3. Fondazione biblica
La Chiesa, a partire dal periodo apostolico, è cosciente della specificità della fede, della speranza e della carità.
E' significativo che nel primo scritto neotestamentario, la prima lettera ai Tessalonicesi, si definisca la perfetta vita cristiana della comunità di Tessalonica come vita di fede, speranza e carità.
Si dice, infatti, «rendiamo grazie a Dio sempre per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, avendo incessantemente presente davanti a Dio e nostro Padre l'opera della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (1,2‑3).
E' da notare qui come fede, speranza e carità «non vengano nominate di per sé quasi a mo' di formule, ma entrano nel discorso già in vista di ciò in cui esse rispettivamente si realizzano»[1].
Di ciascuna, infatti, è evidenziato il particolare dinamismo concreto:
- l'opera (ergon) della fede è significativo di un credere attivo e operante, impegnato cioè in un ascolto osservante e testimoniante della parola, come esigito dal messaggio di Gesù (cf Lc 11,28; Mt 12,50; Gv 14,23);
- la fatica (kopos) della carità connota un amore che s'affatica perché l'agape di Cristo, che il cristiano è chiamato a riprodurre, è profondamente coinvolgente e impegnativo;
- la fermezza (hypomene) della speranza designa l'attesa piena di costanza, perseveranza e pazienza della parusia di Cristo, che nasce dalla forza del Risorto[2].
Più avanti, nella stessa lettera, l'apostolo ripropone la triade caratterizzante la vita cristiana, mediandola dal simbolismo dell'armatura che riveste il soldato: «Noi che siamo del giorno, siamo sobri, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza» (5,8).
Fede, speranza e carità sono i nuovi abiti dei «figli del giorno e della luce» (5,5).
E' la luce del giorno del Risorto, che investe come valore e forza l'uomo nuovo, rivestendolo della fede, della speranza e della carità nel modo in cui la corazza e l'elmo rivestono il guerriero.
Il cristiano è il soldato che avanza sicuro e forte nella fede, nella carità e nella speranza.
Anche all'inizio della lettera ai Colossesi Paolo configura, nel rendimento di grazie, la vita della comunità cristiana come esistenza di fede, speranza e carità: «Noi rendiamo continuamente grazie a Dio... per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù e della carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli» (1,3‑5).
La speranza in questo caso è colta come bene escatologico, e solo indirettamente, come virtù e atteggiamento, che muove in modo finalistico la fede in Gesù Cristo e la carità ecclesiale.
Nella prima lettera ai Corinzi l'apostolo celebra la carità come «la via migliore di tutte» (12,31), e da essa prende senso e valore ogni carisma nella Chiesa.
Ma non senza la fede e la speranza, cui la carità è intimamente connessa: «Adesso rimane la fede, la speranza, la carità: queste tre cose soltanto; ma la più grande di esse è la carità» (13,13).
La carità è la più grande, ma forma con la fede e la speranza una trilogia unitaria della vita cristiana.
Significativo in questo senso è il verbo «rimane» al singolare: fede, speranza e carità esprimono, come un tutt'uno, l'essenza del vivere cristiano.
Si deve altresì notare la diversa successione di carità e speranza: a differenza dei testi precedenti, la carità sta ora alla fine, mentre la fede precede sempre.
Si può dire che:
- «se si guarda all'orientamento dell'esistenza cristiana, il rilievo è dato alla speranza»: l'ordine fede, speranza e carità mette in luce l'indirizzo escatologico della fede e carità, che è dato appunto dalla speranza.
- «Se si guarda alla sostanza del suo modo di essere, si deve ricordare da ultima la carità»: l'ordine fede, speranza e carità mette in evidenza la preminenza della carità.
- «Se si guarda però alla radice della vita cristiana, essa è sempre la fede»[3].
Sono questi i testi in cui la triade fede, speranza e carità, designa la vita cristiana in forma strettamente unitaria ed esplicita.
Vi sono, però, altri passi in cui la stessa designazione avviene in forma testualmente meno compatta, ma non meno convinta, e con accentuazioni particolari.
Gal 5,5‑6: in cui la fede apre alla speranza e si attua nella carità: «Noi dallo Spirito e per mezzo della fede attendiamo la speranza della giustificazione. Perché in Gesù Cristo non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità».
Ef 1,15‑18: la Chiesa di Efeso è una comunità di fede e di carità in cammino verso la speranza: «Perciò anch'io, avendo avuta notizia della vostra fede nel Signore Gesù e della carità che avete verso tutti i santi, non cesso di rendere grazie per voi... Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo... possa davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati».
Ef 4,2‑5: esorta alla carità, annoverando la speranza e la fede tra i suoi vincoli di unità: «Con ogni umiltà... sopportatevi gli uni gli altri mediante la carità... Un solo corpo, un solo Spirito come una sola è la speranza cui siete stati chiamati...; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo...».
Rm 5,1‑5: la giustificazione per la fede apre alla speranza, certificata in noi dalla carità di Dio: «Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio... e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio... La speranza poi non delude perché la carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato».
Nel capitolo dodici della lettera ai Romani fede, speranza e carità diventano atteggiamenti strutturali e decisivi di tutta la vita morale cristiana. A ciascuna vengono ricondotte virtù e disposizioni etiche particolari. Così:
- la fede comanda l'esercizio di certi doni e compiti come la profezia, il servizio, l'insegnamento, l'esortazione, la presidenza, la misericordia (vv. 3‑8);
- la speranza suscita la gioia, la pazienza, la perseveranza (v. 12)[4];
- la carità genera la sincerità, la fuga del male, l'amore del bene, l'affetto fraterno, la stima reciproca, lo zelo, il fervore (vv. 9‑10).
Da ultimo, due testi della lettera agli Ebrei, in cui è bene evidenziata la dinamica di fede, speranza e carità della vita cristiana, come dato nel primo e come esortazione nel secondo: «Dio non è ingiusto da dimenticare... la carità che avete dimostrato... Desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento..., seguendo l'esempio di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi della promessa» (6, 10‑12).
«Avendo un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede... Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza... Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda nella carità...» (10,21‑24).
Questi sono i testi caratterizzati dalla presenza con termini espliciti della triade teologale.
Tuttavia il significato espresso va oltre la sua designazione e composizione lessicale. Attraversa tutto il messaggio neotestamentario, può essere compreso come annunzio, appello e attestazione di fede, speranza e carità, fino a diventarne la decisiva chiave ermeneutica.
Esaminiamo brevemente gli scritti giovannei: in modo particolare alla preghiera di Gesù nel capitolo 17 del quarto vangelo, dove la vita teologale è compresa come vita eterna, partecipata da Gesù ai suoi e da questi vissuta come:
- fede: «Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato... Ed essi hanno conosciuto... e creduto» (vv. 6.8);
- speranza: «La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro... Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano dove sono io, perché contemplino la mia gloria» (vv. 22.24).
- carità: «Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi» (v. 26);
La rivelazione donante del «nome» di Dio suscita la fede, comunica la carità e apre alla speranza.
[1] SCHLIER H., Per la vita cristiana: fede, speranza, carità, Brescia 1975, 12.
[2] Ibidem, 12-13; FORESTEL J.T., Le lettere ai Tessalonicesi, in Grande commentario biblico, Brescia 1974, 1122.
[3] SCHLIER H., Op. cit., 15
[4] DELHAYE Ph., Rencontre de Dieu et de l’homme. Vertus théologales en général, Tournai 1956, 104.
venerdì 22 febbraio 2008
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