venerdì 29 febbraio 2008

Seconda Meditazione

3.1. Il passaggio dal «pensare» al «credere»

L'uomo è un essere autocosciente. Un essere che, nella sua libertà, assume se stesso, la realtà che lo circonda e, attraverso l’autocoscienza, si pone la domanda di sé.
Questa è la forma specificamente umana del vedere.
Il vedere umano, infatti, trascende la pura riproduzione visiva dell'esistente. E’ uno sguardo riflessivo, un vedere che penetra nel veduto, approfondendone il significato.
Un vedere che scruta il veduto, lo penetra nell’intimo per cogliervi tutte le sue implicazioni.
Questa operazione permette alla realtà di rivelarsi nella totalità della sua verità e all'uomo di comprendere meglio la verità che lo circonda.
L'esistenza è coscienza e insieme trascendenza, perché può andare al di là del semplice suo esistere oggettivo.
In questo andare al di là conoscitivo, la coscienza coglie e afferma la sua trascendenza. La coscienza è, quindi, la capacità che l'essere umano ha di elevarsi sul mondo dell'esserci, come il conoscente si eleva sul conosciuto.
Tuttavia l'essere umano non è riducibile alla sola trascendenza, in quanto egli è coscienza non solo in rapporto al singolare e al dato esteriore, ma anche e ancor più in relazione al tutto e a se stesso in quanto conoscente.
Egli è coscienza che riflette sulle implicanze ultime dell'esistere, che sono implicanze, non solo dell'esserci, ma anche del dover essere, dell'essere con gli altri, dell'essere verso gli altri.
L'essere umano, infatti, non coincide solo col suo esserci. Egli è proteso a una coscienza che va al di là della semplice realtà dei fatti.
Si tratta di una coscienza che non può essere utilizzata per indagine probanti, proprie del conoscere scientifico e sperimentale, che è un sapere dato dall'evidenza e necessitato da una logica del vero per chiunque, indipendentemente dal soggetto e dalla sua libertà[1].
Un sapere, questo, legittimo e doveroso per raggiungere la verità concreta e fattuale, ma insufficiente e inadeguato a cogliere la pienezza e la profondità della verità e del senso dell'esistenza.
Accampare questa pretesa può divenire addirittura mistificante.
Una coscienza, che vuole conoscere in pienezza e profondità, non può essere riducibile a una intelligibilità marginale e fenomenica del reale, deve operare il passaggio dal pensare al credere, operare il passaggio dalla logica dell'evidenza, alla logica della partecipazione[2].
La logica dell'evidenza è caratterizzata dalla netta separazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. In essa la verità è in funzione di un'azione verificatrice, quella, cioè, che risulta dal rapporto tra prestazione e prodotto.
La logica della partecipazione, invece, è caratterizzata dal rapporto di comunione, in cui il conosciuto si rivela e il conoscente si apre all'accoglienza.
Il passaggio dal pensare al credere è un atto di libertà, l'atto, cioè, con cui la coscienza tenda di conoscere l'ineffabile[3].
Atto libero, non arbitrario e immotivato, perché esigito dalla piena realizzazione della verità dell'uomo[4].
Allo stesso modo è atto libero quello inverso di una coscienza che si chiude nel puro pensare, precludendosi le possibilità trascendenti dell'essere e dell'esistere umano.
E' atto di libertà, anche, quello di una coscienza bloccata o regredita al livello della semplice percezione, cioè a livello puramente istintivo, sensitivo, emozionale, cui possiamo, sia pure parzialmente o temporaneamente, relegare la coscienza.
Distinguiamo, dunque, tre livelli di coscienza, che mediamo dalla filosofia esistenziale di G. Marcel[5].
1. Il livello del sentire, in cui il conoscere è un semplice evento istintuale, sensitivo: è il sentire tipicamente animale. Non si dà, propriamente parlando, conoscenza, intelligibilità. E' un livello pre riflessivo.
2. Il livello del pensare, in cui il conoscere è un indagare verificatore dei processi immanenti ai dati e ai fenomeni dell'esistere: si tratta di indagine conoscitiva propria del sapere sperimentale delle scienze.
3. Il livello del credere, in cui il conoscere è un'esperienza partecipativa, imprescindibile dall'atto con cui il conosciuto entra in rapporto di comunione con il conoscente. Si tratta dell'esperienza propria della comunione, del condividere.
Il conosciuto non entra in relazione con il conoscente a mo’ di oggetto, ma a mo’ di soggetto[6].
Si tratta di un conoscere che ha la logica del «vieni e vedi» del vangelo, la logica del credo che, infatti, vuol dire fidarsi, atteggiamento proprio della fede. Atteggiamento che è simile all'esperienza amorosa e religiosa, in cui la fede trova espressione anche verbale: «Io credo in te», «io ti credo»; e su cui si polarizza qui la nostra riflessione[7].
L'espressione «io credo» non sta a designare il sapere eventuale e approssimativo di un certo linguaggio corrente, come per esempio «credo che pioverà», «credo che ce la farà», «credo che torni»: espressioni di un modo provvisorio di conoscere[8], ma fa riferimento a una persona.
Si tratta, innanzitutto, di un atto di fiducia, che coinvolge l'intelletto, la volontà e il sentimento.
La forma "io credo in te" è radicale e comprensiva. Si riferisce alla persona nella sua interezza... In questo caso la fede si muove non nell'ambito dell'io e dell'oggetto, bensì nello spazio dell'incontro tra l’io e il tu. Si tratta di un atto personale»[9].
L'atto dell'abbandonarsi alla fiducia, alla fedeltà, all'amore è fede fiduciale. E' atto che penetra l’altro nelle profondità del suo essere personale.
Nell'affidamento fiducioso del «credo» si esplica un conoscere per via di comunicazione che rende partecipe:
- della vita dell'altro;
- del suo pensare, sapere, comprendere e volere;
- del modo in cui egli si vede e vede il mondo infraumano e umano[10].
E' il conoscere tipico dell'amore.
[1] Cf MARCEL G., Homo viator, Parigi 1945, pp. 194‑195.
[2] Cf RATZINGER J., Introduzione al cristianesimo, Brescia 1974, p. 21.
[3] Cf PIEPER J., Sulla fede, Brescia 1963, p. 30; H. Fries, Teologia fondamentale, Brescia 1987, p. 20.
[4] Cf MARCEL G., Journal métaphysique, Parigi 1927, pp. 44‑46; FRIES H., Fede e sapere scientifico, in Sacramentum mundi. Enciclopedia teologica, Brescia 1975, vol. III, p. 764); Ivi, p. 762).
[5] Cf MARCEL G., Journal, op. cit., pp. 3‑4, Le mystère de l'Etre, vol. I. Réflexion et mystère, Parigi 1951, pp. 9;‑140. Per una sintesi cf COZZOLI M., L'uomo in cammino verso... L'attesa e la speranza in Gabriel Marcel, Roma 1979, pp. 32‑36.
[6] Già S. Tommaso aveva parlato di «cognitio per connaturalitatem»; cf S. Th., IIII, q. 5, art. 2.
[7] WELTE B. ha descritto assai bene questo affidarsi della fede che è alla base del rapporto interpersonale in Che cosa è credere, Brescia 1983, pp. 67‑102.
[8] Cf FRIES H., Teologia fondamentale, op. cit., pp. 17‑18). Cf KASPER W., Introduzione alla fede, Brescia 19795, p. 87.
[9] FRIES H., Teologia fondamentale, op. cit., p. 18; Ivi.
[10] Cf Ivi, p. 21; ID., La fede contestata, Brescia 1971, pp. 46‑48; WELTE B., Che cosa è credere, op. cit., pp. 85‑102.

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