2. La vita cristiana è vita teologale
Il cristiano, in quanto partecipe della natura divina, vive la vita stessa di Dio.
Esistenza cristiana, infatti, non sta ad indicare una relazione formale a Dio, secondo un rapporto religioso puramente esterno, ma una partecipazione in Cristo vitale, per cui Dio si comunica all'uomo coinvolgendolo integralmente.
Si tratta, quindi, di una partecipazione ontologica. Per Giovanni poteva dire: «Noi siamo nel vero Dio e nel suo Figlio Gesù Cristo» sostiene il discepolo prediletto (1Gv 5,20).
Tutto ciò avviene per mezzo dello Spirito Santo, come afferma ancora Giovanni: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13; 3,24).
In altre termini l'umano è assunto ed elevato dal divino e la vita dell'uomo diviene vita teologale, cioè vita divina.
2.1. Sguardo storico‑salvifico
Rendere partecipe l'uomo della propria vita fa parte del disegno eterno di Dio. Disegno di elezione alla santità e di predestinazione alla figliolanza in Cristo (cfr. Ef 1,3‑6).
Tale disegno guida tutta la storia della salvezza: la creazione e la redenzione.
Dio, dando la vita all'uomo, lo costituisce nello stato di grazia originale, cioè in comunione dialogica con lui. L'uomo riceve da Dio la pienezza di vita, ma vi deve corrispondere con amore accogliente e fedele.
Questa comunione di vita deve caratterizzare tutti i rapporti:
- da quello trascendente dell'uomo con Dio,
- a quello interiore con se stesso,
- a quello orizzontale con il partner umano,
- a quello immanente con il mondo infraumano.
La vita teologale, o vita di comunione con Dio, è la convergenza del dono di Dio e della libertà dell'uomo.
Questo vuol dire che Dio sicuramente offre, ma l'uomo può chiudersi liberamente al dono e rifiutare.
In questo caso l'uomo fa l'esperienza del peccato come egoismo e orgoglio, con cui si chiude al dono di Dio, ripiegandosi su se stesso: «Sarete come Dio» (Gn 3,5).
E' la fine della partecipazione alla vita divina.
L'uomo, sia chiaro, conserva la indefettibile «immagine di Dio» (Gn 1,27), ma perde la vita teologale. Infatti La condizione di peccato, l'essere «sotto il peccato» (Gal 3,22; cf Rm 3,9; 6,20), è in antitesi alla vita teologale.
Come la comunione con Dio sta ad indicare l'armonia di tutti i rapporti, così la sua rottura causata dal peccato degrada le relazioni dell'uomo con se stesso, con gli altri, con il mondo.
Dio, però, non abbandona l'uomo nel peccato e, fedele al suo disegno di salvezza, realizza il progetto, in diversi modi significato e promesso nell'antica alleanza, di rigenerare la vita divina nell'uomo.
Questa rigenerazione è la giustificazione del peccatore realizzata da Dio in Cristo, «nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7).
L'uomo è riconciliato con Dio (cfr. Rm 5,10). Il peccato, che impedisce la comunione di vita, è vinto per «l'opera di giustizia» di Cristo che si riversa sull'uomo come «giustificazione che dà la vita» (Rm 5,18).
Questa nuova situazione di giustificazione e riconciliazione, originata dalla Pasqua di Cristo, raggiunge l'uomo nel suo essere personale attraverso il dono «rigenerante» dello Spirito (cf Tt 3,5).
L'evento della redenzione viene partecipato ad ogni uomo, che, però, si apre in libertà ed accoglie il dono dello Spirito, cioè la vita nuova in Cristo.
2.2. Vita nuova in Cristo
Il dono di Dio in Cristo, per opera dello Spirito, investe e rinnova l'essere e l'esistere della persona.
E' il dono della «vita nuova» (Rm 6,4), cioè l'elevazione soprannaturale dell'essere umano e conversione ontologica dell'uomo vecchio.
Paolo in proposito afferma: «se qualcuno è in Cristo, è una creatura nuova; l'essere antico è scomparso, lì c'è un essere nuovo» (2Cor 5,17; cfr. Gal 6,5).
Si tratta dell'essere nuovo rinnovato dalla Pasqua di Cristo e applicato all'uomo come evento ontologico‑morale, ossia, come dice Paolo, di «spogliazione dell'uomo vecchio con le sue azioni» e «rivestimento dell'uomo nuovo che si rinnova» (Col 3,9‑10; cf Ef 4,22‑23).
Tutto questo avviene con l'azione vivificante dello «Spirito di Dio che abita in noi» (Rm 8,9), il quale converte l'uomo carnale, in uomo spirituale (cf Rm 8,1‑17).
La vita nuova è una «rinascita» (cf Gv 3,3) che avviene per mezzo del battesimo: «Dall'acqua e dallo Spirito» (Gv 3,5); «Col bagno della rigenerazione e del rinnovamento nello Spirito Santo» (Tt 3,5).
Attraverso il segno dell'acqua, lo Spirito opera la rigenerazione e la partecipazione alla vita del Risorto: «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).
Inoltre la vita nuova è alimentata e fecondata dall'Eucaristia come sacramento della vita in Cristo e per Cristo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue... dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,54‑57).
La relazione dei tralci con la vite diviene il paradigma della relazione del cristiano con Cristo. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto» (Gv 15,4‑5).
Tutti i sacramento sono segni efficaci della vita nuova in Cristo, che lo Spirito opera in noi, secondo la significatività propria di ciascuno e in relazione alla situazione esistenziale in cui ogni sacramento viene ricevuto.
In modo particolare:
- la cresima come sacramento di confermazione della novità di vita battesimale ed eucaristica;
- la penitenza come sua riattivazione e rilancio riconciliatore;
- l'ordine sacro che qualifica lo stato di vita ministeriale e sacerdotale;
- il matrimonio come qualificazione in un particolare stato di vita coniugale e familiare;
- l'unzione degli infermi come accoglimento nel suo dinamismo innovatore della vita sofferente e terminale.
sabato 9 febbraio 2008
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