2.5. Ecclesialità
La comunione con Dio in Cristo per lo Spirito avviene nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.
Essa, popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito, è anche sacramento della vita trinitaria. Essa, infatti, ricolma della pienezza di Cristo (Ef 1,23) per il dono pentecostale dello Spirito, è la sorgente della vita divina.
Essa, secondo la LG, «genera a vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio» (n. 64).
E' così che la vita divina presente nei suoi figli rende santa la Chiesa stessa, divenendo, secondo sempre la LG «universale sacramento di salvezza» (n. 48).
E' così che la Chiesa influenza in modo duplice la vita teologale:
- influsso causale: il cristiano, cioè, attinge la vita divina alla teologalità della Chiesa, attinge, cioè, la vita divina, che non ha origine dalla semplice virtù di religione quale individuale rapporto con Dio, ma dalla comunione ecclesiale, che altro non è che la partecipazione all'economia di grazia della Chiesa;
- influsso attestante l’essere cristiano: questi è membro attivo della Chiesa, cioè non è possibile un vissuto teologale fuori di essa, ma solo e sempre all'interno di essa, quale espressione della partecipazione ad essa.
La Chiesa vive nei suoi membri, che genera alla vita di Dio.
La vita divina non conosce, dunque, individualismi, privatismi e intimismi di sorta.
Essa, realtà personale, è, allo stesso tempo, realtà ecclesiale. Infatti ogni ripiegamento su se stessa della vita divina è fuorviante e mistificante.
La vita divina, espressione dell'economia di grazia della Chiesa, si rende visibile attraverso, fuori e dentro la chiesa, dai suoi membri.
Essa è, cioè, testimonianza ecclesiale e diviene missione, annuncio, evangelizzazione, apostolato.
La vita divina in noi è vita con Dio a favore degli altri: è «luce» (cf Ef 5,8) che «deve brillare agli occhi degli uomini» (Mt 5,16). «E' Dio che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto del Cristo» (2Cor 4,6).
1. La vita teologale è accoglienza della luce divina che ci rende ontologicamente luminosi, ci trasforma in irradiazione, specchio della gloria di Dio, così come risplende sul volto di Cristo.
Parlando della testimonianza della fede, diremo che il cristiano vive la vita di grazia come luce da Luce: luce ricevuta, accolta, e insieme riflessa e irradiata.
2. La vita teologale è essere e poter diventare, in Cristo e come Cristo, splendore della gloria di Dio.
2.6. Santificazione
«E noi tutti... riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).
Il cristiano, trasformato dallo Spirito ad immagine sempre più perfetta di Dio avendo come prototipo Cristo, riflette nella sua vita la santità di Dio: «di gloria in gloria».
La santità cristiana, infatti, prima che un compito e uno scopo, è un dono e uno stato: santità per grazia, santificazione (cf 1Cor 1,2; 6,11; 1Ts 5,23; Eb 10,10.14).
Essa è il raggiungimento della pienezza di senso dell’essere cristiano, realizzata dalla grazia santificante.
La vita teologale, partecipazione alla vita del Dio tre volte santo (Ap 4,8), nella conformazione a Cristo il «Santo di Dio» (Gv 6,69) e per l'azione dello «Spirito di santità» (Rm 1,4), è cammino verso la santità.
Questa non è riservata ad un gruppo elitario di cristiani, quasi fosse un privilegio connesso a vocazioni speciali nella Chiesa, infatti, ma è per tutti i cristiani.
Il dono della vita divina è una e indivisibile, viene donata dal battesimo è una santificazione prima che ci possa essere una qualsiasi determinazione e opzione del soggetto.
Il concilio Vaticano II ha ribadito con forza «l’universale chiamata alla santità». Santità non solo in senso morale, cioè come compito da realizzare, ma da cogliere primariamente come elemento costitutivo la realtà umana, secondo l’assioma classico «agere seguitur esse».
La LG afferma testualmente «i seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina e perciò realmente santi» (n. 40).
Ne segue che «tutti nella Chiesa... sono chiamati alla santità secondo il detto dell'apostolo: "la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate" (1Ts 4,3; cf Ef 1,4)» (LG n. 39).
Il Concilio, quindi, precisa che: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado» (LG n. 40)[1].
Disconoscere la santità come identità ontologica della vita cristiana, vuol dire privarla del suo spessore teologale e ridurre la religione cristiana un eccedente formale dell'umano che non specifica e impegna nessuno.
In un passato non molto lontano si teorizzava una duplice identità cristiana, matrice di una doppia morale:
- chiamati alla perfezione,
- chiamati alla salvezza.
Quest'ultimo è il cristianesimo minimale di quanti, anche oggi, si dichiarano cristiani non praticanti.
Rendere di nuovo teologale la vita cristiana vuol dire ricollocarla nella santità di Dio, suo principio costitutivo e dinamico.
La santità di Dio caratterizza così profondamente l'essere cristiano da non poterne prescindere, anche perché la vita del cristiano, come quella di ogni uomo, è piena di debolezze e di peccati.
La santità non è opera dell’uomo ma è opera dello Spirito Santo.
E’ un lasciarsi plasmare dalla grazia dello Spirito, la quale genera e sviluppa in ogni persona la vita di Dio, abilitandola ad essere «santa e immacolata» (Ef 1,4) e aiutandola a vivere «come si conviene ai santi» (Ef 5,3; cf Col 3,12).
In sintesi, la vita cristiana come vita teologale è partecipazione alla vita divina, donata da Dio all'uomo nella creazione.
Perduta con il peccato è stata ricreata per l'opera giustificatrice di Cristo e rigenerante dello Spirito
L'uomo la riceve e la vive come:
- vita nuova, perché è partecipazione sacramentale alla Pasqua di Cristo;
- vita eterna, quale anticipazione della pienezza di Dio;
- vita trinitaria, come comunione d'amore filiale con il Padre, nel Figlio, per lo Spirito.
Questa vita, infine, ha dimensione ecclesiale perché è attinta e vissuta nella Chiesa, come riflesso della santità di Dio, il quale vuole che tutti siano santi (cf la legge di santità).
[1] Al n. 11 inoltre si afferma: «tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste».
lunedì 11 febbraio 2008
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