’origine della storia della teologia morale, è necessario soffermarci brevemente sulla situazione culturale delle origini cristiane. Essa è caratterizzata dalla presenza di numerose e varie correnti filosofiche. Correnti che è necessario conoscere se si vuole comprendere al meglio la riflessione che all’intero di esse i padri hanno sviluppato.
Dette correnti filosofiche avevano assunto un significato prevalentemente morale e religioso. La prima generazione di cristiani elaborerà la prima originale moralità proprio in questo contesto.
Si può costatare che per i primi due secoli dell’era cristiana non esiste in interesse di carattere teorico le tematiche morali e la produzione letteraria da interessi pratici, parenetici e pastorali.
L’elaborazione delle esortazioni facevano ricorso a categorie concettuali usate dalla contemporanea riflessione filosofica popolare.
Questo mutuare dalla filosofia popolare è favorita dall’obiettiva convergenza degli intenti pedagogici e protrettici e della filosofia popolare che della nuova religione.
E’ necessario, inoltre, dire che l’interesse della ricerca circa i temi di morale è strettamente legata a motivi apologetici, la necessità per Padri e i primi scrittori ecclesiastici di dimostrare la continuità con l’insegnamento biblico.
C’è però anche chi sostiene che la prima generazione cristiana è una pedissequa ripetitrice dei luoghi comuni della filosofia popolare ellenistica. Ci si serviva in modo particolare della filosofia stoica.
La ricerca storica, poi, di questo periodo è un po’ carente:
- Mancano tentativi di sintesi sufficientemente elaborati e informati;
- Abbondano, però, studi di carattere monografici;
- Gli studi di carattere sintetico hanno come oggetto lo sviluppo delle tematiche presenti nei vari padri.

Il problema principale della storiografia degli inizi della chiesa è il problema dell’ellenizzazione del cristianesimo. Era inevitabile che la religione di Cristo si confrontasse con la cultura greca, che aveva influenzato l’intero mondo allora conosciuto.
Mentre da una parte si rifiuta categoricamente le coordinate religiose della cultura greca, dall’altra si è propensi ad utilizzare le sue categorie filosofiche e culturali.
La questione della dipendenza del pensiero cristiano dalla cultura ellenistica non riguarda la legittimità del processo, ma le forme storiche in cui si è realizzato.
Più complessa è la questione del rapporto tra forme letterarie e forme di esperienza di vita. Si possono avanzare due costatazioni:
- Da una parte si costata una dipendenza del pensiero e del linguaggio cristiani dal pensiero e dal linguaggio ellenistici;
- Dall’altra le difficoltà di sviluppo di un interesse di carattere teorico per la morale.
E’ stato proprio l’accordo del cristianesimo nascente con la morale ellenistica che ha fatto ritenere non urgente una riflessione teorica su temi di morale. Invece si è sentito urgente una riflessione adeguata su temi cristologici e dogmatici.
Questa puntualizzazione è importante per lo sviluppo successivo della teologia, in quanto conserva a lungo le caratteristiche della sua origine dommatica, rimane cioè ancorata ai contenuti della fede piuttosto che alla morale. Si può condividere la tesi che la teologia all’inizio non era teologia morale e che non aveva voglia di divenirlo.

4. Morale cristiana e filosofia pagana

E’ necessario subito notare che il facile accordo con la morale proposta dalla filosofia ellenistica, ha ritardato la possibilità di una proposta morale specifica della prima cristianità.
Vi sono tuttavia alcune tematiche morali nel confronto apologetico e polemico con la filosofia pagana. Gli apologisti sostenevano che: anche se gli ideali di vita proposti dai cristiani e dai filosofi pagani erano gli stessi, si notavano due sostanziali differenze:
- I cristiani non propongono solo a parole gli ideali di vita, ma li praticano,
- Le cose che i pagani raccomandano in modo inefficace e confuso, i cristiani lo propongono con argomenti persuasivi e fondati.
Dalla prima differenza possiamo dedurre: la letteratura apologetica ha un tratto marcatamente pragmatico nell’approccio ai temi morali. L’insistenza, poi, sulle questioni pratiche fa ritenere le sottili questioni teoriche sofisticate questioni retoriche. Del tutto nuove sono le tematiche del martirio e della verginità.
La seconda differenza porta a qualche novità nell’elaborazione. Gli argomenti per rendere più urgente l’imperativo morale della pratica delle virtù sono:
- Argomento della rivelazione,
- Argomento della interiorità
- Argomento escatologico,
- Argomento della testimonianza.
Si nota inoltre che accanto ad alcune originalità vi sono diffuse dipendenze della riflessione cristiana dalla morale filosofico-popolare ellenistica. Una maggiore predisposizione c’è senz’altro nei confronti della riflessione stoica.
La ricezione delle categorie stoiche fu per il cristianesimo più immediata perché erano quasi del tutto attinenti la prassi morale. In questo modo gli ideali morali non dovevano necessariamente essere ricondotti a prospettive ontologiche o religiose. Quello stoico è un pensiero eclettico giunto agli autori cristiani da florilegi o raccolte di detti.
La scarsa compattezza dottrinale, poi, rendeva la sua ricezione più agevole e meno gravida di risvolti dottrinali.
Gli stoici consideravano il mondo fondamentalmente buono a guisa di una grande città, dimora degli uomini essenzialmente uguali.
Le categorie fondamentali della morale stoica sono:
- La vita retta e autonoma,
- La vita coerente.
La coerenza è richiesta sia con se stessi che nei riguardi del logos, inteso come legge della natura o della ragione. L’uomo deve vivere secondo natura o ragione e deve lottare contro le passioni per raggiungere l’apatia.
Il pensiero cristiano ribadisce la lotta contro le passioni, ma non adotta il concetto di apatia. Dal pensiero stoico viene mantenuta la centralità della legge di natura o di ragione con qualche piccola differenza.
L’altra grande corrente filosofica, che ha influito sul cristianesimo, è la tradizione platonica. In questo caso, però, la considerazione morale non può essere separata dall’orizzonte ontologico, antropologico e religioso.
L’insegnamento della tradizione platonica più utilizzato dal cristianesimo è il primato della "theoria" sulla prassi, destinato a diventare nel cristianesimo primato della vita contemplativa.
In questa visione il momento pratico della vita viene ricondotto al momento ascetico, preliminare all’esercizio delle virtù. La vita se è esercizio virtuoso.
Tuttavia il primato della teoria sulla pratica, rischia di far passare in secondo piano il comandamento della carità e in subordine lo steso agire rispetto al conoscere o la disposizione pratica rispetto alla conoscenza della verità (rischio gnostico).

5. Morale cristiana ed ebraismo

La rapida assimilazione delle istanze morali dell’ellenismo da parte del cristianesimo ha condizionato il rapporto tra cristianesimo e ebraismo. Questo può essere ricondotto al solo problema dell’interpretazione delle Scritture.
Gli ebrei consideravano importante il senso allegorico delle Scritture, i cristiani consideravano importante anche il senso letterale.
Un altro problema era la differenza da attribuire all’Antico Testamento rispetto al Nuovo.

6. I Padri apostolici: preliminari

I Padri apostolici sono così chiamati perché nei loro scritti, composti tra la fine del I° e la prima metà del II°, si percepisce un fedele riflesso della predicazione apostolica. Di questa tramandano anche la prima riflessione sulla moralità cristiana, senza pretesa di esaustività.
Si tratta ordinariamente di scritti occasionali, la maggioranza lettere, senza alcun intento sistematico. Avvenendo, poi, la trasmissione ordinaria attraverso la predicazione orale, la documentazione scritta è assai scarsa.
Pur non essendo i Padri apostolici dei moralisti sistematici, tuttavia elaborano una certa riflessione morale. Tutti gli scritti appartengono al genere parenetico e catechetico, per questo contengono specifiche riflessioni morali.
Appartengono ai Padri apostolici i seguenti scritti:
- Le lettere di Ignazio di Antiochia,
- La lettera ai Filippesi di Policarpo di Smirne,
- La lettera ai Corinzi di Clemente romano,
- Il martirio di Policarpo,
- L’omelia dell’Pseudo Clemente,
- La Didaché
- La lettera dello Pseudo Barnaba
- Il Pastore di Erma.
Questi scritti traggono i loro insegnamenti dalla Sacra Scrittura. Inoltre, fatta eccezione per le Lettere di Ignazio, si ispirano anche alla tradizione religiosa e culturale del giudaismo, in particolare all’essenismo, desiderando un ritorno ad esso.
Ciò sta a dimostrare la forte difficoltà a svincolarsi dal giudaismo e debole influsso dell’ellenismo. Si può notare che la riflessione morale cerca schemi e categorie utili alla predicazione nel mondi giudaico.
Detto che negli scritti apostolici non c’è una dottrina morale uniforme e sistematica, gli insegnamenti comuni e costanti sono inviti:
- alla pratica della virtù,
- a seguire la via del bene,
- a convertirsi,
- a entrare nel regno di Dio, nuovo alleanza.
Si rifiuta il legalismo formalistico tipico del giudaismo. Si pone l’accento sul nesso tra fede e morale, sulla interiorità di una religione autentica. Manca una qualsiasi analisi della natura umana. La morale è di tipo teocentrico e cristocentrico, consistente nel discernere la volontà di Dio.
I Padri apostolici prediligono schemi mutuati dal giudaismo, come la trilogia: digiuno, preghiera e elemosina, o la via del bene e del male. La Didaché considera il tema delle due vie sotto l’aspetto retributivo, altri scritti invece alla luce di una metafisica dualista, infatti il dualismo morale è connaturale allo spirito umano.
Già nella Genesi l’albero del bene e del male è associato alla contrapposizione vita-morte, bene-male. Queste categorie esprimono nella Bibbia il dualismo morale ed escatologico. Nel NT si preferiscono i temi: luce-tenebre, vita-morte e lo schema delle due vie.
Nella prima letteratura cristiana le due vie indicano l’inizio della vita cristiana con la decisione di rinunciare a Satana e decidersi per Cristo. La scelta iniziale impegna il cristiano a fondare la propria vita su orientamenti precisi. La fedeltà ad essi costituisce il criterio di appartenenza ad una via menché ad un'altra. Il tema delle due vie è l’espressione di due diversi modi di vivere, di due cammini diversi: la fede e l’empietà.
All’interno, poi, di questo contesto vengono elaborati alcuni temi morali desunti dalla Bibbia e dal giudaismo: il decalogo, il discorso della montagna, le beatitudini, la legge della carità, la regola d’oro.
I Padri apostolici mostrano interesse per i temi della morale affrontando problemi diversi non solo di ordine personale, ma anche coniugale e sociale. E’ da notare, poi, che l’insegnamento morale è strettamente collegato con l’esperienza liturgica.
La prima generazione cristiana è consapevole che l’originalità della morale cristiana non è nei contenuti, ma nei fondamenti. E’ il kerigma e non un’astratta concezione della natura, che veicola la volontà di Dio.
Credere in Cristo vuol dire cambiare vita, convertirsi. Ne segue che l’insegnamento morale è inscindibile dall’annuncio.
Oltre alle Lettere di Clemente, Ignazio e Policarpo, prenderemo in esame anche la seconda Lettera di Clemente, che è un’antica omelia morale; la Didaché, in cui la morale viene presentata in forma semplice e tratta direttamente dalla Bibbia; la lettera dello Pseudo Barnaba, esempio di reazione contro il legalismo e il ritualismo giudaico; il Pastore di Erma, in cui è forte la tendenza ascetica.
Farò, poi, riferimento anche a due scritti che ufficialmente non fanno parte dei Padri apostolici: le Odi di Salomone, esempio di gnosi giudeo-cristiano, e il Vangelo di Tommaso, esempio di morale encratista (predicava la continenza e la moderazione) in ambiente giudeo-cristiano.

7. Lettere di Vescovi

Clemente di Roma (papa dal 92 al 99)
Clemente fu il terzo successore di Pietro. E’ ritenuto essere l’autore di una Lettera ai Corinzi citata da molti padri della chiesa. Può essere datata intorno al 96, perché si fa riferimento a «calamità e sciagure» abbattutesi sulla comunità di Roma, chiaro riferimento alla persecuzione di Domiziano (m. 98). La lettera è motivata dalla deposizione di alcuni presbitero dalla comunità di Corinto senza motivazione. Essa intende portare la pace. Si tratta di un documento fondamentale per dimostrare il primato di Roma sulle altre comunità.
L’AT viene definito "unico codice conosciuto", la norma «gloriosa e veneranda della nostra vocazione». Scritto di carattere parenetico sembra una raccolta di testi scritturistici. Ciò fa supporre che Clemente fosse di origine ebraica, con una buona preparazione letteraria e filosofica.
La lettera, divisa in due Parti (cc1-38, 39-58), contiene indicazioni e ordini destinate a sedare le discordie della comunità. L’ultima parte contiene una lunga preghiera. Dopo aver elencato le virtù cristiane: carità, penitenza, obbedienza, fede, compassione, ospitalità, umiltà, pace e concordia, espone i motivi per praticare dette virtù: l’esempio di Cristo e dei santi, l’ordine e l’armonia ch devono regnare nel mondo, le promesse escatologiche, le benedizioni di Dio in Cristo.
La lettera propone una vita virtuosa secondo la sapienza cristiana. Ne individua le motivazioni: nel timore di Dio, nell’obbedienza alla sua volontà e nel suo servizio. Cristo e i santi vengono colti come modelli di umiltà. Le condizioni generali della vita virtuosa sono: fede e opere, lotta contro il peccato, pratica delle virtù fondamentali, fede, speranza e carità, le virtù sociali. Come si può costatare la lettera è una specie di trattati delle virtù pur non nominando mai la parola virtù.
Presenta la vita morale come una lotta dell’uomo contro se stesso e invita a rigettare i vizi dell’invidia e della gelosia. La morale della lettera consiste nell’obbedienza alla volontà e ai comandamenti di Dio. E’ una morale teonoma, ma anche cristonoma.
Insieme a questa lettera è conservato uno scritto che porta il titolo seconda Lettera ai Corinzi, ma che è in realtà una omelia collocabile tra il 120 1 il 150. E’ ricca di citazioni di parole di Gesù. L’idea guida dell’omelia è: la salvezza è un dono di Dio, cui va risposto con la penitenza intesa come obbedienza ai comandamenti consistenti nella castità e nella elemosina. Si presenta la vita cristiana come una lotta (agon) da cui agonismo. Si tratta di un agonismo spirituale, un esercizio continuo della virtù.

8. Ignazio di Antiochia (75-120)

Ignazio fu il terzo vescovo di Antiochia e martire a Roma sotto l’imperatore Traiano (53-117). Durante il viaggio verso Roma scrisse sette lettere: ad Efeso, Magnesia, Tralle, Roma, Filadelfia, Smirne e a Policarpo.
Questo epistolario costituisce uno dei più importanti documenti del cristianesimo antico, soprattutto per la dottrina del primato della Chiesa di Roma, e per gli inviti a guardarsi dalle correnti giudaizzanti e dal docetismo, eresia che nega la realtà della carne di Cristo e afferma che Gesù a sofferto solo in apparenza.
La mistica di Ignazio esprime i tratti fondamentali dell’esperienza cristiana. E’ la mistica di un vescovo che nutre un ardente aspirazione personale al martirio per poter diventare simile a Cristo . Ha un forte amore verso il gregge a lui affidato.
Ignazio, convinto che il cristianesimo ha stabilito un nuovo ordine, un nuovo modo di vivere e non è più possibile tornate all’antico patto, presenta la vita cristiana come un’unione con Cristo e invita a incorporarsi sempre più al suo mistico corpo, a impegnarsi a seguire Cristo con una disponibilità incondizionata anche nella sofferenza, fino al martirio. E’ la grazia la sorgente unica dell’imperativo morale.
Essere cristiani significa seguire Cristo nell’amore, nella sofferenza, nell’incondizionata prontezza a morire per lui. Centro e sorgente della vita cristiana è l’altare, l’eucarestia.

9. Policarpo di Smirne (70-155)

Fu discepolo egli apostoli, in particolare di Giovanni, da loro fu eletto vescovo di Smirne. Poco prima del martirio, compì un viaggio a Roma per discutere con papa Aniceto (155-166) la data della pasqua. Non si giunse ad un accordo.
Secondo Ireneo (m. 175) scrisse molte lettere pastorali, ma a noi ne è pervenuta una sola, indirizzata alla chiesa di Filippi. La lettera è una fonte per conoscere le costanti della morale e della predicazione antica.
Dopo una esortazione a rimanere nella verità e nella fede tenendo lontano l’avarizia, primo di tutti i mali, riporta un codice domestico, ricorda i doveri delle mogli, delle vedove, dei diaconi, dei giovani, dei presbiteri. Si esorta al timore di Dio e a chiedere perdono, a restare attaccati alla tradizione e a Cristo e a perseverare nella pazienza.
La lettera richiama al dovere dell’imitazione di Cristo, a conformarsi a Lui, alle sue virtù, al suo comportamento, camminando secondo la verità del Signore. Per Policarpo Cristo è soprattutto modello di pazienza.

10. La Didaché (130-150)

E’ uno scritto anonimo. Il testo intero fu scoperto nel 1873. Ha come sottotitolo: Dottrina dei dodici apostoli. Lo scritto, in sedici capitoli, è indirizzato da un giudeo cristiano ad una comunità di ebrei convertiti. E’ ampiamente utilizzato l’AT con citazioni espliciti e con semplici richiami. Par il NT sono molto citati Mc e Mt.
L’opera presenta il tema classico delle due vie e vuole offrire una serie di precetti morali, in particolare prescrizioni liturgiche (battesimo, digiuno, preghiera, eucarestia: cc. 7-9), informazioni sulla comunità cristiana (cc. 11-15), la parusia (c. 16).
Per poter camminare sulla via della vita è necessario osservare: il comandamento dell’amore, i doveri personali, i doveri sociali e confessare i peccati. Praticare l’amore di Dio e del prossimo, praticare la regola d’oro. Inoltre: non uccidere, non commettere adulterio, non corrompere i fanciulli, non fornicare, non rubare, non praticherai la magia, non abortirai, non ucciderai i bambini appena nati.
Viene fatto un elenco di vizi molto dettagliato. La conclusione à di non lasciarsi mai distogliere dalla retta via. Segue una serie di regole sull’ospitalità, la correzione fraterna.
La morale è assai chiara, ha leggi precise e non è lasciata all’improvvisazione. Si la netta distinzione tra precetti, che si impongono a tutti, e consigli che sono la condizione della perfezione.

11. La lettera dello pseudo Barnaba (140 ca)

E’ uno scritto anonimo in forma di lettera, diviso in ventuno capitoli, in lingua greca. E’ ricchissimo di citazioni bibliche. Con questo scritto l’autore intende comunicare ai fedeli quello che a sua volta ha ricevuto: la conoscenza perfetta.
La prima parte ha carattere polemico contro il giudaismo: l’antico patto è stato abolito ne è nato uno nuovo, la legge data a Mosè è passata attraverso la passione di Cristo ai cristiani, nuovo popolo dell’eredità.
La seconda parte descrive le due vie: quella della luce e quella delle tenebre e l’escatologia.

12. Il Pastore di Erma (150 ca)

L’opera scritta in lingua greca probabilmente in tempi successivi e a più mani a partire dalla fine del I° secolo. Erma presenta se steso come l’autore e il pastore è l’angelo che lo guida nella vita. Fa parte del genere apocalittico: viene annunciata la seconda penitenza offerta ai cristiani dopo il battesimo.
Lo scritto è suddiviso in cinque visioni, dodici precetti e dieci similitudini. La conversione deve essere l’orientamento decisivo e continuo di tutta la vita.
L’apporto alla riflessione morale del Pastore si può sintetizzare nei seguenti elementi: la valorizzazione della vocazione alla santità morale, l’arricchimento del catalogo delle virtù e dei vizi, l’affinamento della coscienza, il superamento del legalismo giudaico.
L’autore presenta la comunità cristiana della prima metà del sec. II, con le sue debolezze e i suoi meriti, annunciando l’efficacia universale della penitenza cristiana.

13. Gli Apologisti: introduzione

Gli apologisti sono scrittori del II° secolo che, confrontando la tradizione cristiana con la cultura del tempo, cercano di difendere la nuova religione dagli attacchi esterni. Le apologie sono scritti con i quali gli autori cristiani difendono la verità della fede dagli attacchi ostili provenienti da giudei o pagani.
La caratteristica fondamentale di detti scrittori è il confronto che essi stabiliscono tra la morale cristiana e quella pagana. Per loro la verità del cristianesimo è fondata sulla elevatezza della sua dottrina morale e sulla santità della vita dei cristiani.
Il diffondersi del cristianesimo produce nuovi problemi pratici tra questi: atteggiamento verso gli idoli, l’esercizio di alcune professioni, la partecipazione a spettacoli teatrali e circensi, la moda, il servizio militare.
Questi scrittori assumono spesso atteggiamenti rigoristi: si condanna radicalmente il mondo pagano e le sue istituzioni.
Gli apologisti, trovandosi a difendere il cristianesimo, gettano le fondamenta della scienza teologica. Per quanto attiene la riflessione morale, essi:
- in positivo esaltano lo stile di vita cristiano, vita seria, austera, onesta casta, vantaggiosa per lo Stato,per la società e per la civilizzazione in generale;
- in negativo, descrivono le immoralità del paganesimo.
In queste lezioni prenderemo in esame solo Giustino, la Lettera a Diogneto e Ireneo di Lione. Non parleremo degli apologisti greci.

14. San Giustino, martire (100-165)

Nacque a Sichen (Palestina) e morì a Roma martire. Era ebreo, ma ebbe una educazione greca. Fu discepolo della scuola stoica, della peripatetica e della pitagorica. Solo nel platonismo però si convinse di trovare la via giusta. A 30 anni circa si convertì al cristianesimo, ma continuò a studiare filosofia, aprendo una sua scuola a Roma con il proposito di difendere la dottrina cristiana. Fu ucciso per decapitazione.
Scrisse, secondo Eusebio, otto apologie, a noi ne sono pervenute tre sicuramente autentiche, scritte nel 160. Due Apologie e il Dialogo.
Il Dialogo, in 142 capitoli, mostra il metodo e gli argomenti usati per confutare gli ebrei. L’AT e una preparazione del NT. I profeti sono veri pedagoghi della verità. Le due Apologie, indirizzate all’imperatore Antonino Pio, difendono il cristianesimo contro l’impero romano.
Nella prima Apologia sono messi in campo tre serie di argomenti difensivi che sono:
- motivi discolpanti contro i crimini che si attribuivano loro: ateismo, immoralità, rifiuto del culto pagano;
- mettendo a confronto le due religioni si dimostra l’assoluta superiorità del cristianesimo;
- per dimostrare la legittimità delle pratiche cristiane fa la presentazione dell’iniziazione cristiana e dell’eucarestia.
La seconda Apologia prende lo spunto dalla condanna a morte di tre cristiani solo per essere seguaci di Cristo, spiega perché essi muoiono volentieri e dimostra che la dottrina morale dei cristiani è più elevata di quella degli stoici. Sviluppa la teoria dei semina verbi. Si chiede agli imperatori di essere oggettivi nel giudicare i cristiani.
Gli scritti di Giustino non sono originali. Ciò che può interessare è la sua antropologia, sulla partecipazione della ragione umana al Logos presente nella natura e nel quale è adombrato Gesù Cristo stesso.
Egli sostiene che è importante che si faccia una alleanza tra cristiani e filosofi per combattere l’idolatria e la mitologia; per difendere l’interiorità della morale cristiana e la sua fondazione escatologica.

15. La lettera a Diogneto (200)

Questo scritto spesso viene messo tra i padri apostolici. Si tratta senz’altro di uni scritto apologetico. E’ scritto in forma di lettera ed è inviata al Diogneto, un personaggio importante del paganesimo. E’ ignoto l’autore, il luogo ella composizione e la data esatta in cui è stata scritta.
Lo scritto si compone di:
- un’apologia contro i pagani e gli ebrei;
- una descrizione del ruolo dei cristiani nel mondo;
- una catechesi sommaria del cristianesimo
- una esortazione finale
E’ discussa l’antichità degli ultimi due capitoli.
Per quanto attiene la riflessione morale hanno particolare rilievo le seguenti affermazioni: i cristiani vivono come gli altri uomini, tuttavia nella società svolgono un ruolo speciale, sono come l’anima del corpo: specificità della morale cristiana; tutto è stato creato per l’uomo, centro e apice di quanto esiste: antropocentrismo morale; la carità è la sintesi della vita morale del cristiano.

16. Ireneo di Lione (130-203)

Greco di nascita, cresciuto in una famiglia già cristiana, ricevette alla scuola di Policarpo vescovo di Smirne, di Papia, di Melitone di Sardi ed altri, una buona formazione, religiosa, filosofica e teologica. Fu vescovo della città di Lugdunum (attuale Lione) dal 177, in seguito alla morte, per martirio sotto Marco Aurelio, del primo vescovo della città San Potino.
Secondo la tradizione della Chiesa fu martire a sua volta, anche se scarse sono le notizie storiche sulla sua vita e morte. Venne sepolto nella chiesa di San Giovanni, che più tardi venne chiamata di Sant'Ireneo. La sua tomba e i suoi resti vennero distrutti nel 1562 dagli Ugonotti durante le guerre di religione.
Il suo pensiero e le sue opere furono direttamente influenzati da Policarpo, che fu a suo tempo discepolo diretto di Giovanni Evangelista. Essi sono una testimonianza della tradizione apostolica, a quei tempi impegnata contro il proliferare di varie eresie, in particolare lo gnosticismo di cui Ireneo fu un forte oppositore. Delle sue opere ci permangono: Adversus haereses, che tenta di confutare le principali espressioni dello gnosticismo, e Demonstratio apostolicae praedicationis, sintetica e precisa esposizione della dottrina cattolica.
Uno dei suoi discepoli più noti è Sant’Ippolito romano.
Ireneo fu il primo teologo cristiano a tentare di elaborare una sintesi globale del cristianesimo.
All'interno di un periodo storico marcato da due eventi culturali di grande spessore:
- l'insorgere dello gnosticismo in ambito cristiano, la prima eresia in possesso di un buon impianto dottrinale che affascinava molti cristiani colti;
- il diffondersi nel mondo pagano del neoplatonismo, filosofia di vasto respiro, che presentava molte affinità con il cristianesimo.
Ireneo con la sua opera tentò di dare una risposta volta ad evidenziare i presunti errori contenuti nello gnosticismo, mentre nei confronti del neoplatonismo si aprì a un dialogo e fu disposto ad accogliere alcuni principi generali di questa filosofia.
Fu il primo teologo cristiano ad utilizzare il principio della successione apostolica, per confutare i suoi oppositori. Proprio nell'Adversus Ireneo scrive:
- La tradizione degli Apostoli manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi… (Gli Apostoli) vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo (Adversus haereses, III, 3,1: PG 7,848).
Ireneo indica pertanto la rete della successione apostolica come garanzia del perseverare nella parola del Signore e si concentra poi su quella Chiesa “somma ed antichissima ed a tutti nota” che è stata “fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo”, dando rilievo alla Tradizione della fede, che in essa giunge fino a noi dagli Apostoli mediante le successioni dei vescovi. In tal modo, per Ireneo e per la Chiesa universale, la successione episcopale della Chiesa di Roma diviene il segno, il criterio e la garanzia della trasmissione ininterrotta della fede apostolica:
- «A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata...» (Adversus haereses, III, 3, 2: PG 7,848).
La successione apostolica - verificata sulla base della comunione con quella della Chiesa di Roma - è dunque il criterio della permanenza delle singole Chiese nella Tradizione della comune fede apostolica, che attraverso questo canale è potuta giungere fino a noi dalle origini:
- «Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità» (ib., III, 3, 3: PG 7,851).

1.2. MORALE DEI PADRI parte seconda

1. La grandi tradizioni

All’inizio del II° secolo hanno inizio le cosiddette "tradizioni patristiche". Sono tradizioni e correnti che, per la loro peculiarità, costituiscono un capitolo dell’unica tradizione cristiana.
Le principali correnti o tradizioni patristiche sono: la tradizione asiatica a cui appartiene Ireneo di cui abbiamo già parla, la tradizione nordafricana, la tradizione orientale o siriaca di cui fanno parte Efrem, Afraate, e la tradizione alessandrina.

2. Moralisti nordafricani

Il Nordafrica subisce una notevole romanizzazione. Il cristianesimo si radica soprattutto su questa cultura. Il contributo della comunità nordafricana, il cui centro è Cartagine, alla riflessione morale cristiana è molto importante.
Prima del concilio di Nicea la cristianità africana costituisce una unità storica. Dall'anno 180, che col martirio degli Scillitani, segna il primo avvenimento della sua storia, fino all'anno 313 la chiesa d'Africa visse in un mondo dove la persecuzione o era sempre presente o rappresentava una minaccia.
Il principale rappresentante della scuola e senz’altro Tertilliano, seguito da Cipriano e dai due laici Lattanzio e Arnobio.
Le caratteristiche fondamentali di questi scuola sono: la concezione morale cristiana è fatta per schemi latini; la tendenza marcatamente rigorista; l’impostazione e la soluzione dei problemi morali del cristiano nella sua relazione con il mondo.
La chiesa africana tiene in massima considerazione il martirio, vivendo in uno stato di continua persecuzione. Con la tradizione morale africana nasce il primo abbozzo di morale casistica.

3. Tertulliano (160-220)

E’ il più importante dei moralisti cristiani del III secolo. Si converte al cristianesimo dopo aver ottenuto una solida formazione giuridica romana. La sua attività letteraria è imponente. Dai suoi scritti si evince un carattere impetuoso e energico. Inizia a scrivere in latino e, dopo Agostino, e il più originale e qualificato scrittore ecclesiastico latino.
Ha scritto opere apologetiche (Apologeticum) e polemiche (Adversus Marcionem), come pure trattati di disciplina ecclesiastica, di ascetica e di morale.
Tra i temi morali trattati in forma monografica vanno ricordati: gli spettacoli o giochi pubblici al circo, allo stadio o all’anfiteatro (De spectaculis); la moda femminile (De cultu feminarum); la castità e la verginità; la modestia; il servizio militare; il matrimonio.
E’ difficile riscontrare in lui i principi di una morale fondamentale. Riferimenti alle condizioni dell'agire umano, al senso della legge, al ruolo della coscienza appaiono solo incidentalmente, dato che la maggior parte dei suoi scritti risponde a situazioni particolari.
Tertulliano fu un rigorista. Questo suo rigorismo andò sempre più accentuandosi in connessione col suo passaggio, verso il 207, al montanismo, un movimento apocalittico che esigeva dai suoi adepti esigenze estreme.

4. Cipriano di Cartagine (m. 258)

S. Cipriano (m. 258), vescovo di Cartagine, procuratore romano si convertì al cristianesimo in età adulta. Fu pastore e martire. Di carattere moderato, antitetico a Tertulliano.
I suoi scritti, costituiti soprattutto dalle lettere sono una continuazione delle sue catechesi. Trattano della preghiera, delle sue prerogative e della sua necessità, dell'abito delle vergini, del vantaggio della pazienza e della dolcezza, delle buone opere e dell'elemosina, della gelosia e dell'invidia.
Cipriano ha elaborato concezioni del martirio e della verginità che sono importanti per la vita cristiana, ma non ha strutturato una morale fondamentale, perché i suoi principi appaiono unicamente nel contesto di problemi concreti.
Tuttavia come pastore dava facilmente consigli sui diversi stati della vita cristiana e sulle virtù che i cristiani dovevano praticare.
Muore martire attorno al 258.

5. Lattanzio (250-327)

Nato a Cartagine nel 250 circa, fu allievo di Arnobio (m. 327), che seguì anche nella conversione al cristianesimo. Fu nel 317 insegnante di retorica di Crispo, figlio dell’imperatore Costantino (280-337). Va considerato uno dei primi elaboratori del discorso teologico-morale autonomo.
Ciceroniano convinto e stilista raffinato, scrisse varie opere, tra le quali le Divinae institutiones, un trattato di filosofia cristiana. Quest’opera, scritta tra il 304 e il 313, è soprattutto un vero trattato di morale, con cui stabilisce le basi filosofiche della morale delle virtù, il bene supremo, la saggezza, le relazioni di giustizia e di religione.
Questi elementi, però, non sono originali, dal momento che la maggior parte è ispirata a Cicerone (106-43 a.C.). Tuttavia Lattanzio li ha adattati alla fede, trasformando la filosofia morale ciceroniana in teologia morale cristiana. I suoi temi preferiti sono: l’interiorità dell’atto morale, la libertà religiosa, l’esigenza morale della religione, la non violenza.

6. Le scuole teologiche del III e IV secolo

Se il II secolo è il secolo della difesa della dottrina cristiana dagli attacchi esterni e dagli eretici, il III secolo è il secolo del catecumenato. E’ necessario che i convertiti ricevano una buona formazione cristiana.
A partire dal II secolo la riflessione teologica si organizza in scuole teologiche, luoghi di educazione cristiana per i catecumeni. In esse vengono formati i teologi e in esse si trasmettono i contenuti della fede. Esse sono importanti anche per la storia della morale.
La scuola alessandrina. Ha sede ad Alessandria di Egitto. In essa si predilige la filosofia platonica e si favorisce un’interpretazione della Sacra Scrittura di carattere allegorico. I principali partecipanti sono: Panteno, il fondatore, Clemente, Origene Atanasio.
La città di Alessandria sorta con aspirazioni intellettuali e universali all’epoca di Alessandro Magno (356-323) e dei Tolomei, ebbe una numerosa comunità ebraica la quale aveva inculturato la propria fede nell’ellenismo con Filone (20 a.C.-50 d.C.), vide sorgere anche una potente comunità cristiana influenzata soprattutto dal giudaismo e della’ellenismo.
La scuola di Antiochia. Fu fondata da Luciano di Samosata (m. 312) in opposizione al metodo allegorico di Origene. Ebbe un orientamento più razionale nell’interpretazione della Scrittura. Ebbe umili esordi e conobbe il suo momento di splendore con Diodoro di Tarso, maestro di Giovanni Crisostomo. L’esponete più estremista fu senz’altro Teodoro di Mopsuestia. Il fondatore fu l’eretico Ario.
La scuola di Cesarea di Palestina. Fu fondata da Origene costretto a fuggire da Alessandria nel 232. Si distinse per l’attaccamento al suo fondatore, conservando la sua dottrina e la sua biblioteca. Tra i componenti della suola vanno ricordati: Gregorio il taumaturgo, Eusebio di Cesarea. Subirono l’influsso di questa scuola soprattutto i Cappadoci.

7. Clemente Alessandrino (ca 150-215)

Scrittore appartenente alla scuola di Alessandria. Uno degli scrittori più importanti del cristianesimo primitivo. Nacque ad Atene nel 150 circa, da genitori greci.
Fu da giovani iniziato ai misteri di Eleusi, si convertì presto al cristianesimo. Per ascoltare i maestri cristiani più celebri viaggiò molto. Fu in Italia, in Siria e in Palestina. Ad Alessandria incontrò Panteno, fondatore della scuola teologica di quella città. Da discepolo poi, diventò maestro della scuola. Costretto a fuggire da Alessandria, muore in Cappadocia intorno al 215.
A lui si deve il tentativo di instaurare un primo dialogo tra fede e cultura. Fu uno dei primi moralisti della cristianità.
Le sue opere principali sono: Protreptico, una specie di apologia del cristianesimo; Pedagogo, un manuale di istruzione cristiana; Stromata, miscellanea di temi cristiani. Inoltre l’omelia su Mc 10,17-31.
Le sue opere possono essere considerate come un primo tentativo di sistemazione della morale cristiana. La sua riflessione morale è fortemente cristocentrica. In Cristo si trova la fonte della morale. Egli non è solo il maestro e il pedagogo del cammino, ma anche il modello della perfezione cristiana. Espone i precetti e le esigenze della vita cristiana in funzione dell’obiettivo dell’imitazione di Cristo.
I temi trattati sono: la morale matrimoniale e familiare, in cui difende la bontà del matrimonio e propone una mistica cristiana coniugale e familiare; la morale economica, in cui le esigenze del Vangelo sono adattate alle condizioni della realtà umana.
Le impostazioni e le soluzioni sono di notevole equanimità, molto lontane dal radicalismo e dal rigorismo dei teologi africani, specialmente sul tema della moda, degli ornamenti e della cura del corpo.
Clemente è importante per la storia della teologia morale non solo per i contenuti morali che sviluppa, ma soprattutto per aver tentato una sintesi tra sapienza ellenica e ideale cristiano. Egli costituisce una pietra miliare e un paradigma nel processo di inculturazione della morale cristiana.
Nei suoi scritti è evidente l’influsso del platonismo e dello stoicismo.

8. Origene (m. 253 o 254)

Genio della Chiesa e dell’umanità. Di famiglia cristiana benestante, nasce ad Alessandria nel 185. Il padre Leonida subisce il martirio e i beni patrimoniali vengono confiscati. Origene è il maggiore di sette fratelli. Viaggia a Roma, in Arabia, in Palestina. Tornato ad Alessandria viene accusato e cacciato dalla scuola. Va ad abitare a Cesarea di Palestina. Qui fonda la cosiddetta scuola di Cesarea, alla quale dona la sua biblioteca composta di duemila opere.
Elabora una moltitudine di studi, era capace di dettare a vari segretari contemporaneamente. La sua opera principale, Sui principi, è una vera e propria summa del pensiero cristiano. I primi due libri trattano di Dio e del mondo creato; il terzo parla dell’uomo, della libertà umana e dell’uso che dobbiamo farne al cospetto della tentazione; il quarto tratta della Scrittura, della sua ispirazione e interpretazione. A duecento anni da Cristo e a duecento da Agostini, Origene porta la teologia alla sua piena misura.
L’opera di Origene ha subito durante la sua vita e dopo la sua morte, interpretazioni molteplici. Avversari e ammiratori hanno gareggiato nello stravolgere il suo pensiero.
Benché non abbia scritto trattati espliciti sulla riflessione morale, la dottrina di Origene offre materiale abbondante per la trattazione di molti temi morali: le virtù, il peccato e così via.

9. I Padri greci del secolo IV e V

I secoli IV e V costituiscono l’epoca d’oro della morale patristica, sia greca che latina. Tre fatti fondamentali contraddistinguono le tendenze del cristianesimo
- L’estensione del cristianesimo: si estende sono solo all’interno dell’Impero, ma anche all’esterno: Persia, Armenia, Arabia, Etiopia e Germania. La cristianizzazione dell’impero romano porta con sé una legislazione «cristiana». Per esempio la celebrazione del giorno del Signore (domenica) diventa, per legge nel 325, un giorno di festa civile.
- La fioritura del monachesimo come opzione e ideale di vita cristiana. Il modello di «monaco» succede a quello di «martire». Si noti che a maggior parte dei senti Padri, almeno per un periodo della loro vita, hanno praticato il monachesimo.
- L’apparizione, sia in oriente che in occidente, di grandi personalità che assumono la direzione della vita della chiesa.
Questi tre fattori influenzano molto migliora di molto l’elaborazione della morale cristiana che diventa anche la morale della società civile. I padri del resto utilizzano la filosofia e la cultura greco-romana (stoicismo, platonismo) per veicolare, giustificare, esporre e sviluppare l’elaborazione del pensiero morale cristiano.
Esporrò ora brevemente la dottrina di alcuni Padri greci poi parlerà di alcuni dei latini.

10. Atanasio (295-372)

La chiesa latina considera Sant’Atanasio uno dei grandi Padri greci, difensore instancabile della divinità di Cristo contro l’eresia ariana. Uomo di azione più che di pensiero.
Partecipò al concilio di Nicea come segretario del suo vescovo Sant’Alessandro di Alessandria (325). Nel 328 divenne vescovo di Alessandria. Il suo servizio episcopale durò ben 45 anni.
Per la sua lotta indefessa contro le eresia ebbe a subire esili e persecuzioni. Morì nel 372.
Per al storia della morale, va segnalata, oltre al suo trattato Sulla Verginità, la Vita di Sant’Antonio, che costituisce un documento importante del monachesimo primitivo e in cui compaiono le impostazioni della morale del monachesimo soprattutto per quanto riguarda il mondo delle tentazioni e il modo di combatterle.

11. San Basilio Magno (330-379)

Tra i Padri della chiesa del IV secolo più in vista nell’oriente cristiano vanno menzionati quelli della Cappodocia e cioè: Basilio il grande, suo fratello Gregorio di Nissa e il suo amico Gregorio di Nazianzio.
S. Basilio il Grande (m. 379), vescovo di Cesarea, è soprattutto un uomo d'azione, preoccupato dell'aspetto pratico, morale del messaggio evangelico, diversamente dagli altri padri greci che si interessano in primo luogo del suo aspetto metafisico. Nelle sue Regole morali Basilio descrive i doveri generali dei cristiani, che esorta ad una vita ascetica, e pone i fondamenti della legislazione monastica orientale rispondendo alle questioni pratiche dei monaci. Nello scritto Esortazione ai giovani sulla maniera di trarre profitto dalle Lettere elleniche risolve la questione del rapporto tra la letteratura classica greca c il cristianesimo, facendo concordare l'ideale morale dell'ellenismo e la sua dottrina sulla virtù con l'idea della grazia divina, considerata come dono di Dio.
Nei suoi Commentari della Scrittura, soprattutto dei Salmi, propone le leggi della vita cristiana insistendo sull'umiltà e sul digiuno c biasimando vizi come l'ira, l'avarizia e l'ubriachezza. S. Basilio si è segnalato inoltre per il suo insegnamento sociale. In un mondo nel quale i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, egli ricorda il dovere assoluto dell'elemosina: il ricco non è il proprietario delle proprie ricchezze bensì l'amministratore delle ricchezze dei poveri. Lo stesso Basilio organizzerà servizi di carità per i miserabili nella sua «casa dei poveri».

12. S. Gregorio di Nissa (m. 394)

Fratello di San Basilio, è dotato di eccezionali doti filosofiche, che impiega per l’interpretazione mistica del cristianesimo. Fu il padre del misticismo ma non trascurò la morale, il cui fondamento pone nel concetto di uomo come immagine di Dio. Di conseguenza vivere moralmente significa essere sempre in movimento verso la realizzazione in se stessi di questa immagine nelle diverse condizioni della vita, per es. nella verginità, nonostante che fosse sposato. Fu eletto vescovo di Nissa, una sorte di decanato rurale. Insiste anch’egli sull'amore verso i poveri e sull'elemosina, condannando l'usura come una calamità sociale.

13. S. Gregorio di Nazianzo (m. 390)

Amico di Basilio fin dalla giovinezza. Studiano insieme ad Atene e subisce il fascino del suo conterraneo. Di estrazione aristocratica come Basilio, fu sacerdote a Nazianzo dove è vescovo suo padre. Fu patriarca di Costantinopoli. Fu grande oratore tanto da meritarsi l’appellativo di Demostene cristiano. Riserva alla morale la stessa importanza degli altri Cappadoci.

14. La scuola di Antiochia

Altra scuola importante fu quella d'Antiochia, il cui maggior rappresentante fu S. Giovanni Crisostomo (m. 407), patriarca di Costantinopoli, ma conosciuto soprattutto come prete ad Antiochia, centro della sua splendida predicazione. La maggior parte della sua opera è costituita dalle Omelie, che commentano quasi tutto l'AT e il NT. Alla luce delle regole della sobria esegesi antiochena Giovanni Crisostomo scopre il senso spirituale della Scrittura, situa le dottrine stoiche e platoniche in un contesto cristiano e ne dà le applicazioni immediate e pratiche.
Questo autore è prima di tutto un moralista; suo scopo e promuovere il bene morale dei suoi uditori elettori. Temi preferiti del suo insegnamento morale sono i vizi e le virtù. Al primo posto della vita virtuosa egli pone l'amore di Dio e del prossimo, assegnando un luogo privilegiato all'amicizia. Condanna vizi come la vanagloria, la lussuria, la gozzoviglia; mette in guardia dalle occasioni di peccato come gli spettacoli del circo e del teatro, «assemblee di Satana». Nessuno come lui ha profuso tanto impegno nella promozione della giustizia e richiamato con tanta forza l'obbligo dell'elemosina. In alcune opere definisce i doveri morali delle diverse condizioni umane: il trattato Sul sacerdozio è «uno dei più preziosi tesori della letteratura patristica»; il trattato Sulla verginità gli ha meritato il titolo di apostolo di questa forma di vita; monaco lui stesso, canta la lode del monachesimo. Nel matrimonio vede una unione indissolubile fondata sull'amore reciproco e sulla legge divina. Sottolinea pure la necessità della educazione dei figli (è il titolo di un'altra sua opera). Si interessa della politica mostrando l'origine divina del potere ma anche le condizioni umane e morali del suo esercizio.

15. San Cirillo di Gerusalemme (313-387)

Nacque a Gerusalemme nel 313. Fu dapprima monaco e poi vescovo di Gerusalemme dal 348. Difensore strenuo della fede contro l’arianesimo, fu più volte esiliato. Non ebbe un grande influsso dottrinale nelle controversie trinitarie. Fu un grande interprete della tradizione.
La sua opera principale Le Catechesi è una esposizione semplice e popolare dei contenuti della fede
L’esortazione morale integra sempre l’insegnamento dottrinale in quanto il suo metodo è sempre didattico.
La Catechesi sono 24 precedute da una pro catechesi. Diciotto son rivolte ai catecumeni prossimi al battesimo, 5, chiamate mistagogie, sono rivolte ai neofiti nella settimana di pasqua e trattano dei sacramenti dell’iniziazione ricevuti la notte di pasqua.

16. I Padri latini del sec. IV-VII

I Padri latini presentano caratteri molto meno speculativi e sistematici di quelli dell’oriente. Sono però più interessati ai problemi sociale e morali.
La poca attenzione alla speculazione contribuisce al notevole ritardo con cui nella teologia occidentale nasce un’antropologia sistematica, che alla luce di un’antropologia complessiva rifletta sull’essenza dell’uomo, sulla sua posizione di fronte al Creatore, sulla sua prassi e sui suoi atti.
L’interesse, invece, è rivolto più verso i filosofi, per meglio risolvere le questioni morali pratiche.

17. Ambrogio di Milano (338-397)

E’ uno dei quattro grandi Padri della chiesa d’occidente. Nacque a Treviri probabilmente nel 338 da un’illustre famiglia romana. Mortogli il padre, che era cristiano, si trasferisce con la madre, la sorella Marcellina e il fratello Satiro a Roma, dove ebbe un’accurata formazione umanistica. Studiò diritto e per un tempo esercitò l’avvocatura.
Fu governatore della Liguria e dell’Emilia ma risiedeva a Milano. Il 7 dicembre del 374 fu ordinato vescovo di Milano, dopo essere stato battezzato cresimato e ordinato sacerdote. Con l’impegno dell’episcopato portò avanti la sua formazione teologica. Ebbe un enorme influsso politico.
Nei suoi scritti di riflette la sua intensa attività pastorale. L’opera che più ha influenzato il pensiero morale è senz’altro il De officiis (sui doveri) che più tardi diventerà ministro rum perché tratta primariamente dei doveri dei ministri sacri. Sia il titolo che il contenuto richiamano l’omonima opera di Cicerone, di cui Ambrogio era un ottimo conoscitore.
La moralità per Ambrogio è l’amalgama tra l’onesto e l’utile. Utilizza sovente lo schema delle virtù cardinali. Tra le opere esegetiche va segnalata per la storia della morale sociale, De Nabuthe, commento dettagliato del cap. 21 del I libro dei Re. In questo testo viene paragonato l’oppressione sofferta dal povero Nabot con la situazione sociale e politica del suo tempo.
Affermazioni di quest’opera sono state riprese dall’enciclica di Paolo VI Populorum progressio, specialmente sul tema della proprietà privata e la destinazione unversale dei beni.

18. Girolamo (347-419)

Nacque a Stridone tra la Dalmazia e la Pannonia nel 347. Visse soprattutto a Roma e in Palestina. Conoscitore straordinario del latino, traduce in questa lingua la Sacra Scrittura e testi patristici. Dotato di carattere forte, ebbe doti polemici.
Per la storia della morale sono interessanti le Lettere. Trattano in forma monografica i temi della verginità, della vedovanza, della vita monastica, della vita clericale e dell’educazione dei giovani.
Principale ispiratore della proposta morale di Girolamo è Origene. Dai filosofi antichi mutua la struttura dell’anima, la virtù in genere e le quattro virtù cardinali. Ma la vera sapienza di Girolamo e quella biblica. E’ la Bibbia la vera maestra di morale e di spiritualità di Girolamo.
L’ascetismo raccomandato a Girolamo si concretizza nella vita religiosa, di cui fu un fervido difensore. Egli concepisce che il chiamato da Dio sia pronto a sacrificare quel che ha di più caro. Perciò raccomanda l’amore alla solitudine e al ritiro, la vita comune, l’austerità nel vestire e nel mangiare, la preghiera continua, lo studio della Bibbia.
Insiste sull’obbedienza, che è come la garanzia della veracità delle altre virtù. E’ virtù opposta alla superbia e quindi equivale all’umiltà.

19. Agostino di Ippona (354-430)

La più possente e sontuosa mediazione fra cristianesimo e platonismo anche per ciò che riguarda la riflessione morale, è stata operata da S. Agostino (354‑430), il Padre che ha esercitato il più profondo, vasto e duraturo influsso in tutta la morale cristiana seguente.
E' impossibile nei limiti del presente corso dare anche una visione sintetica della dottrina morale agostiniana; l'unica cosa che forse possiamo tentare di fare è semplicemente quella di vedere la piega che con Agostino prende la costruzione della domanda morale nel pensiero cristiano o, in altre parole, la modulazione originale con cui viene sviluppata
L'originalità di simile costruzione consiste nell'aver collocato il problema morale, il problema del retto agire, nel problema del rapporto fra Pensato (legge) e vissuto, fra Bene e storia sia personale che universale. L'impianto neoplatonico del suo pensiero lo portava a questa formulazione del problema morale come problema di «elevazione al di sopra delle faccende feriali» come sforzo di adeguare il vissuto al pensato, l'agire alla legge ideale.
All'interno di questo modo di costruire la domanda morale Agostino elabora alcune categorie concettuali che da lui iniziano la loro storia mai più finita nella riflessione elica cristiana. Esse mi sembrano soprattutto due: legge eterna ‑ coscienza morale: non si tratta, specie per la seconda (atteso il discorso origeniano in merito) di creazioni ex nihilo del pensiero agostiniano, ma dall'elaborazione agostiniana escono con un volto nuovo, con una nuova carta d'identità ed è con questa che entrano nella tradizione cristiana.
La legge eterna viene da Agostino intesa come il divino pensato e pertanto il bene come tale cui tutte le cose e l'uomo devono conformarsi; l'impalcatura concettuale di simile discorso ha perso contatto con la concezione che di legge naturale aveva elaborato il diritto romano, concezione nata da precise esigenze giuridiche, cioè storiche, per radicarsi unicamente nel neoplatonismo colla conseguenza che larghe falde del vissuto dovranno essere defalcate.
Si pensi alle conseguenze di simile impostazione nel campo della morale matrimoniale agostiniana.
La coscienza, atteso lo «psicocentrismo» del discorso agostiniano e la sua tendenza ad esigere l'introspezione al centro stesso della sapienza, diviene un punto focale del discorso etico: è forse con Agostino che il discorso etico cristiano fa della riflessione sulla coscienza un tema‑chiave. La coscienza è ormai vista come il luogo della presenza del Bene all'uomo e l'ascesa di questi verso di Esso coincide con un processo di progressiva interiorizzazione ed ascolto della coscienza.
Dentro la comunità cristiana ormai il problema morale si porrà in questi termini: come conformare il vissuto umano al pensato divino? (problema del rapporto tra Bene e storia).

20. Leone Magno (400-461)

Nacque a Volterra, ma risiedette quasi sempre a Roma. Da bambini assistette all’invasione di Roma da parte delle truppe di Alarico (410).
Consacrato vescovo di Roma nel 440, in un’epoca di disgregazione politica in Occidente, Leone I si concentrò sulla creazione di un potente governo centrale nella chiesa e sulla soppressione sell’eresia. Ebbe una enorme influenza. Convocò un sidono di vescovi a Milano, la sede vescovile più potente dopo quella di Roma. Seppe convincere, nel 452, l’unno Attila a non invadere Roma. Tre anni dopo, pur non potendo impedire il sacco di Roma da parte del vandalo Genserico, riuscì ad evitare il massacro dei cittadini.
Leone ebbe anche una influsso enorme sulla chiesa d’oriente. Il suo più grande successo fu il concilio i Calcedonia (451), convocato per condannare l’eresia del monaco bizantino Eutiche, che affermava la sola natura divina in Cristo (monofisismo), negandone la natura umana. La definizione delle due nature (divina e umana) di Cristo formulata dal nostro nel Tomus ad Flavianus (449), lettera dottrinale inviata al patriarca di Costantinopoli, venne approvata dal concilio con le famose parole: «Pietro ha parlato per bocca di Leone».
Di Leone I restano Sermoni e Lettere: dalle une traspare il suo governo, dalle altre la sua personalità religiosa. La sua visione di cristianesimo è: fede nell’opera misericordiosa di Dio manifestata in Cristo, che esige una condotta coerente con la grazia ricevuta.
La sua morale: è la via della perfezione tracciata della fede, da raggiungere attraverso la buona condotta. L’impegno morale si basa sulla rivelazione misericordiosa di Dio, si incanala attraverso la ricerca della somiglianza divina, si concretizza nell’identificazione con Cristo e si manifesta nelle opere di bontà.

21. Cesario di Arles (470-543)

Entrato giovanissimo nel monastero di Lerin, fu allievo di Giuliano Pomerio. Divenne vescovo di Arles nel 502 e dal 514 fu primate della Gallia e della Spagna. Morì nel 543.
Fu un predicatore assiduo ed efficace. Scrisse numerose opere. Si ricordano: un trattato sull’Apocalisse, Sulla Trinità, Sulla grazia. Combatte efficacemente l’eresia ariana e quella pelagiana.
Abbiamo però I Sermoni giuntici in numero di 238 che offrono un interessante quadro del suo animo e della società dell’epoca. In uno stile particolarmente dimesso, ma non trascurato, voluto per venire incontro alle esigenze dei fedeli meno colti, offre spunti di riflessioni a preti e monaci, commenta testi biblici e illustra feste liturgiche. Si ispira molto ad Agostino.
Cesario non è un teologo morale propriamente detto, ma un pastore che cerca di correggere i comportamenti dei suoi fedeli. La dottrina esposta nei suoi Sermoni costituisce la transizione tra il periodo della patristica e quello del Libri penitenziali. L’influenza di Cesario sulla disciplina ecclesiastica è stata enorme: rappresenta un anello di congiunzione tra due epoche.
I temi di morale da lui più sviluppati sono temi di morale sessuale. Esorta i giovani a preservare la verginità prima del matrimonio e i coniugi a serbare la fedeltà coniugale. Condanna l’adulterio sia dell’uomo che della donna, opponendosi all’abituale severità contro le donne e al lassismo nei confronti degli uomini.
Sostiene che, se anche autorizzato dalla legge civile, il concubinato è peggiore dell’adulterio. Per prevenire simili vizi è necessario fuggire dalle conversazioni lascive e dagli eccessi di cibo. I chierici, anche se sposati, devono evitare la vicinanza con donne estranee. Le vergini devono essere caste nel corpo e nel cuore. Le religiose eviteranno ogni sguardo al volto degli uomini e ogni compiacenza nel tono della voce, inclusa quella del lettore.

22. Gregorio Magno (540-604)

Gregorio è considerato l’ultimo Padre della Chiesa e il primo scrittore medioevale. Nato a Roma nel 540, dopo essere stato prefetto di Roma, si fece monaco nel monastero sul Celio, oggi a lui dedicato. Dopo essere stato nunzio a Costantinopoli, fu eletto nel 590 vescovo di Roma.
Fornito di grande buon senso, autentico genio pratico, esercitò magnificamente l’arte del governo: con la rettitudine e la discrezione. Seppe farsi amare dalla maggioranza.
Nell’animo di Gregorio convivono due mondi: uno che finisce e l’altro che comincia. Ha saputo dare impulso all’azione pastorale in tutta la chiesa. E’ stato il grande restauratore della disciplina canonica.
Tra le sue opere ricordiamo la Regola pastorale. Scritto di grande importanza per il tutto il medioevo. I Moralia, commento al libro di Giobbe. Gregorio è stato l’autore più citato nei secoli successivi. San Tommaso se ne serve moltissimo nella sua Summa.
Da autentico romano, orientato principalmente verso i dati pratici della vita cristiana, è preoccupato di cercare e trovare nella Scrittura gli esempi per la vita morale e di esporne minutamente e imperativamente i singoli precetti e consigli. Egli infatti è sicuro che la Scrittura, come parola di Dio, oltre al senso letterale e allegorico, abbia anche sempre un senso morale che va scoperto ed esposto.

23. Altri padri greci e latini

Massimo il Confessore (579-662). Teologo che fa da ponte tra oriente ed occidente. Oltre alla sua ricerca teologica trinitaria e cristologica, è importante la sua teoria sul contributo che la fede può dare alla realizzazione umana: la fede divinizza l’uomo. Per l’insegnamento morale va ricordato la sua teologia della legge, tanto quella naturale che quella formulata dagli uomini e soprattutto la legge della grazia.

Giovanni Damasceno (m. 749). E’ uno dei primi teologi a dialogare con l’islam. A Damasco, città natale, succede a suo padre come ministro delle finanze del califfo. Dopo varie esperienze negative vende tutti i suoi beni dà il ricavato ai poveri e si fa monaco nel monastero di San Saba, presso Gerico.
Il Damasceno occupa un posto di rilievo nella riflessione teologico-morale: l’uomo, creato ad immagine di Dio è il soggetto della morale cristiana. Tale orientamento antropologico è divenuto una costante della teologia morale

Vanno anche ricordati: Eusebio di Cesarea, storico della chiesa (265-340), Ilario di Poitiers (315-365), l’Atanasio d’Occidente, Martino di Braga (M. 580) e Isidoro di Siviglia (562-636).

24. Bilancio conclusivo

La teologia patristica costituisce uno dei momenti privilegiati della morale cristiana, dal punto di vista della sua vita e della sua riflessione. Lo stile di vita cristiano riceve le sua configurazione definitiva nei primi secoli della chiesa. Da parte sua la riflessione teologico-morale ha inizio con gli scritti di quest’epoca.
L’importanza della teologia patristica risulta evidente nei seguneti punti:
- La vita della chiesa primitiva e gli scritti dei Padri sono tra gli elementi più significativi della tradizione ecclesiale, luogo normativo ed epistemologico per la vita cristiana e per la riflessione teologica. Dice il Vaticano II: «le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa tradizione le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della chiesa che crede e che prega» (DV n. 8).
- In epoca patristica si realizza la prima grande inculturazione della morale. Avendo come contesto la morale dell’Antico Testamento e del periodo intertestamentario e nata direttamente dalla prassi e dall’insegnamento di Gesù, la morale cristiana si radica nella società greco-romana e nella cultura ellenistica. Se nei primi scritti è più forte l’influsso dell’ebraismo, a partire dal III secolo si passa dal contesto ebraico all’universo mentale dell’ellenismo. L’influsso dello stoicismo, nella morale patristica, è evidente in categorie etiche come quella della "legge naturale".
- La patristica non è solo testimonianza di un momento storico della formulazione della morale cristiana, ma anche una pietra miliare da considerare come espressione paradigmatica della dimensione morale della fede. Bisogna sempre tornare allo spirito della morale patristica: per derivare il comportamento morale dalla confessione di fede in Dio Padre, in Cristo Verbo incarnato e nello Spirito. Per comprendere la morale cristiana nella sua indissolubile articolazione con i sacramenti, la liturgia, la spiritualità. Per proporre un’elevazione continua dell’ideale della perfezione umana. Per mantenere in vita l’opzione cristiana a favore della dignità e della dignificazione della persona, soprattutto negli individui e nei gruppi più deboli della società.
- «La teologia morale dei Padri è una teologia della perfezione, che indica il fine al quale è necessario giungere: la virtù soprattutto la carità. E’ ispirata in primo luogo alla Scrittura, ma usa anche i grandi sistemi morali dello stoicismo e del platonismo, ai quali conferisce un colore evangelico. L’insegnamento morale è incluso nei casi pratici. Infine, la teologia morale dei Padri non è affatto influenzata dalla pratica della pubblica penitenza» (Vereecke).