martedì 11 marzo 2008

Quarta meditazione

2.3 La fede per cui credo: la verità della fede

Il Vaticano II sostiene che «l'atto di fede è volontario per sua stessa natura, giacché l'uomo, redento da Cristo salvatore e chiamato in Gesù a essere figlio adottivo, non può aderire a Dio che si rivela, se, attratto dal Padre, non presta a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero» (DH n. 10).
In questo modo il Vaticano II ha delineato e qualificato l'atteggiamento con cui il credente si rapporta a Dio in Cristo nella fede. Un atto della persona che si relaziona a Gesù Cristo.
Lo specifico che qualifica la persona e l'ambito dei rapporti interpersonali, è lo stesso della ragione e della libertà.

Ragione
La fede, dunque, si dà solo nella ragione e nella libertà, cioè, in modo ragionevole e libero. Ragione e libertà costituiscono il contesto in cui si rende certa la verità della fede.
La fede è anzitutto un «ragionevole ossequio» (Rm 12,1): «atto conforme alla ragione»[1]. Questo significa che deve essere un atto credibile e perciò motivato, adeguatamente fondato e giustificato. Altrimenti diventa cieco, irrazionale e perciò volontaristico, fideistico[2].
L'uomo, dunque, per credere deve essere certo, deve poter legittimare razionalmente la sua fede.

Libertà
Ma al tempo stesso la fede è un ossequio libero alla libera iniziativa di Dio, che si rivela e chiama l'uomo alla fede[3].
Libertà di Dio e libertà dell'uomo, dunque, sono in relazione interpersonale nella fede.
La libertà di Dio consiste nel non essere condizionato nella sua iniziativa: qualità fondamentale del dono della fede.
La libertà dell'uomo è una risposta responsabile.
L'una e l'altra non sono determinate e vincolate da necessità alcuna, altrimenti si cadrebbe nel razionalismo, anch'esso non degno di Dio e dell'uomo, perché li espropria della qualità costitutiva e specifica della libertà.
Visto che la fede deve avere valenza di ragionevolezza e libertà, è necessario comporre entrambe in una sintesi armonica che salvaguardi la originalità della verità e della conoscenza della fede.

Problematica
- Chi mi dice che la fede che credo è vera?
- Qual è il suo fondamento?
- Come posso io giustificarla, per darne ragione?
Il «credo» si qualifica sempre come atto di libertà.
La verità di fede non si offre all'intelligenza come un dato accessibile, perché trascendente sempre il conoscente e la sua intelligenza. Il conosciuto della fede è Dio nella realtà ineffabile del suo mistero e nella libertà del suo agire.
Di fronte a tutto ciò sta l'uomo con la sua limitatezza e incapacità di comprendere Dio.
L'uomo, in altre parole, non può conoscere Dio se non si rivela.
Per questo il conoscere della fede è strettamente collegato al libero rivelarsi e comunicarsi di Dio, alla testimonianza che Dio dà di sé mediante i segni della sua presenza e del suo agire.
La rivelazione di Dio acquista piena autorità nell'intelligenza del credente, diventa luce di verità: «Alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35,10).
San Tommaso ha definito la fede: «un abito intellettivo con il quale s'inizia in noi la vita eterna, facendo aderire l'intelletto a cose non evidenti»[4].
L'abito intellettivo della fede non è un sapere speculativo su Dio, un'adesione astratta a verità divine, ma partecipazione alla vita divina (cf Gv 3,16; 5,24), dove il non evidente si offre all'intelligenza in modo credibile e dove nessuna dimostrazione e comprensione è possibile.
Le possibilità per l'uomo di pervenire alla fede risiede nella rivelazione divina come luce, come possibilità per grazia di far accettare la testimonianza di Dio.
Il cristiano coglie la testimonianza di Dio mediante i segni rivelatori di Dio. Questi svolgono un ruolo di fondamento, sono mediazione della testimonianza divina.
Il segno culminante, definitivo e decisivo, unificante tutti gli altri segni, è Gesù Cristo, il Verbo stesso di Dio, il rivelatore e il rivelato, il testimone e il sacramento di Dio per gli uomini[5].
In rapporto a esso si comprendono e diventano realmente significativi tutti gli altri segni: quelli della sua vita, quelli che lo precedono, quelli che lo continuano.
La fede è credibile solo in Cristo!
Ne segue che credere in Dio è credere in Cristo[6].
Gesù accredita se stesso, la sua testimonianza, attraverso il suo agire «perché se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,38).

La risurrezione
Dio è divenuto salvezza dell'uomo risuscitando Cristo dai morti. La risurrezione è l'evento riassuntivo di tutta l'esistenza e l'agire di Gesù, cui anch'egli rimanda come al segno che invera definitivamente la testimonianza divina (cf Mt 12,39‑41; 16,1‑4; Lc 11,29‑32).
Nella risurrezione di Gesù, Dio si è rivelato come il Dio che elimina la morte e dona la vita.
Per Paolo, infatti, la fede è legata indissolubilmente alla risurrezione di Cristo (1Cor 15,14.17‑20).
La testimonianza di Gesù è vera perché è risorto e la sua risurrezione è l'offerta di senso più significativa per l'uomo.
La verità che fonda la fede è che con la risurrezione l'opera di Gesù è pienamente riuscita e l'uomo è redento nella speranza.
Il fondamento della fede è, dunque, nel suo oggetto, che non è dimostrabile al di fuori della fede.
L'evento inedito della risurrezione non lo si può provare alla maniera di un qualunque avvenimento umano, cioè senza la fede.
Non mancano, nei racconti biblici, rimandi a segni (per esempio, il sepolcro vuoto, il mangiare con il Risorto) e a testimonianze dirette (elenco dei primi testimoni) della risurrezione, ma «si sapeva fin dall'inizio che tali segni non sono univoci, cioè si prestano a molte interpretazioni»[7].
Essi diventano decisivi per la fede, solo nella fede[8].
Un'esperienza che convalida la fede è, dunque, possibile solo se si comincia a credere.
L'uomo che crede fa autentica esperienza dell'amore, quello redentivo con cui Cristo si dona nella fede.
Così il «so a chi credo» (2Tim 1,12) è solidamente fondato, ma in maniera non costringente. Lo è sempre e solo nella libertà.
Si tratta dell'atto della libertà più grande, cioè della libertà fondamentale.
[1] «Obsequium humanae rationi consentaneum» (Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica «Dei Filius», in D5 3009).
[2] Cf Ivi, in DS 2010. Inoltre DS 2751‑2756, 2778, 3542. «Sacra Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, Ad normam decreti, 97, in Ench. Vat. 4, 602). Commissione Teologica Internazionale, L'unité de la foi et le pluralisme théologique, 3, in Ench. Vat. 4, 1803).
[3] Cf Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica «Dei Filius», in DS 3010, 3035.
[4] S. Th., II‑II, q. 4, art. 1.
[5] Cf KASPER W., Introduzione alla fede, op. cit., p 51.
[6] FRIES H., Fede e sapere scientifico, in Sacramentum mundi. Enciclopedia teologica, op. cit., vol. III, p. 765.
[7] Ivi, p. 72.
[8] Cf Ivi, p. 71).

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