Essere eremita vuol dire vivere alla presenza del Signore con cuore indiviso.
L'ascolto della Parola di Dio, la preghiera, il lavoro manuale e intellettuale sono gli strumenti che l'eremita utilizza per camminare sulle vie del Vangelo nell'officina spirituale che è l'eremo.
La preghiera, poi, richiede un contatto continuo con la Bibbia, ascoltata, ruminata, memorizzata, cantata, vissuta.
Dalla Parola nasce la preghiera che è risposta del cuore amante all'Amore che è Dio.
Essere eremita vuol dire "rimanere" così come ci viene insegnato dal IV Vangelo.
Il verbo "menein" (rimanere) nel IV Vangelo acquista una particolare sfumatura di significato: rimanere presso qualcuno, restare, rimanere saldi.
Giovanni utilizza questo termine soprattutto nei "discorsi d'addio" (c. 13-16) per esprimere la permanenza della relazione tra il Padre e il Figlio e tra il Figlio e l'uomo.
Per Giovanni rimanere è aderire fedelmente in un'unione indissolubile come il tralcio che rimane unito alla vite produce molto frutto, così solo chi rimane nell'amore del Signore conosce la pienezza di vita (Gv 15,1-12).
Rimanere è anche permettere al Signore di comtinuare ad operare in noi e permanere nel duplice comandamento dell'amore.
Il rimanere nell'amore è un imperativo che Gesù rivolge ai discepoli, ma è anche la richiesta che per loro egli innalza al Padre nella "preghiera sacerdotale" (Gv 17,21).
Così solo dimorando nell'amore di Cristo, che è rimasto nell'amore del Padre e ha compiuto tutta la sua volontà, può nascere quella stabilità cui fanno riferimento i santi.
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