mercoledì 9 febbraio 2011

2.1. MORALE MEDIOEVALE parte prima

1. Quadro generale

Consideriamo periodo medioevale quel lungo periodo che va dalla fine della patrologia, che possiamo far coincidere con la morte di San Massimo il Confessore avvenuta nel 662, all’inizio del rinascimento sec. XVI.
Geograficamente si svolge soprattutto in Europa. Culturalmente ci si riferisce a quella cristianità che nasce con l’ingresso nella fede cristiana dei popoli cosiddetti barbari, che hanno preso il potere sull’impero romano.
Ci si riferisce, inoltre, allo sviluppo della teologia morale nella cristianità occidentale romanica e gotica. In ogni modo, anche non se ne faranno cenni espliciti, non si può non tenere conto dell’esistenza di un altro universo cristiano, che si forma attorno all’ortodossia orientale e all’impero d’oriente.
Inoltre la cristianità occidentale non si potrà comprendere senza il continuo riferimento all’Islam come nuova forma religiosa di intendere e vivere l’esistenza e come ambito culturale e filosofico in cui si trasmette e si rielabora il pensiero filosofico e culturale dell’antichità greco-romana.
Nella storiografia si assiste a una rivalutazione del medioevo. Non è più considerato il "periodo buio", l’età "di mezzo" tra l’ideale dell’antichità e il rinascimento dell’età moderna. L’epoca che chiamiamo "medioevale" ha i suoi aspetti oscuri, ma presenta anche elementi di autentico "illuminismo" umano e religioso.
La teologia morale ha conosciuto uno sviluppo decisivo durante il medioevo dell’occidente cristiano. Questa è l’epoca della costituzione del sapere teologico. «Questo è il periodo più ricco della teologia in generale e anche della teologia morale» (Valsecchi).
In questo periodo la morale è una disciplina all’interno della riflessione teologica. Non esiste ancora una riflessione indipendente. Tuttavia raggiunge all’interno della teologia il suo statuto epistemologico. Ha inizio in questo periodo con l’adozione di Aristotele come autore di ispirazione, da parte della filosofia la nuova disciplina filosofica denominata etica. Questo evento, anche se in qualcuno come in Bonaventura ha significato un freno, a lungo andare ha aiutato lo sviluppo della specificità e del contenuto della riflessione morale cristiana.
Nello sviluppo del pensiero teologico-morale del medioevo possiamo distinguere due aspetti caratterizzanti: un aspetto speculativo e uno pratico. La morale speculativa è collegata all’insieme della riflessione teologica. La morale pratica, invece, è vincolata al sacramento della penitenza e assume l’aspetto di due grandi generi letterari: i Libri penitenziali e le Somme dei confessori.
Come è logico i due aspetti non sono separati ma in reciproca dialettica, ma per motivi didattici ne trattiamo in due paragrafi separati.

2. Morale speculativa

Lo sviluppo della riflessione morale va configurata in quattro momenti che possono essere simboleggiati dalle quattro stagioni:
- Inverno: il passaggio dalla patristica alla cristianità medioevale, da San Gregorio Magno (m. 604) a Sant’Anselmo d’Aosta.
- Primavera: il risvegliarsi teologico nel sec. XII.
- Estate: la maturità del sec. XIII.
- Autunno: le nuove tendenze dei sec. XIV e XV.

3. Alto medioevo

Questo periodo va, come abbiamo detto dalla fine della patristica fino a Sant’Anselmo, dal sec. VII al sec. XI. Epoca che gli storici della morale definiscono "inverno" in quanto a vita cristiana, perché si sgretola la cultura romana, si fa strada un altro mondo quello dei popoli cosiddetti barbari, si produce una nuova inculturazione della fede con la nuova cultura e nasce il modo medioevale di intendere e di vivere il cristianesimo.
Gli autori che in successione vengono sinteticamente segnalati sono quelli che mi sembrano i più importanti per la riflessione morale.

4. Nuove tendenze

Questa è l’epoca della conversione dei popoli barbari al cristianesimo. In essa hanno giocato un ruolo importante i monaci irlandesi e bretoni.
All’inizio di questo periodo, circa il sec. VI si è diffusa, sempre per merito dei monaci, la penitenza privata o confessione auricolare. Questa consisteva:
- nella confessione dei peccati fatta in privato ad un prete,
- nell’imposizione di una penitenza determinata,
- nell’assoluzione finale.
Detta confessione era ripetibile e non comportava, come la penitenza canonica, interdetti penitenziali.
La cosa più importante in tutto questo era l’imposizione della penitenza, la quale doveva essere rispettosa della cosiddette tariffe penitenziali: ad ogni colpa era assegnata una penitenza precisa, soprattutto digiuni, secondo una distinta casistica che teneva conto: delle circostanze dell’azione e della qualità dei penitenti, cioè: clero, monaco, laico, uomo o donna.
Le tariffe erano indicate in libri riservati ai confessori, intitolati Libri penitenziali.
La storia di questi libri è veramente difficile da raccontare. Ogni diocesi praticamente aveva una sua lista di peccati e di penitenze, dove l’enumerazione delle colpe era enormemente diversificata e l’elenco delle penitenze assolutamente indipendente.
Il rinascimenti carolingio cercò di mettere un po’ d’ordine e tentò soprattutto di rendere il tutto più interiore la pratica della penitenza. Ci riuscì in parte.
L’ultimo libro penitenziale va considerato il Corrector sive Medicus, che costituiva il XIX libro del Decretum di Burcardo (m. 1010) vescovo di Worms.

5. Anelli di congiunzione

Sono quegli autori che mi sembra facciano da congiunzione tra la cultura romana e quella barbara. Sono autori che hanno avuto successo per tutto il medioevo. Il più rappresentativo è senz’altro Sant’Isidoro di Siviglia di cui abbiamo già parlato.
Boezio (480-525). Nacque a Roma e morì a Pavia. Cortigiano di Teodorico, re degli Ostrogoti. E’ considerato «l’ultimo scrittore romano» o «il primo scrittore scolastico». Incarcerato, scrive il De consolatione philosophiae, opera in cui espone la sua morale. Questa ha come obiettivo la beatitudo (felicità), intesa con evidente sfumatura stoica. Di Boezio è la definizione classica di persona: «rationalis naturae individua substantia».
Beda il Venerabile (673-735). Nacque in Inghilterra. Fu monaco. Fu uomo di grande cultura e autore prolifico. Le sue opere teologiche sono di carattere esegetico. Fu apprezzato nei secoli successisi, soprattutto da San Tommaso. Offre un inizio di fondazione teologica della vita cristiana, «una vita nuova in Cristo» iniziata con il battesimo e continuata attraverso la pratica delle virtù, specialmente delle virtù cardinali.
Rabano Mauro (784-856). Nacque e morì a Magonza. Fu monaco, abate di Fulda e vescovo di Magonza. Svolge il lavoro di formatore e di volgarizzatore della teologia. Scrive un trattato di teologia morale fondato sull’esercizio delle virtù.

6. Rinascimento carolingio

Per rinascita carolingia si intende quella ripresa culturale che ci fu alla fine delle grandi invasioni barbariche e la nuova notevole stabilità politica instaurata dall’impero carolingio.
Consolidato il potere con numerose campagne militari, Carlo Magno (742-814) si era proposto una riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, sul modello di quella ecclesiastica e una promozione culturale del popolo, iniziando da una riqualificazione del clero. Morale cristiana e Bibbia erano il fondamento comune per una possibile rinascita. Le opere dei Padri, sfuggite alla distruzione, furono gli strumenti per la rigenerazione
Uno dei meriti di Carlo Magno fu la sviluppo della scuola anche per i ceti medio bassi.

7. Alcuino di York (735-804)

Nato a York, morto a Tours. Frequentò e poi diresse la scuola episcopale di York, fino a quanto fu nominato da Carlo Magno (791) a dirigere la Schola Palatina ad Aquisgrana. Nel 801 si ritirò a Tours , riformandovi il monastero.
Alcuino organizzò l’istruzione in tre gradi: 1. lettura e scrittura, elementi di latino volgare, comprensione iniziale della Bibbia e dei testi liturgici; 2. studio del trivio: grammatica, retorica, dialettica, e del quadrivio: aritmetica, geometria, astronomia e musica. 3. Studio approfondito della Sacra Scrittura. Per ognuna delle sette arti liberali Alcuino approntò dei manuali, che hanno però un carattere compilatorio. Alcuino è un conoscitore profondo dei padri, in modo particolare di Agostino, Cassiano e Boezio.

Alla morte di Carlo Magno vi fu un notevole mutamento sociale ed economico nell’impero con conseguenze anche sulla cultura e sull’educazione.
Il dissolvimento dell’impero fece crollare l’ordine costituito nella cristianità occidentale. Ha inizio prima la riforma del monachesimo (Cluny) e poi quella della chiesa con Gregorio VII (1073-1083).
C’è da segnalare: l’affermazione del commercio e dell’artigianato, l’espansione della religione islamica, le crociate (la prima fu proclamata da Urbano II nel 1095). Questi eventi contribuirono a mettere in crisi la struttura feudale e al sorgere della borghesia.
Il sec. XI fu un secolo di transizione in cui scoppiarono grosse polemiche in campo teologico. La più grave portò allo scisma d’oriente del 1054.
La seconda metà del secolo fu turbata dalle teorie eucaristiche di Berengario di Tours e dall’introduzione della dialettica nella ricerca teologica che ebbe un avversario di spessore San Pier Damiani (Ravenna 1007 - Faenza 1072), monaco italiano, dottore della Chiesa e santo.
Intorno al 1043 divenne priore del monastero di Fonte Avellana, vicino a Gubbio. La sua opera fu improntata alla lotta contro gli abusi e l'immoralità del clero, in particolare contro la simonia e la violazione del voto del celibato; a tale riguardo invocò riforme presso il papa Leone IX.
Divenne cardinale vescovo di Ostia (decano del Sacro Collegio dei cardinali) nel 1057, e due anni dopo presiedette un concilio a Milano. Legato di molti papi, collaborò in particolare con Ildebrando di Sovana, divenuto papa Gregorio VII nel 1073. Fu tra gli scrittori latini più fecondi ed eleganti del Medioevo, lasciò un vasto corpus di scritti teologici di vario genere.
L’inizio del secolo vide l’opera riformatrice di San Romualdo (952-1027), il quale sentì l’esigenza di una effettiva povertà, maggiore austerità e forte desiderio di vita solitaria.
Il sec. XII è senz’altro un secolo molto fecondo per l’approfondimento della teologia. Nascono in questo secolo le grandi scuole teologiche: monastiche, canonicali e urbane, nelle quali si inizia ad elaborare sistematicamente la riflessione teologica. Nascono le università con il conseguente accesso alla cultura dei ceti più vari.
Va segnalata la pubblicazione nel 1140 del Decreto di Graziano, monaco camaldolese, la più completa raccolta di leggi per un totale di 4.000 testi. E’ stato il testo di insegnamento del diritto canonico della chiesa fino al 1917.
Nella seconda metà del secolo iniziano a diffondersi le cosiddette Sentenze e le Somme: un tentativo di operare una sintesi fra le varie tendenze teologico-morale.
Alcuni teologi in questo periodo hanno cercato di dedurre dalla dottrina di Agostino il cosiddetto agostinismo politico, cioè: il potere temporale va diminuito al massimo ai laici e rafforzato quello ecclesiastico e particolarmente papale. Si tende di attribuire alla chiesa e al Papa il fondamento di ogni potere, giurisdizione e diritto anche nell’ordine temporale. Il Papa deve essere detentore del potere spirituale e di quello temporale.

8. La teologia del sec. XII

Gli storici della teologia parlano di rinascita teologica nel sec. XII. Si passa dalla sacra pagina alla teologia scolastica.
In questo secolo le scuole divengono ambiti di trasmissione del sapere, della formazione teologica e della ricerca nelle scienze cristiane. La varietà della riflessione teologica è data dalla differenza tra le scuole. Come abbiamo già annotato vanno distinte le scuole monastiche, canonicali e urbane.

9. Le scuole monastiche

Esse iniziano a fiorire dalla riforma di Cluny (950) e quella di Citeaux (inizio del 1100). I due protagonisti delle rispettive riforme sono Pietro il Venerabile (m. 1156) e Bernardo di Chiaravalle (1091-1153), ma il vero iniziatore della scuola monastica è da ritenersi Sant’Anselmo di Aosta (1033-1109).
Il primo impulso dello sviluppo della teologia monastica fu la fioritura delle scuole nate all’ombra dei monasteri. L’ordine monastico sentì la necessità di un profondo rinnovamento spirituale specialmente in ciò che riguardava la solitudine e la povertà. Abbiamo già detto di Cluny e di Citeaux e della Regola di Romualdo. Il clima di riforma fu senz’altro alimentato dall’intensificarsi della teologia monastica, la quale era alimentata in profondità dalla Sacra Scrittura e dalla letteratura patristica. Diffidò dell’uso toppo esteso della dialettica e richiese disposizioni di umiltà e di semplicità
Oggetti preferiti di riflessione furono la storia della salvezza, in specie i misteri di Cristo, testimoniati dalla Sacra Scrittura e celebrati dalla liturgia. Il problema dell’unione dell’anima con Dio e della conseguente antropologia.
La teologia monastica era molto sensibile ai problemi morali anche se considerati in una prospettiva spirituali e ascetici. Non mancarono inevitabili tensioni con la teologia cosiddetta speculativa, perché c’era un forte rifiuto ad accettare i nuovi fermenti razionali e la conseguente necessità di mettere insieme dati tradizionali e audacia innovativa fervore religioso e preoccupazioni metodologiche.
Si può affermare senza paura di essere smentiti che la teologia elaborata nei monasteri in questo periodo è prima di tutta una profonda riflessione sulla ricerca della perfezione. L’interesse dei monaci era quello di ricercare ciò che edifica e attrae la volontà all’amore della virtù. Un posto importante viene dato alla riflessione sulla libertà, collegato al progresso spirituale e di ciò che lo ostacola: i vizi, i peccati capitali, la tentazione e l’amore carnale.
La prima fonte di riflessione è la Bibbia i cui testi vengono letti secondo un’esegesi messa appunto da San Gregorio Magno, con una lettura spirituale e morale, facendo attenzione soprattutto su ciò che edifica e attrae la volontà all’amore della virtù. La Scrittura è la norma suprema non solo in materia di dottrina e di fede, ma soprattutto in materia morale.
La riflessione morale monastica si ispira a quella patristica. Si ispira a San Basilio, alle Collationes di Giovanni Cassiano, ma la fonte principale di ispirazione fu il Moralia in Job di San Gregorio Magno.

10. Sant’Anselmo di Aosta (1033-1109)

Nacque ad Aosta e morì a Canterbury. Di nobile famiglia compì i suoi studi nell’abbazia bnedettina di Bec in Normandia. Ebbe come maestro un certo Lanfranco (1007-1089)che fu suo predecessore come vescovo di Canterbury. Questi profondo teologo insegno ad Anselmo il rigore metodologico e il senso spirituale. Nel 1060 divenne monaco nella stessa abbazia dove qualche anno dopo vi fu eletto abate. Nel 1093 fu eletto vescovo di Canterbury. Il suo compito più impegnativo fu quello di difendere le prerogative e l’autonomia della chiesa contro l’ingerenza dei sovrani inglesi. E’ dottore della chiesa.
Le sue opere sono: il Monologion, soliloquio sulle ragioni della fede; il Proslogion, colloquio che come sottotitolo fides quaerens intellectum. Inoltre ha scritto: sulla Trinità, sull’Incarnazione sulla Redenzione (Cur deus homo?) .
Anselmo non ha trattato ex professo questioni morali, ma ci lasciato un breve trattato sugli atti umani, sul peccato che viene definito privazione del retto ordine, sulla obbligazione morale e sulla verità.
Anselmo nella sua riflessione teologica parte dalla convinzione che è possibile approfondire la fede a partire dalle sue ragioni interiori: credo ut intelligam, intelligo ut credam. Ragione e fede non due entità separate, ma complementari. La riflessione teologica di Anselmo è guidata dalla convinzione che Dio vuole comunicare agli uomini la sua felicità.
La dignità dell’uomo consiste nel suo essere immagine di Dio, immagine deturpata dal peccato di origine e dignità sporcata. La gloria di Dio consiste nella volontà di restaurare questa rettitudine e la conseguente destinazione a Dio. Secondo Anselmo dio lo può perché è sommamente libero. Libertà che è a fondamento della libertà umana.
Dal punto di vista della riflessione morale, Anselmo è preoccupato di presentare a tutti i fedeli l’insegnamento autentico di Cristo e come la carità debba dare forma a tutti i comportamenti morali.
Anselmo propone una morale dell’autenticità: il cristiano è chiamato ad agire per Dio. Egli riflette molto sulla bontà morale e del legame di questa con la libertà . La bontà consiste nell’adeguamento all’idea di bontà divina sulla quale è modellata. La motivazione dell’atto di volontà non può consistere nell’ottenimento della beatitudine, ma il giusto voluto per se stesso, e, in ultima analisi, la gloria di Dio amata con vera carità.
Gli uomini hanno avuto in dono la libertà non per raggiungere ciò che vogliono, ma per volere ciò che essi devono e quindi ciò che per loro è conveniente volere, cioè la rettitudine o bontà.
La definizione di bontà morale passa attraverso la definizione di libertà umana, che per Anselmo è: libertà e libero arbitrio. La libertà propriamente detta, in quanto ordinata al bene non può scegliere il male. La scelta del bene e del male è appannaggio del libero arbitrio. E’ la volontà, atteggiamento tipicamente umano, l’elemento moralmente determinante.
Anselmo è il primo teologo a definire la moralità non in base al fine dell’azione (morale della terza persona), ma in base alla volontà (morale della prima persona).
Con Anselmo la riflessione teologico-morale assume i connotati della razionalità e dell’interiorizzazione, perché introduce nell’agire umano la coscienza e la decisione come regole della moralità dell’atto, evitando di creare una morale della pure intenzionalità. Anche se nella valutazione morale l’aspetto soggettivo o l’intenzione restano essenziali.
Parlando di scuola monastica no si può non parlare della celebre abbazia di Cluny. Fondata nel 909, ebbe nell’abate Oddone il suo grande riformatore, dandole una robusta linea di spiritualità. Orientamento principale del monastero era la vita contemplativa per arrivare alla più alta ed intima unione con Dio. I mezzi per raggiungere tali altezze dovevano essere utilizzati i seguenti mezzi: canto delle lodi divine, vita comune ritirata, attività moderata, studio delle sacre discipline, austerità effettiva, ma non eccessiva, culto delle arti decorative.
Cluny sentì la necessità di federarsi con altri monasteri e creare così un ordine centralizzato. I più famosi abati di Cluny furono Pietro il Venerabile (1092-1158) e Bernardo di Cluny (1091-1153).
La scuola cistercense ebbe come caratteristica una interpretazione letterale della Regola di Benedetto. Cistercense deriva dalla cittadina francese Citeaux, vicino a Digione, dove fu fondato da Roberto abate di Molesmes il primo monastero riformato nel 1098. Suoi successori furono Alberico e Stefano Harding.
Lo scopo della riforma ritornare alle fonti autentiche del monachesimo, alla monastica puritas. Sua caratteristica: la contemplazione che deve portare alla unione mistica con Dio. I mezzi utilizzati sono: la recita delle ore canoniche, austerità nella vita e povertà nel mangiare.

11. San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153)

Nacque a Fontaines, vicino a Digione nel 1090. I suoi genitori sono Aletta e Tescelino, vassalli di Oddone I di Borgogna. Delle sette arti liberali studiò solo la grammatica e la retorica. Nel 1111 insieme a fratelli e amici decise di vivere una vita penitenziale in casa, Nel 1112 insieme a dodici amici si fece monaco nel monastero riformato di Citeaux.
Nel 1115 fu inviato dall’abate Stefano Harding di Citeaux a fondare un monastero a Clairveaux (Chiaravalle), per decongestionare Citeaux dove da tre anni affluivano in grandissimo numero i postulanti. Alla sua morte Bernardo aveva fondato 160 monasteri. A Chiaravalle i monaci raggiunsero il numero a settecento.
Sconfigge l’antipapa Anacleto II (1138). Sconfigge le temerarie audacie dell’insegnamento teologico di Abelardo. Nel 1146 iniziò la predicazione della seconda crociata, che guidata dal re di Francia e di Germania, fallì miseramente. Visse il trauma della vicenda di Papa Eugenio III (1145-1153) e Arnaldo da Brescia (m. 1155). Morì a Clerveaux nel 1153.
Scrisse 332 Sermoni, importanti quelli che commentano Il Cantico dei Cantici, I gradi dell’umiltà, L’amore di Dio, La Grazia e il libero arbitrio. Scrisse svariati altri opuscoli di teologia, di liturgia e di agiografia.
La via maestra per arrivare a Dio non è la speculazione, ma l’umiltà, che sorella della verità: la via che conduce alla verità è Cristo e il grande insegnamento di Cristo consiste nell’umiltà.
L’umiltà nel suo primo grado insegna di conoscere se stesso, nel secondo di avere compassione del prossimo e nel terzo rende l’anima di contemplare Dio.
L’umiltà permette di permette di salire la "mistica scala di Giacobbe". Invece di vien meno alla perfezione a causa di curiosità, di leggerezza spirituale, pazza gioia, singolarità, ostinazione, arroganza, presunzione, ipocrisia.
La preoccupazione principale degli scritti di Bernardo è di condurre gli interlocutori alla perfezione, per questo insiste molto sulla legge del progresso: rifiutare di salire più in alto è cessare di essere buoni. La tensione costante alla perfezione è già possederla in qualche modo.
Assertore della tradizione e studioso attento dei Padri della chiesa, in modo particolare di Sant’Agostino, pensa e parla come la Sacra Scrittura, per cui la predicazione è profondamente legata al dogma e alla spiritualità.
Vari sono i temi morali trattati da Bernardo nei suoi scritti:
- il ritorno a Dio dell’uomo creato a sua immagine e deturpato dal peccato, ma purificato dall’umiltà;
- il passaggio dalla dissomiglianza alla somiglianza con il Dio ritrovato;
- la morale dell’amore che solo converte le anime e le conduce al loro principio: misura dell’amore di Dio è di non avere misura;
- l’imitazione di Cristo, sposo e amico, nella sua umanità.
Nell’ultima parte del suo Sermoni sui Cantici si propone di esporre la grande dottrina dell’unione sponsale e amorosa dell’anima con Dio e della restaurazione in noi dell’immagine di Dio, deformata dal peccato.
Ne trattato sulla Grazia, riprendendo Agostino, insegna che i meriti dell’uomo altro che i doni di Dio, ma che suppongono la cooperazione della volontà umana. E’ Dio che in ordine al bene produce in noi: il pensiero senza di noi, il volere insieme a noi, l’atto perfetto per mezzo di noi. Creata per un atto di amore divino, la volontà dell’uomo è essenzialmente un atto di amore di Dio, un atto di carità divina.
Il peccato consiste propriamente nell’atto con cui l’uomo vuole se stesso per se stesso o vuole per se le altre creature di Dio, invece di volere se stesso e il resto per Dio.
Per progredire spiritualmente l’uomo deve cercare di riconquistare la piena libertà di amare Dio. Si tratta della possibilità di scegliere e la libertà dal peccato, avuta in dono nello stato originale, ridonata dalla redenzione, per cui si può non peccare il che vuol dire il non poter peccare, fino a raggiungere la liberazione totale e definitiva in paradiso.
Bernardo tratta sovente del tema della coscienza, sottolineandone soprattutto il valore religioso, intendendola come voce e presenza di Dio. Ma ne tratta anche sul piano propriamente morale intendendola come il giudizio dei nostri atti, la norma prossima della moralità. La coscienza è il testimone di Dio in noi, ispira il rimorso della azioni cattive e la gioia di aver agito bene.
La teologia di Bernardo può essere sintetizzata nell’amore: Dio è carità e fonte di amore: vive di amore, fa in modo che lo si ami, dona l’amore e il motivo di amare.
L’amore per Bernardo è la legge, la giustizia, il desiderio e il possesso, l’uscire da sé e l’estasi. E’ la spiegazione di Dio e dell’uomo. E’ la più elevata delle conoscenze, che aiuta a pervenire alla più alta contemplazione e alla più attiva opera a favore della chiesa.
Bernardo non ha tralasciato di trattare della morale politica fondata sulla pace e sulla promozione sociale dei contadini e degli artigiani.

12. La scuola di San Vittore

In parallelo con la scuola monastica sorsero le scuole canonicali, si tratta di scuole di teologia gestite dai canonici regolari, i quali pur vivendo la vita conventuale, si dedicavano anche ad attività pastorali. Dette scuole sono caratterizzate dal metodo teologico, cioè si rifacevano alla riflessione monastica, ma erano aperte alle nuove correnti di pensiero.
La più famosa fu la scuola di S. Vittore di Parigi.
Detta scuola era tenuta dai canonici regolari di Sant’Agostino. Fu fondata nel 1108 o 1109 da Guglielmo di Champeaux (1070-1122) che era stato discepolo di Sant’Anselmo di Laon (1050-1117). La scuola di San Vittore fu resa illustre da Ugo e Riccardo, ma divenne ben presto un grande centro intellettuale con varie filiazioni sparse un po’ ovunque.
La caratteristica fondamentale della scuola è quella di essere propedeutica alla vita mistica. Infatti, accanto ad una scienza propriamente teologica, basata sullo studio della Sacra Scrittura, si insegnavano anche discipline propriamente razionali. Si insisteva sulla necessità della preghiera e della contemplazione, si fondeva mistica e cultura.
I teologi di San Vittore, detti vittorini, sostengono che la creazione è opera del Verbo, la parola di Dio esteriore. Ogni creatura è come una sillaba che esprime il Verbo e che permette all’uomo di innalzarsi fino al Creatore. Poiché l’ordine dell’universo è stato messo a soqquadro dal peccato, Dio ha donato all’uomo un nuovo segno l’umanità di Cristo, perché questi possa elevarsi. L’umanità di Cristo è incentivo all’imitazione e guida per arrivare all’amorosa contemplazione.
Nella scuola di San Vittore accanto all’insegnamento della sacre Scritture si impartisce anche l’insegnamento delle «scritture secolari». Innovazione però incerta, non si tratta di una integrazione, ma di semplice giustapposizione, non integrazione, ma correlazione tra i due campi del sapere.
A San Vittore si ha una visione pessimistica della filosofia profana, in modo particolare dell’etica filosofica. Questa è ritenuta una morale tronca e senza vita, incapace di dare una precisa impostazione alla vita umana. Sola la scienza morale fondata sulla Sacra Scrittura può riformare l’uomo. Intuizione importante che però resta tale.
Ugo di San Vittore (1096-1141). Nacque probabilmente in Lorena nel 1196. Entrato nel 1118 nell’abbazia di San Vittore, a Parigi, ben presto divenne direttore della scuola che aveva ivi la sua collocazione e così contribuì al suo sviluppo e al suo prestigio. Spirito aperto cercò di amalgamare le scienze sacre con quelle profane per volgerle alla contemplazione di Dio.
Studioso attento della Sacra Scrittura ne trasse l’idea ispiratrice della sua dottrina teologica e spirituale: la restaurazione dell’uomo decaduto.
La sua opera fondamentale è il Didascalion, in sei libri, una specie di introduzione allo studio delle arti liberali. Ben presto divenne il testo base della pedagogia medioevale. L’idea portante è: la realtà visibile segno delle realtà invisibili.
Nel De sacramentis, esposizione della fede cristiana, che per completezza e originalità rappresenta il sistema teologico più completo del medioevo. Si tratta del primo tentativo di fare teologia della storia, scoprire, cioè, il senso della storia umana a partire della economia della salvezza. La storia dell’umanità ruota intorno all’idea della creazione della restaurazione.
Per la trattazione di problemi di morale Ugo si serve di piccoli opuscoli che trattano specificamente queste tematiche. Presenta la sua riflessione morale suddivisa in tra momenti:
- morale solitaria: riguarda il comportamento dei singoli;
- morale economica: riguarda la condotta famigliare;
- morale politica: riguarda la vita di una città o di uno stato.
Ugo non elabora una teologia morale fondamentale.
L’amore precede sempre la conoscenza. Esso conduce oltre ogni meta accessibile alla cogitatio, alla meditatio, all’oratio, all’operatio e introduce alla conmplazione.
Riccardo di San Vittore (m. 1173). Di origine scozzese, fu dal 1162 priore dell’abbazia di San Vittore. Si ispira a Ugo, ritenuto un grande teologo, facendo più attenzione ai dati dell’esperienza. Ritiene che la ragione debba fornire alla fede il maggior numero di argomenti dimostrativi.
La sua opera maggiore è il De Trinitate. Dedica diversi opuscoli ad argomenti morali e spirituali. Riccardo è un grande mistico e la sua riflessione teologica è profondamente mistica.
All’inizio dell’itinerario etico e spirituale vi è l’amore, che si fonda su una volontà ferita dal peccato d’origine, ma che può ritrovare l’originaria purezza e raggiungere Dio con l’aiuto della grazia. Egli sostiene che l’amore, essendo il tutti e la verità di Dio, deve essere anche il tutto e la verità dell’uomo.

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