martedì 26 febbraio 2008

Quarta meditazione

7. Fonte e alimento sacramentale

Le virtù teologali, essendo espressioni dinamiche della vita di grazia, sono attinte alle sorgenti stesse della vita teologale, cioè: dai sacramenti.
Questi sono i segni efficaci che realizzano e comunicano la fede, la speranza e la carità.
Ciascuno sacramento, in modo proprio, è sorgente e alimento della fede, della speranza e della carità, che ci spinge al compimento del dovere essere in Cristo.
Un dover essere che non si presenta come legge o precetto, ma come nuova libertà, quella dell'«uomo nuovo» (Gal 4,24), sul modello della libertà di Cristo.
Si tratta di una nuova libertà strettamente legata all'azione santificante della grazia sacramentale. Per essa il cristiano è ciò che il sacramento lo costituisce, cioè «santità ontologica».
In altre parole, il sacramento è efficace sul piano ontologico e costitutivo, operativo e dinamico: «Santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi» (1Cor 1,2).
La vita teologale attinta dalla vita sacramentale è realizzazione della:
- santificazione ontologica,
- santificazione morale.
La vocazione alla santità è la disposizione della libertà all'agire teologale e sacramentale.
Si tratta di una trasformazione sacramentale, che si configura sia come nuova qualità ontologica, che come abilitazione morale, che la libertà accoglie e trasforma in azione, come volontà di lasciarsi fare dalla grazia.
La fede, la speranza e la carità procedono dall'incontro fra il dono gratuito della grazia e la fedeltà accogliente della libertà.
Il luogo dell’incontro sono i sacramenti.
Dai sacramenti, secondo lo specifico significativo di ciascuno, la vita cristiana si configura come esistenza di fede, speranza e carità.
Un cristiano può non avere una vocazione, un carisma, un ministero specifici, ma non può non avere la fede, la speranza e la carità.
Per cui mancare di fede, speranza e carità, o anche di una sola di essa, è dimezzare la vita cristiana.

8. Autonomia teologale della morale

Le virtù teologali, essendo disposizioni importanti della libertà dell'uomo nuovo in Cristo, danno rilievo alla concezione personalistica dell’agire morale e della riflessione teologico-morale.
In forza di esse l'agire morale sgorga dall'essere in grazia, che si autocomprende come dovere essere.
Il dovere non è l’espressione di un codice di comportamento esteriore, che vincola in modo volontaristico la libertà, ma esprime l'essere della persona, che si realizza nel dover essere.
L'istanza morale del dovere non è colta come costrizione legalistica, ma è assunta come attestazione di fedeltà.
Le virtù teologali mediano tra la grazia santificante e la grazia abilitante, sono, cioè, 'abiti' che rendono la libertà teologale.
Questi plasmano la libertà fondamentale del cristiano, cioè la libertà trascendentale, anteriore a ogni opzione categoriale. In essa, infatti, acquista consistenza l’agire morale della persona.
Le virtù, disposizioni permanenti e dinamiche della libertà, trasformano l’azione in agire morale, il quale non è costituito dalla somma di atti buoni, ma degli atteggiamenti virtuosi.
Esse definiscono la libertà dell'uomo in Cristo, il quale non è un produttore di atti conformi alla legge, tra cui atti di fede, speranza e carità, ma una persona in atto, una libertà, cioè, intrisa di fede, speranza e carità che esprime con fedeltà se stessa nel categoriale e nella situazione dell'intero agire morale.
Le virtù teologali trasformano l’agire buono in morale degli atti, legalismo morale, a morale degli atteggiamenti, personalismo morale.
Questo non perché l'atto sia stimato inferiore e la legge svalutata, ma:
- l'uno è colto entro l'orizzonte unificante della persona, sottraendolo così ad ogni atomismo morale;
- l'altra diventa espressione che media le esigenze del valore dell'essere, sottraendola a ogni possibile volontarismo.
Il personalismo morale delle virtù teologali avvalora l'autonomia della morale cristiana.
Essa, cioè, non ha legittimazione eteronoma. Il suo fondamento non è altrove rispetto all'essere, in una autorità morale o in un codice di comportamento che la informa dall'esterno, fosse pure l'autorità di Dio, che, in questo caso, s'imporrebbe alla libertà cristiana non come grazia che lo illumina e fa da guida, ma come legge che obbliga dall’esterno.
L'agire cristiano fondato sulle virtù teologali, è un agire autonomo, cioè ha la sua origine nell'essere.
Esso, infatti, è essere fedeli a se stessi, al proprio essere. A un essere, però, che è fonte di valore, non per caratteristiche proprie, ma per grazia di Dio: «Per grazia di Dio sono quello che sono» (1Cor 15,10).

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