mercoledì 9 febbraio 2011

3. LA MORALE DELL'EPOCA MODERNA

1. Introduzione

La grandiosa sintesi operata da Tommaso non ebbe uno sviluppo adeguato nei secoli successivi.
Il trecento risente delle molte condanne delle quali e l’aristotelismo averroista e quello tomista era stato oggetto sia a Oxford che a Parigi. Non vanno nemmeno taciute le violente polemiche tra tomisti e scotisti.
Si comprende così la caduta della tensione creativa che aveva caratterizzato il sec. XIII e la crisi che aveva attanagliato la ragione e la filosofia, spesso logori strumenti di vuote dispute.
Il dualismo tra teologia e filosofia, che Duns Scoto aveva accentuato a vantaggio della prima, nel corso del sec. XIV si divarica ulteriormente.
Si avverte la necessità di elaborare una nuova sintesi fra tradizione, cultura e spiritualità. Si tratta dell’umanesimo, che sta a significare la collocazione dell’uomo al centro dell’universo, ribellione dell’uomo, sua affermazione e scoperta, in opposizione del teocentrismo medioevale.
In questo secolo si assiste ad una elaborazione della morale che parte da premesse opposte a quelle dell’Angelico. Questo periodo viene giudicato come un tempo di decadenza a causa dell’esito nominalista che essa ha perseguito.
Il motivo di un tale giudizio negativo sta nel fatto che il pensiero della tarda scolastica riconosce un crescente dominio alla volontà rispetto alla ragione, il che porta ad un crescente dissidio tra fede e ragione.
La preminenza accordata alla volontà ebbe contraccolpi devastanti per la scienza morale, perché la teoria sorta dal volontarismo o nominalismo ha originato l’affermarsi della concezione positivista della legge. Le legge non è più fondata sulla natura umana, ma viene dedotta dalla volontà positiva di Dio. Essa non è deducibile assolutamente in modo razionale.
E’ da questa teoria che origina la concezione obbligazionista della morale, il risolvere, cioè, tutto il discorso morale sulla cifra della legge. E’ l’inizio della cosiddetta riflessione morale moderna.
Gli studi recenti hanno messo in luce ragioni valide per riconoscere al pensiero della tarda scolastica una sua oggettiva validità.
I maestri francescani, che hanno caratterizzato l’inizio dell’era moderna, compiono un evidente sforzo di riflessione sulla libertà e sull’unità dell’anima che va al di là della molteplicità delle varie facoltà umane.
Tale riflessione sulla libertà costituisce la caratteristica decisiva per comprendere la novità cristiana rispetto alla tradizione filosofica del tempo. E’ grazie al cristianesimo che si afferma quell’idea di libertà che sarà destinata a divenire centrale nella cultura moderna.
Il problema fondamentale della riflessione morale postockhamista non è più il fine ultimo, ma la risposta alla domanda: questo atto è lecito o proibito?
Una simile svolta subita dalla problematica morale è segno e causa di una concezione della coscienza frazionata in tanti atti, i quali vengono tenuti assieme solamente da una neutrale identità del soggetto, Bontà o cattiveria sono qualità dell’agire di una persona e non del suo essere.
L’ockhamismo a questo punto si presenta come la via moderna della riflessione morale perché critica della tradizione scolastica. Nonostante vari divieti e condanne cominciò ad emergere intorno al 1340 e conquistò la volontà dei più celebri studiosi sia di Parigi che di Oxford.
Un evento di grande importanza per la teologia morale fu il Concilio Lateranense IV (1215) tenuto sotto Papa Innocenzo III (papa dal 1198 al 1216). Essi impresse uno slancio vigoroso alla teologia morale pratica con il decreto Omnis utriusque sexus che imponeva a tutti i fedeli che avessero raggiunto l’uso di ragione l’obbligo della confessione annuale delle colpe gravi da farsi ad un sacerdote.
Dopo il Concilio, per formare i sacerdoti all’ascolto delle confessioni si iniziarono a comporre lo cosiddette Summe per i confessori. Così accanto a Summe per gli alunni delle università si allineano Summe per i meno provveduti e meno fortunati.
Le Summe per confessori sono trattati giuridici di morale, che permettevano al confessore di giudicare esattamente gli atti di cui ricevevano la confessione e proponevano penitenze adatte.
La Summa più famosa di questo periodo è senz’altro quella scritta da S. Antonino da Firenze (1389-1459) che porta il titolo di Summa Sacrae Theologiae. Essa è di grande interesse dal punto di vista storico perché per la prima volta siamo di fronte ad una trattazione di argomenti morali abbastanza completa, a sé stante e separatamente dalla teologia dogmatica. Essa fu denominata per la prima volta Summa moralis.
Le somme per confessori diventano sempre più opere di riferimento opere di insegnamento. Esse diventano sempre correlate da un gran numero di autorità di ragione e di leggi positive ed ecclesiastiche. Vi domina la casistica per capir sempre meglio se un atto è legale o contro la legge.
La morale delle Somme è definita morale minimalista o morale del lecito e dell’illecito. Le Somme hanno senz’altro favorito l’affermarsi della casistica, ma hanno fatto emerge la personalità del singolo cristiano, la quale si manifesta nella responsabilità della sua condotta.

Tre eventi caratterizzano il sec. XVI: l’umanesimo, la colonizzazione dell’America, la riforma protestante e il Concilio di Trento.
L’umanesimo propone il ritorno all’antichità pagana, ma anche della Bibbia dei Padri. L’interesse si concentra tutta sull’uomo sulla vita civile. Da una concezione teocentrica e trascendente si passò gradualmente ad una concezione antropocentrica e immanentista.
La scoperta e conquista dell’America creò nuovi e importanti problemi politici e religiosi e una nuova immagine dell’uomo. L’estensione del commercio marittimo a dimensione mondiale, l’afflusso di metalli preziosi, il moltiplicarsi delle banche, l’apparizione del primo capitalismo, posero nuovi e numerosi problemi morali.
Per completare il quadro è necessario parlare di Lutero (1483-1546) e della riforma protestante. Movimento spirituale che, pur fondandosi su una visione teologica, predica una morale delle realtà terrene. La riforma fu senz’altro una reazione contro l’ottimismo con cui il rinascimento esalta la natura e le forze naturali dell’uomo, oltre che una forte reazione contro abusi introdotti nella chiesa, non ultimo il problema delle indulgenze.
La reazione della chiesa alla riforma protestante si concretizzò con la celebrazione del Concilio di Trento (1545-1563). L’importanza del Concilio per la storia della morale è enorme. Infatti nel 1551 pubblicò un decreto dottrinale e alcuni canoni sul sacramento della penitenza che condannavano la dottrina protestante. Con il suddetto decreto il Concilio esigeva l’integrità, almeno formale, della confessione dei peccati mortali. Il Can. 7 recitava: «per diritto divino è necessario confessare singolarmente tutti i peccati mortali… anche quelli nascosti e che sono contro i due ultimi comandamenti del decalogo, con le circostanze che cambiano la specie».

2. La rinascita tomista

All'inizio del secolo l'università di Parigi è il centro principale dell'attività teologica e morale.
Giovanni Mair (1469-1550) e i suoi discepoli danno «al cattolicesimo nominalista la sua ultima espressione e la sua forma più alta».
Partendo dalla S. Scrittura e dai padri della chiesa i teologi parigini si interessano dei problemi concreti della famiglia, dello stato, dell'economia. Giovanni Mair è il primo che usa l'espressione teologia positiva in contrapposizione a teologia scolastica, per sottolineare il carattere morale e pratico del suo insegnamento.
In questo contesto avviene il passaggio dalle Sentenze di Pietro Lombardo alla Summa Theologiae di S. Tommaso, soprattutto alla II-II, che tratta esclusivamente di morale.
La rinascita tomista del sec. XVI è soprattutto una rinascita della morale, spesso però separata dai suoi principi fondamentali.
La rinascita tomista la si incontra, quasi simultaneamente a Parigi, a Colonia con Corrado Koellin, domenicano (m. 1536), il cui Commentario della I-II spesso si limita ad una analisi sillogistica, in Italia con Tommaso de Vio, domenicano, detto Gaetano (m. 1534), che scrive il primo Commentario completo della Summa Theologiae presentando una magnifica metafisica del dogma e della morale.
Ma è soprattutto in Spagna, nella scuola domenicana di Salamanca, che il 'modus parisiensis' porta i suoi frutti. Francesco de Vitoria, domenicano, (m. 1546), formatosi a Parigi, nelle sue Prelectiones studia la teoria del potere civile ed ecclesiastico, i diritti dell'uomo, cristiano o meno, i problemi coloniali, i rapporti della chiesa e dello stato.
Domenico Soto, domenicano, (m. 1560), ugualmente formato a Parigi, espone i problemi fondamentali della morale nel De natura et gratia, mentre i problemi economici li esamina a fondo nel De iustitia et iure.
I commentari della Summa Theologiae si frammentano in grossi trattati indipendenti l'uno dall'altro. Melchiorre Cano, domenicano (m. 1560), presenta nel De locis theologicis[1] un metodo che in parte si applicherà anche alla morale. Facendo ricorso soprattutto alla Scrittura, alla tradizione e al diritto. Bartolomeo di Medina, domenicano (m. 1580), imposterà maldestramente il problema del probabilismo, che per più di tre secoli accaparrerà gli sforzi dei moralisti.
Domenico Banez, domenicano (m. 1604), restringe la morale allo studio dei grandi principi, lasciando l'analisi dei casi reali e precisi ai teologi di altri Ordini, soprattutto gesuiti, che continuano col metodo inaugurato a Salamanca.
Gabriele Vasquez, gesuita (m. 1604), mette l'accento sulla concordanza della legge morale con la ragione umana, mentre Francesco Suarez, gesuita (m. 1617), insiste sulla necessità del comandamento per dare forza di legge al comando della natura. Luigi de Molina, gesuita (m. 1600), tenendo conto dell'economia portoghese e spagnola, scrive il suo famoso De iustitia et iure, mentre Lessius, gesuita (m. 1625), nel suo De iustitia riflette l'economia dei Paesi Bassi spagnoli.
Tommaso Sanchez, gesuita (m. 1610), compone il De sancto matrimonii sacramento e Enrico Henrique, gesuita (m. 1608), il De ordine. Ritroveremo tutti gli elementi di queste opere, ma frammentari, nelle Institutiones morales.

3. La nascita dei sistemi morali

Nel corso del XVI ebbe inizio nel campo della teologia morale una forte crisi dovuta dall’importanza assunta dal rinnovato trattato della coscienza.
E’ a partire dalla coscienza che si può stabilire se l’atto di una persona e buona o cattiva, sia peccato oppure no e sia sa confessare.
La società del sec. XVI iniziò a porsi molteplici problemi: politici, economici e sessuali, per i quali non potevano bastare le vecchie soluzioni adottate.
La domanda che ci si poneva era: come può un cristiano essere sicuro di aver peccato oppure no?
Le varie scuole teologiche rinviano all’insegnamento dei vari dottori, senza formulare un principio generale che permettesse di agire onestamente senza dover ricorrere a elucubrazioni forvianti.
Fu Bartolomeo de Medina nel 1577 a elaborare il seguente principio segnò l’inizio del cosiddetto probabilismo:
«Quando ci sono due opinioni, delle quali una è più probabile e l’altra semplicemente probabile, è permesso seguire quest’ultima». Egli definiva così il concetto di probabile: «E’ un’opinione basata su buoni argomenti o proposta da autori seri, che si può seguire senza rischio di peccato».
Criterio decisivo non è la verità, bensì la sicurezza morale della coscienza, la quale è data dall’opinione probabile, tuttavia non si è tenuti a cercare la sicurezza maggiore.
Il principio che fu definito probabilismo ebbe immediato successo, perché permetteva di uscire dal dubbio e di agire con coscienza retta.
[1] Secondo il Cano i luoghi teologici sono dieci, sette propri: S. Scrittura, Tradizione, la chiesa cattolica, i concili, la chiesa romana, i santi Padri, i teologici scolastici, e tre impropri: le scienze umane, la filosofia, la storia.

4. Institutiones morales

Nel 1551 il concilio di Trento aveva pubblicato un decreto dottrinale e alcuni canoni sul sacramento della penitenza che condannavano la dottrina protestante. Il concilio esigeva l'integrità, almeno formale, della confessione dei peccati mortali: il canone 7, in modo lapidario, precisava: «Per diritto divino è necessario confessare singolarmente tutti i peccati mortali... anche quelli nascosti é che sono contro i due ultimi comandamenti del decalogo, con le circostanze che cambiano la specie» (DS 1707).
Le prescrizioni richiedevano, non solo da parte dei penitenti, ma anche da parte del confessore, una buona conoscenza della morale casistica. Si fece dunque sentire la necessità di un insegnamento morale adattato ai bisogni della pastorale sacramentaria preconizzata dal concilio. Al più lungo ciclo di studi delle università bisognava affiancare un ciclo corto, il cui nucleo essenziale sarebbe stato l'insegnamento dei «casi di coscienza».
S. Ignazio di Loyola e il cardinale R. Pole furono, in materia, dei precursori. Nel 1563 il concilio di Trento decretò la fondazione dei seminari per la formazione del clero. Nel programma proposto le questioni pratiche erano al primo posto: «Si insegnerà, decreta il concilio, ... tutto ciò che sembrerà. opportuno per amministrare i sacramenti, e soprattutto per ascoltare le confessioni».
D'ora innanzi lo studio della teologia morale, o meglio dei casi di coscienza, sarà esclusivamente, orientato a preparare i preti ad esercitare con frutto il ministero del sacramento della penitenza. Nello stesso tempo anche al di fuori dei seminari si moltiplicheranno i corsi di «casi di coscienza». Nei seminari sarà il secondo biennio quello consacrato allo studio di essi.
Ma quali manuali utilizzare in questi corsi?
Le Somme per i confessori, specialmente le Somme alfabetiche, presentavano numerosi inconvenienti soprattutto di carattere pedagogico; si sentiva il bisogno di un piano organico di teologia morale, ma anche di un libro di testo. Nel corso della seconda metà del sec. XVI furono stampati saggi parziali composti da diversi autori, soprattutto gesuiti.
Solo nel 1600 Giovanni Azor, gesuita, (m. 1603) pubblicò il primo volume delle sue Institutionum moralium (Liber) in quibus universae quaestiones ad conscientiam recte aut prave factorum pertinentes breviter tractantur.
Qual è il piano adottato dalle Institutiones morales, che ben presto si intitoleranno semplicemente Theologia moralis?
La I-II della Summa theololigiae di S. Tommaso fornirà il quadro della prima parte. Bisognerà tuttavia sopprimere due trattati detti speculativi, quello del «fine ultimo», che in S. Tommaso comandava tutto lo sviluppo della morale ma che non poteva servire per i penitenti, e quello de gratia, di cui non si vedeva l'utilità pratica e che si lasciava alle discussioni dei teologi.
Si metteva come primo il trattato sulla coscienza. Per 'casi di cososcienza' si intendevano non solo i diversi fatti sui quali il prete, come giudice, doveva formulare un giudizio, ma tutta la condotta morale, che è determinata dal giudizio della coscienza.
Nei capitoli successivi si raggrupperanno gli elementi tecnici utili per conoscere i casi di coscienza, lasciando da parte qualsiasi questione speculativa sugli atti umani, le passioni, gli habitus, le virtù; i peccati, la legge.
Se il quadro era quello della Summa theologiae di S. Tommaso, il contenuto e lo spirito ne differivano profondamente.
La morale speciale si articola attorno al decalogo, che nelle Somme per i confessori serviva a preparare l'interrogatorio dei penitenti; le virtù teologali (fede, speranza, carità) sono considerate come un preambolo al decalogo. Avendo S. Tommaso interrotto la Summa Theologiae al trattato sulla penitenza, ci si riferirà al IV libro delle Sentenze di Pier Lombardo per la parte destinata ai sacramenti, facendo però astrazione da qualsiasi elemento dogmatico.
Completano, infine le Institutiones morales i trattati sulle censure, di cui oggi non riusciamo più a cogliere l'importanza che avevano nella vita dei cristiani di quel tempo, e quello sugli stati di vita, estratto dall'ultima parte della II‑II.
Era nato un nuovo genere letterario di teologia morale, la cui produzione continuerà praticamente fino ai nostri giorni.
Caratteristica principale dell’Institutiones morales è il primato del diritto. Da una parte la presentazione casistica della morale a partire dalle categorie del lecito e dell'illecito, del comandamento e del consiglio apriva facilmente l'accesso al diritto; dall'altra numerose leggi canoniche obbligavano in coscienza e bisognava tenerne conto nella pastorale del confessionale. Inoltre, mancando nei collegi fondati dai gesuiti o in altri l'insegnamento del diritto canonico, toccava alla morale colmare la lacuna.
Il trattato più importante della morale fondamentale è quello della coscienza. A partire da questo trattato si può stabilire se nell'azione c'è o non c'è una colpa che bisognerebbe accusare in confessione.
Qui si introduce il probabilismo e i diversi sistemi di teologia morale.
Per sistema morale si intende le varie dottrine morali delle varie scuole teologiche sulla formazione dei giudizi di coscienza, quando chi deve o vuole agire si trova di fronte a leggi che appaiono oggettivamente incerte.
I sistemi morali più noti sono sette: tuziorismo assoluto, tuziorismo mitigato, probabiliorismo, compensazionismo, equiprobabilismo, probabilismo, lassismo.
I primi quattro sistemi hanno come principio fondamentale: «nel dubbio si deve stare per la parte più sicura». Gli ultimi tre sistemi sono più sensibili alla soggettività e si distinguono per le opposte probabilità.
L’equiprobabilismo è una variante del probabilismo. Esso assume il principio che la legge dubbia non obbliga, per sostenere che tale dubbio cessa solo quando la legge ha in suo favore un’opinione certamente più probabile che l’opposta in favore della libertà.
Dei sette sistemi enucleati, i due estremi, il lassismo e il rigorismo furono condannati da Alessandro VIII (1689-1691), rimasero vivi solo il probabilismo e il probabiliorismo e la variante di questo l’equiprobabilismo.

5. Il secolo XVIII

Il sec. XVIII non conobbe molti grandi teologi moralisti. In Italia emerge soprattutto il domenicano Domenico Concina (m. 1756) che si segnala per il suo antiprobabilismo nella monumentale Storia del probabilismo (1748). La sua opera più importante è la Theologia christiana dogmatico-moralis in 10 volumi, cui ne vanno aggiunti altri due di Apparatus (1749‑1751).
Il metodo proposto dal Concina è molto interessante e si basa sullo studio della Scrittura e dei padri. La morale è l'imitazione di Cristo proposta dal Vangelo.
Il Concina, però, non ha applicato fedelmente il suo metodo. La sua teologia morale è «una specie di contro casistica, il cui dettaglio non è inferiore in niente ai modelli del genere».
Per quanto riguarda il probabiliorismo, Concina propone di seguire sempre l'opinione che è la più vicina alla verità.

6. Sant’Alfonso M. De’ Liguori

Nacque a Napoli nel 1696 e morì a Pagani nel 1787. Si laureò nel 1713 in utroque iure all’università di Napoli. Esercitò l’attività forense fino al 1823, allorché, sconfitto in un clamoroso processo, vestì l’abito ecclesiastico, avviandosi al sacerdozio, che ricevette nel 1726.
Fondò la Congregazione dei Redentoristi. Nel 1762 fu eletto vescovo di Sant’Agata dei Goti. Nel 1775 diede le dimissioni e si ritirò a Pagani tra i suoi figli. E’ dottore della chiesa dal 1871.

La sua produzione letteraria ha avuto una fortuna immensa. Le sue opere principali sono: Pratica di amare Gesù (1768), Teologia morale (1748), Pratica dei confessori (1757), Le glorie di Maria e molto altro.

Egli pone come principio guida della vita cristiana l’universale chiamata alla santità, ognuno nel suo stato. Colui che non nel cuore la voglia di farsi santo non è un buon cristiano.
I mezzi pratici per raggiungere la santità sono: la mortificazione, la pratica sacramentale e l’orazione mentale. Vero dottore pratico vuole soprattutto scuotere e illuminare le coscienze per spingerle all’azione. Propone una religione viva, umana, austera sì, ma senza esagerazioni.
Il sistema elaborato da Sant’Alfonso è l’equiprobabilismo, soluzione saggia, in equilibrio tra il lassismo e il rigorismo. Egli ammette che una legge dubbia non obbliga e si può seguire un’opinione probabile, ma aggiunge che una legge non è veramente dubbia se non quando le opinioni pro e contro abbiano una probabilità sensibilmente uguale.
Il sistema alfonsiano si articola in tre principi:
- Il principio della verità,
- I doveri della coscienza che non può affidarsi ciecamente alle opinioni del moralisti,
- I diritti della libertà umana che può essere vincolata solo da una legge certa.
Sant’Alfonso si sforza di salvare le esigenze della verità, rispettando nel contempo i diritti della coscienza e i principi della libertà umana, tenendo il giusto mezzo, facendosi guidare non da principi astratti, ma da esigenze che nascevano dall’azione pastorale.
L’agire morale si fonda primariamente sulla verità. Il soggetto agente è sempre obbligato a ricercarla. Se non è possibile arrivare ad una certezza assoluta, bisogna almeno cercare di avvicinarsi alla verità il più possibile.
Il soggetto agente non deve agire secondo norme esterne e automatiche, ma deve interiorizzare e personalizzare la legge. La ragione e la coscienza, se agiscono sotto l’influsso della prudenza, diventano norme prossime all’agire.
La libertà della persona è vincolata solo nel caso che una legge particolare, dettata o dalla ragione o dalla rivelazione divina, gli manifesti la volontà di Dio con una certezza o in un modo almeno più probabile (probabilior). Solo allora il soggetto agente deve in coscienza agire sicuramente secondo questa legge.
Tuttavia nell’insieme della morale di Alfonso lo studio delle circostanze concrete prevale sempre sull’applicazione meccanica di un sistema, per quanto giusto questo possa essere.

Gli apporti originali di Alfonso alla Teologia morale sono stati:
- Trasmette il frutto della sua opera missionaria, che consiste nel ribadire, contro il giansenismo, che Cristo è il redentore la cui efficacia redentrice e infinita;
- Esaminando alla luce della ragione e sotto l’illuminazione della prudenza varie opinioni, ha costruito un sistema di principi che è espressione sia delle esigenze del Vangelo, sia quelle della libertà della coscienza umana;
- Per i casi di coscienza espose il suo personale parere, impegnandosi in una ricerca interiore e oggettiva della verità e mettendo a profitto la sua eccezionale acutezza, sapienza e prudenza;
- Ad ogni problema morale seppe dare una risposta sapiente e appropriata, che soprattutto non scoraggiasse i deboli, ma neppure scandalizzasse i ferventi.

L’intento di Alfonso fu quello di formare bravi pastori d’anime, confessori e direttori spirituali, più che elaborare un trattato completo di teologia morale, che tuttavia definiva come la «scienza delle scienze» e «arte delle arti».
Egli ha sottolineato e chiarito aspetti della Teologia morale che non potranno essere mai disattesi. I principali sono:
- Una sapiente preoccupazione pastorale per applicare i principi generali ai casi concreti: la scienza morale benché situata su un piano speculativo e universale, ha lo scopo di regolare azioni singole e concrete;
- E’ necessario un grande equilibrio nel delimitare il lecito dall’illecito: compito al quale la Teologia morale non deve mai rinunciare, perché l’uomo che essa intende condurre alla perfezione e alla santità è pur sempre un peccatore che ha bisogni di essere delimitato.

La grandezza di Alfonso non va ricercata nella forma e organicità del disegno generale, che anzi mutua dalle Institutiones morales e cioè:
- La regola degli atti umani,
- I precetti delle virtù teologali,
- I precetti del decalogo e della Chiesa,
- I precetti particolari,
- Il modo di conoscere e discernere i peccati,
- I sacramenti,
- Le censure ecclesiastiche e le irregolarità.
La sua grandezza va ricercata nella profondità e limpidezza del contenuto: in lui si avverte chiaramente l’ispirazione della più pura morale cristiana, cioè una morale intesa come pratica della carità.
La scienza morale deve essere la verità che conduce la persona umana al bene e alla salvezza alla quale è chiamata.

7. La teologia morale dal XIX sec. ad oggi

Il fatto più significativo del sec. XIX fu la diffusione della morale di S. Alfonso de' Liguori. La sua beatificazione (1816) e la successiva canonizzazione (1839) ne imposero la fama e l'autorità.
La risposta della sacra Penitenzieria che permetteva ai confessori «di seguire con sicurezza le opinioni professate dal beato Alfonso de Liguori», elimineranno ogni resistenza.
Infine la sua proclamazione a dottore della chiesa (1871) garantirà la sua superiorità come moralista.
Tuttavia verso il 1870 e fino alla fine del secolo violente controversie, sempre più sottili, si svilupperanno attorno alla portata esatta del suo pensiero in materia di probabilismo. Ci si può domandare se queste controversie abbiano apportato alcunché di utile alla teologia morale.

I manuali di teologia morale, scritti in latino, utilizzati nei seminari di tutto il mondo, riprendono con maggior logica e gli adattamenti canonici la dottrina delle Institutiones morales secondo l'ordine del decalogo. Gli autori si ispirano in primo luogo al sistema alfonsiano o al probabilismo, ma, di fatto, queste opzioni di principio hanno poche conseguenze pratiche.
Infine bisogna sottolineare che i manuali di teologia morale non comprendevano nei loro piani la dottrina sociale della chiesa, che si sviluppa in seguito alla pubblicazione (1891) dell'enciclica Rerum novarum di Leone XIII.

8. La scuola di Tubinga

Durante la seconda metà del sec. XVIII, malgrado il razionalismo e l'idealismo, si nota in Germania un certo cambiamento nel campo della teologia morale. Furono preparati nuovi piani di studio e ci si sforzò di impartire un insegnamento positivo sulle obbligazioni e sulle virtù. Nel fare ciò ci si basò sulla Scrittura, sulle scienze umane e sulla filosofia. In particolare la filosofia di Kant aiutò a riprendere consapevolezza dell'importanza dell'intenzione in morale.
Ma è soprattutto nella prima metà del sec. XIX che in Germania si svilupperà la teologia morale. L'autore più importante è J.M. Sailer (m. 1832). Nel suo Manuale di morale cristiana egli intende offrire un'esposizione generale della vita cristiana destinata non solo ai preti ma anche ai fedeli. Sailer tenta di riunire nella morale il dogma e l'ascesi. L'originalità di questo autore non consiste tanto nell'essersi egli allontanato da una morale statica e casistica, quanto piuttosto nell'aver adottato una concezione dinamica della morale il cui centro è la carità. Quella di Sailer è una morale della conversione; l'azione dell'uomo è una risposta alla chiamata di Dio e alla sua grazia. In questo cammino sono integrati organicamente i trattati sui comandamenti, sui doveri, sui peccati, sulle virtù, sui sacramenti. A questa morale però mancava l'aspetto pratico. I problemi della vita non possono essere risolti con principi generali, che spesso sfociano nel vago.
La scuola di Tubinga fu il fermento più efficace del rinnovamento della teologia in Germania. Ci si interesserà soprattutto ai lavori storici e dogmatici di J.A. Mohler (m. 1838).
Non va però dimenticato che questa scuola si sforzo anche di elaborare una potente sintesi della vita cristiana che prendeva in considerazione l'uomo tutto intero.
La Morale cristiana di J.B. Hirscher (m. 1865) ha come idea centrale lo sviluppo del Regno di Dio nella storia e nell'uomo non solo con la fede ma anche col comportamento. Tuttavia Hirscher non forni regole concrete che permettessero di tradurre in pratica la sua grandiosa sintesi. D'altra parte la sua reazione contro la scolastica è spesso ingiusta.
I teologi moralisti della scuola di Tubinga organizzano la loro morale attorno a grandi principi. Cosi Jocham Magnus (m. 1893) vede nella realtà del Corpo mistico di Cristo la norma efficace della vita cristiana; Martin Deutinger svilupperà un personalismo dell'amore secondo il cristianesimo; Karl Weber (m. 1888) proporrà una teologia morale espressamente cristocentrica. Fr. X. Linsenman (m. 1898) fu il continuatore più ragguardevole di Sailer e Hirscher. La sua teologia morale è di ispirazione paolina e mostra chiaramente che se la legge determina il campo delle obbligazioni, l'essenziale della vita morale consiste nella libera risposta alla chiamata di Dio. In tal modo a un metodo speculativo Linsenman associava un aspetto pratico, che permetteva l'applicazione dei grandi principi ai problemi concreti.
In sintesi la scuola di Tubinga faceva appello alla Scrittura, organizzava la sua morale attorno a un principio dogmatico centrale, ma spesso non riusciva a risolvere i problemi concreti.
In Italia l'apporto maggiore per un rinnovamento della morale fu dato da Antonio Rosmini (m. 1855), che però non ebbe grande influenza nel campo della teologia morale.

9. Il rinnovamento tomista

Nel sec. XIX infine si fa luce, specialmente in Germania, un riavvicinamento della morale al pensiero tomista. Tale movimento fu favorito soprattutto dalla condanna di Gunther (DS 1828‑1831). Tra gli autori che unirono il metodo psicologico della scuola di Tubinga, al concetto tomista di virtù vanno ricordati F. Probst (m. 1899) e il già citato Linsenman. Tra quelli che si sforzarono di superare la casistica con una ricerca teologico dogmatica sulla vita spirituale citiamo F. Friedhoff (m. 1878) e J. Schwane (m. 1892).

10. Il secolo XX: dal 1900 al 1930

In Germania, durante il primo ventennio di questo secolo, a proposito della casistica sorgono violente polemiche tra i filosofi, i teologi liberali protestanti e i teologi cattolici. Il cattolico J. Mausbach tenta una conciliazione tra le opposte tendenze: determinazione dei principi filosofici e antropologici e attenzione alle situazioni particolari. Si segnalano soprattutto due manuali: Joseph Mausbach (m. 1931) nella sua opera La morale cattolica si attiene al piano del decalogo, ma per la morale fondamentale mette in luce il tema della gloria di Dio, completato dal punto di vista antropologico con quello della perfezione dell'essere; Otto Schilling nel suo Morale di teologia morale prolunga lo sforzo della scuola di Tubinga. Buon conoscitore di S. Tommaso, come principio formale della morale Schilling assume la carità, conservando la divisione fra i doveri verso Dio, verso il prossimo e verso se stessi. Egli inoltre approfondisce gli aspetti sociali della morale cristiana.
I manuali di teologia morale di tipo alfonsiano conoscono numerose riedizioni, integrate semplicemente con gli interventi del Magistero e con le decisioni del Diritto canonico promulgato nel 1917. Tuttavia un certo numero di manuali riprende lo schema delle virtù sostituendolo a quello dei comandamenti. Si nota un certo sforzo per una presentazione più personalistica della morale, ma domina ancora la casistica. Tra questi manuali segnaliamo A.D. Tanquerey, A. Piscetta, O. Prummer, A. Vermeersch e R. Merkelbach.
Nuovi elementi per quanto riguarda la teologia morale fondamentale affiorano in numerose ricerche di filosofia morale; mettono in luce l'aspetto più positivo della vita cristiana le riflessioni condotte nel campo della spiritualità, che si afferma come disciplina universitaria, Numerosi studi su punti particolari di teologia morale compaiono in riviste. Si moltiplicano le ricerche di storia della morale, specialmente attorno alla teologia morale di S. Tommaso d'Aquino (E. Gilson, O. Lottin, Ph. Delhaye).

11. Dal 1930 al 1960

In questi anni la teologia morale subisce l'influenza dei movimenti di pensiero che provengono da altre discipline. Innanzi tutto va menzionato il movimento liturgico, che insiste affinché la celebrazione liturgica esprima la sua influenza anche sull'agire cristiano. Il movimento biblico poi si associa alla liturgia nel mettere in evidenza il valore vitale della Bibbia, che non può essere semplicemente l'oggetto di studi specialistici, ma deve condurre a una vita cristiana più piena. Infine la cosiddetta «teologia kerigmatica» si orienta non verso questioni dogmatiche astratte ma verso un impegno nella vita cristiana concreta.
Dal punto di vista dei libri di morale, parecchi teologi moralisti nella scia della scuola di Tubinga cercano di strutturare una teologia morale positiva della vita cristiana (e non una morale del confessionale) per vedere come debba agire il cristiano per essere fedele alla grazia e all'impegno del suo battesimo. Specialmente in Germania questo è il tempo delle morali cristocentriche. L'esegeta Fritz Tillmann elabora una teologia morale che è prima di tutto un'imitazione di Cristo
Tillmann organizzò la sua morale secondo il piano tripartito ereditato da Tubinga ‑ Dio, se stesso, gli altri ‑, ma incontrò grosse difficoltà nel passaggio dalla dottrina dell'imitazione di Gesù all'applicazione ai dettagli concreti della vita. Altri autori propongono come temi centrali della morale il corpo mistico di Cristo (E. Mersch, La morale del corpo mrstico, 1933), o la venuta del regno di Dio (J. Stelzenberger), o la carità (G. Gilleman, Le primat de la Charité en Théologie morale, 1952). Il manuale di J. Mausbach, Teologia morale cattolica, è poi stato interamente rivisto da G. Ermecke.
Un altro centro di interesse degli studi di teologia morale è riscontrabile nel volume di G. Thils, La teologia delle realtà terrestri (1949). L'importanza allora data all'Azione cattolica, che vuole essere presente in tutti gli ambienti, così come il fenomeno della laicizzazione inducono a cercare il fondamento dell'impegno del cristiano nel mondo, nella vita politica, sociale, economica, familiare.
Un movimento filosofico ispirato dal danese Soren Kierkegaard (m. 1855), insegnava che l'uomo, al di là di ogni legislazione generale, deve rispondere all'appello concreto di Dio in un dato momento: il kairós, il momento salvifico, determina il nostro attuale modo di agire. Un (certo) esistenzialismo ateo si manifesta anche in J.‑P. Sartre (m. 1980), che si ispira ad Heidegger, Jaspers, Husserl. La guerra del 1939‑1945 ha potuto influire sulla voga dell'esistenzialismo, avendo creato situazioni assolutamente imprevedibili nelle quali l'uomo doveva prendere le proprie decisioni a partire dalla situazione. Secondo l'esistenzialismo sartriano non c'è né natura umana, né norma concreta assoluta: esiste solo una natura umana esistenziale, relativa al tempo storico. L'uomo, condannato alla libertà, è colui che va facendo se stesso. Con la libertà della propria azione egli crea di volta in volta i valori. Il Magistero della chiesa con Pio XII e Giovanni XXIII condannò più volte l'esistenzialismo ateo (DS 3918) dal punto di vista morale, in quanto sostiene che le leggi naturali non sarebbero l'espressione di una natura umana e dunque non sarebbero generali, universali, immutabili ma relative alle situazioni. A. De Waehlens e G. Marcel hanno tentato di costruire un esistenzialismo cristiano. D'altra parte certe istanze positive dell'esistenzialismo hanno trovato una risposta nella morale cattolica. Teologi moralisti come J. Fuchs hanno visto che la situazione è un elemento essenziale della realtà, e il punto in cui si inseriscono gli elementi generali della legge; la considerazione della situazione deve intervenire a titolo intrinseco nel giudizio morale.
Il manuale di B. Haring, La legge di Cristo (prima ed. tedesca 1954) può essere considerato come una sintesi dei principi che si andavano esprimendo in numerose pubblicazioni: imitazione del Cristo, regno di Dio, primato della carità. La morale è innanzi tutto risposta dell'uomo alla chiamata di Dio. Questo saggio di morale positiva incorpora numerosi elementi biblici e ricerche filosofiche, come la morale dei valori o il personalismo, ma non abbandona il piano generale delle Institutiones morales, e talvolta il suo sviluppo è più eclettico che sintetico. Il grande merito di B. Haring è di avere divulgato a livello di manuali i principali risultati delle ricerche della teologia morale maturate soprattutto in Germania dal 1920 al 1950.

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