lunedì 25 febbraio 2008

Terza Meditazione

5. La qualità di virtù

La fede, la speranza e la carità costituiscono e definiscono la vita cristiana in qualità di virtù, cioè di abiti della vita teologale.
Le virtù sono attitudini operative, mediatrici della densità assiologica dell'essere nel dinamismo esistenziale dell'agire.
Come tali ineriscono fondamentalmente all'essere: sono modi dell'essere, che ne assumono ed esprimono le esigenze dinamiche.
Sono, dunque, la stessa persona che si automanifesta nell'azione. Non atti della persona ma la persona in atto.
Neppure norme direttive dell'agire ma la coscienza assiologica e normativa dell'essere che informa e muove moralmente la libertà. E' l'essere che si automanifesta come dover essere.
L'essere cristiano, come vita nuova in Cristo, secondo lo Spirito, in comunione con il Padre, è l'essere ricolmo della pienezza di Dio che dà valore all'uomo. Dio è il bene e il valore assoluto e onnicomprensivo.
Non il Dio dei filosofi, ma il Dio della tripersonale: il Padre che nell'umanità sacramentale del Figlio e nella comunione vivificante dello Spirito si offre come salvezza dell'uomo.
Questa offerta salvifica, elevazione partecipativa dell'uomo alla beatitudine trinitaria, è profondamente significativo e informa l'essere e dover essere del cristiano.
Dio via, verità e vita diventa, cioè, il bene e il valore fontale, centrale e finale, riconosciuto e assunto della libertà cristiana che diviene così libertà di fede, di speranza e di carità.
Tale riconoscimento e assunzione avviene per conformazione della nostra libertà alla libertà di fede, speranza e carità di Cristo in noi, operata dall'azione sacramentale dello Spirito.
Ne segue che la libertà è abilitata al dover essere secondo Dio in Cristo e quest'abilitazione definisce come virtù i tre modi di essere fondamentali della vita cristiana.
La virtù è una disposizione permanente e dinamica della libertà al bene.
Specifichiamo
Disposizione. La virtù non è un atto, né una somma di atti. E' un atteggiamento, cioè inclinazione e polarizzazione di tutta la libertà; la sua plasmazione ad opera del bene e valore che la specifica. Come tale è un atteggiamento costitutivo della persona. E' la libertà morale, libertà per il bene e il valore, quindi diventata stile di vita.
Permanente. La virtù è caratterizzata da stabilità, continuità e immediatezza nell'intenzione operativa del bene e valore. Sicché questo diventa 'abito': cioè un modo di essere della persona che si esprime fedelmente nell'azione. Abito, non abitudine: perché l'abitudine è di natura essenzialmente psico‑somatica, l'abito, invece, di natura morale e spirituale[1].
Dinamica. La virtù è «una fonte interiore di azione»[2], un potenziale morale che induce all'azione. Essa facilita la ragion pratica e il volere morale nell'intenzione che attua il bene e il valore. E' un dinamismo di liberazione e di libertà che dispone agevolmente al bene. Per essa tutta la persona, «i moventi, le energie, l'agire e l'essere dell'uomo vengono contrassegnati dal valore che li determina e riassunti così in un tutto caratterizzante[3].
Fede, speranza e carità, come virtù, si situano nel quadro morale e personalistico[4].
Esse sono disposizioni permanenti e dinamiche della libertà al bene e al valore supremo dell'esistere umano, cioè Dio che in Cristo ci dona la comunione dello Spirito.
Come disposizione esse conformano teologalmente la libertà che la persona è. Per cui la vita morale cristiana non è essenzialmente una somma di atti meritori al cospetto di un Dio che ricompensa, ma la fedeltà della libertà che dà testimonianza alla grazia, cioè a ciò che Dio ha fatto di me, della mia libertà, per conformazione spirituale a Cristo.
La libertà è plasmata dallo Spirito, che l'abilita al vissuto secondo lo Spirito.
Così come l'agire immorale, il peccato, non è essenzialmente la trasgressione di un comando divino, ma l'infedeltà che degrada e involve la libertà per cui rinnega se stessa, cioè il proprio essere di grazia.
Nell'abilitazione dello Spirito sta il carattere permanente, stabile delle virtù teologali. Per cui la vita cristiana non si atomizza in una pluralità di atti, ma si riassume e unifica primariamente in un atteggiamento fondamentale di fede, speranza, e carità che determina, dirige e intenziona tutto l'agire categoriale e concreto.
Nell'abilitazione dello Spirito, poi, consiste il loro carattere dinamico, come forza e possibilità di corrispondere alle esigenze di totalità e perfezione della vita secondo il vangelo e dono di intelletto e saggezza per discernere e scegliere in situazioni «il meglio» (Fil 1,10), «la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).
Questa abilitazione di fede, speranza e carità è il potenziale di azione che informa e muove teologalmente tutte le potenzialità umane.
Di modo che il cristiano vive un'unica vita morale, senza rinnegamenti, né sdoppiamenti: è la vita morale soprannaturale che non è mai tale per svalutazione o disconoscimento del naturale ma per assunzione ed elevazione.

6. Azione inglobante e animatrice di tutto l'agire morale

Questa abilitazione teologale di tutto il dover essere umano sta a indicare la portata moralmente inglobante delle virtù teologali.
Tematicamente specificate da Dio quale oggetto immediato, esse esorbitano dall'ambito specificamente e direttamente religioso e coinvolgono tutto l'agire morale.
Esse «non entrano in attività soltanto dove si tratta di atti riflessi, che si riferiscono esplicitamente al Dio della rivelazione di sé; esse trasformano l'intera vita morale dell'uomo giustificato e la finalizzano verso la vita eterna, dove l'uomo in un'opzione di fondo, che sostiene e determina tutti i singoli atti, è un uditore della promessa di sé da parte di Dio, uno che spera nel futuro assoluto e un uomo che, nell'amore verso l'amore e la gloria di Dio, affida se stesso completamente a lui»[5].
Teologale è dunque tutto l'agire cristiano, così come teologale è tutto l'essere assunto e giustificato dalla grazia, per cui non si dà un ambito profano o puramente umano dell'esistere cristiano.
Per ovviare alla dicotomia tra ambito umano e esistenza cristiana, la teologia morale e l'antropologia teologica, a partire dalla scolastica e con l'autorità di San Tommaso[6], hanno parlato di virtù soprannaturali che doppiano il dinamismo delle virtù naturali, come abilitazione donata per grazia.
Vi sono tante virtù per grazia, quante sono le virtù umane: quelle elevano queste all'economia santificante della grazia, così che tutto l'agire virtuoso cristiano è agire salvifico e soprannaturale.
In questa visione, virtù soprannaturali sono primariamente e fondamentalmente la fede, la speranza e la carità. Nei loro confronti ogni altra virtù infusa è categoriale e dipendente.
Ma a parte il rischio, non ipotetico ma effettivo, di essere semplicemente annoverate e contate tra le virtù soprannaturali, sminuendo così la rilevanza e l'incidenza su tutto l'agire virtuoso, la fede, la speranza e la carità sono tali da mediare da sole la lievitazione sopraelevante della grazia.
Esse permeano tutto l'esistere umano lo rendono dinamico in senso teologale, cioè soprannaturalmente.
Abbiamo visto come per il concilio di Trento le tre virtù teologali sono ciò che viene infuso con la grazia giustificante.
Come tali possono incidere direttamente sul vissuto virtuoso umano senza il concorso o la mediazione di virtù morali soprannaturali.
Esse sono virtù animatrici di tutto l'agire morale cristiano.
Questa azione animatrice può essere spiegata a partire dalla considerazione della quadruplice azione causativa: materiale, formale, finale, efficiente[7].
Le virtù teologali non esercitano, propriamente parlando, una causalità materiale, perché il contenuto della morale cristiana, e quindi della vita di grazia, è effettivamente quello della legge naturale.
In rapporto alla causalità materiale la fede, la speranza e la carità esercitano un'azione illuminante sulla morale umana, dando ad essa e alla legge naturale, una razionalità superiore, cioè una comprensione più radicale, interiore ed esigente.
Quanto alla causalità formale, le virtù teologali costituiscono lo specifico cristiano della morale, per cui questa ne condivide e riflette l'economia trinitaria, pasquale, ecclesiale ed escatologica:
- l'economia trinitaria dell'essere e agire in comunione con il Padre, in Cristo per mezzo dello Spirito;
- l'economia pasquale del morire e risorgere con Cristo, quale «spogliamento dell'uomo vecchio con le sue azioni» e «rivestimento dell'uomo nuovo che si rinnova, per una piena conoscenza ad immagine del suo Creatore» (Col 3,9‑10; cf 2,20‑4,6; Ef 4,22‑23; Rm 6,3‑4);
- l'economia ecclesiale della comunione e comunità sacerdotale, regale e profetica dei figli di Dio;
- l'economia escatologica del veniente regno di Dio e della sua giustizia (Mt 6,33), che intenziona e sollecita tutto l'impegno del cristiano.
L'intenzionalità escatologica dischiude la causalità finale.
Le virtù teologali rapportano a Dio, cioè alla piena e definitiva realizzazione in Dio di tutti i fini immanenti e intermedi delle virtù e degli atti umani.
[1] Cf PINCKAERS S., La virtù è tutt’altra cosa che un’abitudine, in Il rinnovamento della morale, Torino 1968, 193-214. .
[2] AUBERT J.M., Les vertus humaines dans l’enseignement scolastique, in Seminarium, 3(1969), 425.
[3] GUARDINI R., Virtù, Brescia 1980, 12; Cf STOECKLE B., Virtù, in Dizionario di etica cristiana, Assisi 1978, 452-453. cf PINCKAERS S., Op. cit., 1989.
[4] Cf COZZOLI M., Etica della persona e delle virtù, in Rivista del clero italiano, 10(1987), 671-679.
[5] RAHNER K., Virtù, in Sacramentum mundi. Enciclopedia teologica, Brescia 1977, vol. VIII, 635.
[6] Cf S. Th., I-II, q. 110, a. 3; De veritate, q. 27, a. 2.
[7] Cf AUBERT J.M., Abrégé de la morale catholique. La foi vécue, Parigi 1987, 176-178.

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