mercoledì 30 gennaio 2008

Santa Giacinta Marescotti

Giacinta sogna un marito, non il monastero.
Si chiama Clarice, è molto bella e ha sott’occhio il giovane marchese Capizucchi, ottimo partito per una figlia del principe Marcantonio Marescotti, alta aristocrazia romana. E il principe, infatti, gli dà volentieri in moglie una figlia. Ma non è Clarice. E’ Ortensia, la più giovane.
Clarice reagisce in modo violento: diventa il flagello della casata, insopportabile per tutti.
Una delusione simile può davvero inasprire chiunque, ma forse le accuse sono anche un po’ gonfiate per giustificare la reazione del padre, che nel 1605 la chiude nel monastero di San Bernardino a Viterbo, dalle Clarisse, dove c’è già sua sorella Ginevra.
Prende il nome di Giacinta, ma senza farsi monaca: sceglie lo stato di terziaria francescana, che non comporta clausura stretta. Vive in due camerette ben arredate con roba di casa sua e partecipa alle attività comuni. Ma non è come le altre. Lo sente, glielo fanno sentire: un brutto vivere. Per quindici anni si tira avanti così: una vita "di molte vanità e sciocchezze nella quale ero vissuta nella sacra religione". Parole sue.
C’è un "dopo", infatti. C’è una profonda trasformazione interiore, dopo una grave malattia di lei e alcune morti in famiglia. Per suor Giacinta cominciano venti quattro anni straordinari e durissimi, in povertà totale. E di continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie nuove e sorprendenti. Dalle due camerette raffinate lei passa a una cella derelitta per vivere di privazioni: ma al tempo stesso, di lì, compie un’opera singolare di "riconquista". Personaggi lontani dalla fede vi tornano per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto ad ammalati e poveri.
Nel monastero che l’ha vista entrare delusa e corrucciata, Giacinta si realizza con una totalità mai sognata. Dopo la sua morte, tutta Viterbo corre alla chiesa dov’è esposta la salma. E tutti si portano via un pezzetto del suo abito, sicché bisognerà rivestirla tre volte. A Viterbo lei resterà per sempre, nella chiesa del monastero delle Clarisse, distrutta dalla guerra 1940-45 e ricostruita nel 1959. La sua canonizzazione fu celebrata da Pio VII nel 1807.

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