giovedì 24 aprile 2008

Carità e giustizia

La carità ci rapporta al prossimo prima di tutto secondo diritto e giustizia.
Il diritto è il proprio (jus suum) che appartiene all'altro, che suscita il corrispettivo "debito" che sempre riconosciuto e soddisfatto.
La giustizia è la virtù che pone in rapporto tra loro il dovere al diritto, per cui si tende a dare all'altro ciò che gli compete[1].
La giustizia, virtù relazionale, che mira a stabilire rapporti perequativi tra i soggetti di diritti e di doveri, non può essere estranea alla virtù sociale fondamentale, normativa di tutta la vita di relazione, cioè la carità[2]. Di fatto ne è l’espressione da cui non si può prescindere[3].
Ne consegue che non si dà carità senza giustizia. La carità esige la giustizia, la giustizia è espressione della carità e ne assume e riflette la logica morale e teologale[4].

La carità esige la giustizia. La giustizia è la prima via di realizzazione della carità: «siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia», proclama il Vaticano II[5].
La carità vuole per l'altro più della giustizia, ma non senza la giustizia.
Per amore dono all'altro ciò che è mio, per giustizia gli do ciò che è suo[6].
Ne consegue che non posso donare all'altro del mio, senza avergli dato prima il suo. Tanto meno posso attribuirgli come dono ciò che gli spetta come diritto[7]. Il primo bene che la carità vuole per l'altro è quello che gli compete come diritto (jus saum).
Per questo la carità primariamente è giustizia, prima espressione ed esigenza, cioè «la misura minima»[8].
Anche se la giustizia vincola la libertà secondo l’ordine giuridico, che prende corpo nella legge, non per questo la relega fuori dall'ordine morale della carità. Anzi, proprio questo legittima il vincolo giuridico e legale della giustizia, come effettiva garanzia dei diritti, e lo integra nell'ordine morale suo proprio.
Per cui il vincolo giuridico della giustizia, la sua esigibilità legale, non la rendono alternativa alla carità, come purtroppo spesso si è pensato e si è fatto credere.
E’ la carità stessa ad esigere che la giustizia appartenga all'ordine giuridico e legale. In questo senso la giustizia può essere definita come «la carità dell'esigibile»[9].
Il diritto compete alla persona indipendentemente dalle sue disposizioni di generosità e di misericordia. La giustizia si fa carico di questa indipendenza, vincolata dalla forza e dalla determinazione oggettiva del dovere, che l'altro rappresenta per me e che esige riconoscimento, rispetto, restituzione.
La carità va oltre lo strettamente dovuto secondo diritto, ma senza prescinderne. Il donare e perdonare della carità sono inclusivi del dare e restituire della giustizia. Sono moralmente possibili sulla base di questa.
La carità è anche virtù di comunione, è vincolo di unità che unisce in comunione d'amore, nel rispetto dell'alterità.
Non si dà fusione d'amore che disconosca e mortifichi l'individualità. La giustizia è garanzia dell'autonomia dell'«io» e del «tu» nel «noi» dell'amore.
La carità in forza della giustizia che la anima, non confonde mai le individualità, ma esprime sempre una insopprimibile esigenza di rispetto dell'alterità, anzi contribuisce alla promozione delle persone unendole in perfetta armonia.
Come la comunione trinitaria è fonte dell'individualità delle persone divine, così partecipandosi all’umanità diviene principio di differenziazione personale.
La persona è il «diritto sussistente»[10], attribuito e riconosciuto da Dio ad ogni essere con dignità di soggetto e valore di fine, di cui egli ha assoluto rispetto, malgrado il peccato.
La carità di Dio non si lascia mai vincere dall'ingiustizia umana.
Tutta la storia della salvezza è narrazione della giustizia (sedaqah) divina, che fa sussistere l'uomo nel suo diritto, facendosi carico anche di quello perduto.
La sua giustizia è a difesa e protezione del povero, dell'orfano e della vedova, figure emblematiche del diritto calpestato: «Il Signore ha compiuto atti di giustizia, ha reso il diritto a tutti gli oppressi» (Sal 103,6).
La carità di Dio si fa giustizia, quando ristabilisce l'uomo nel suo diritto. Questa giustizia mira a fare giusto l'uomo e il popolo che hanno perso la coscienza del diritto o che non sono in grado di autostabilirsi in esso. Si tratta della giustizia liberatrice e salvifica di Jahvé: «Dio giusto e salvatore» (Is 46,12)[11].
Giustizia che è anche giustificazione giudizio pronunciato contro tutti i profittatori che defraudano il prossimo del proprio diritto.
L'espressione suprema della giustizia di Dio è il giudizio pronunciato sul peccato con la giustificazione del peccatore. E’ l'opera di giustizia che Dio compie nella pienezza del tempo in Cristo Gesù, per ristabilire l'uomo peccatore nella libertà della grazia dei figli di Dio (cf Rm 3,25): «Cristo Gesù per opera di Dio è diventato per noi giustizia» (1Cor 1,30), «perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
Dio in Cristo si fa carico della nostra dignità perduta. Il suo rispetto diviene giustizia che ricrea. Giustificazione liberatrice che salva dal giogo del peccato e della morte e l'uomo è reso giusto dalla giustizia donata: «giustificati per grazia mediante la fede» (Ef 2,8; cf Rm 3,28; 10,4; Gal 3,6; Fil 3,9).
Il cristiano «Uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4,24), è chiamato alla pienezza di senso nella giustizia giustificante di Dio e di Cristo.
La vera giustizia esprime soltanto l'afflato morale, ma ne condivide e riflette l'economia salvifica.
Essere giusti vuol dire rendere giusto il fratello, farsi carico della sua integrale dignità agli occhi di Dio e ristabilirlo nel diritto perduto; nella consapevolezza che riconoscere e ristabilire il diritto del fratello è riconoscere e ristabilire il diritto di Dio.
L'ingiustizia, infatti, in tutte le sue espressioni, costituisce «un ateismo pratico, una negazione di Dio»[12].
Detta giustizia riflette nel cristiano la novità di quella «giustizia superiore» (Mt 5,20), additata da Gesù nel discorso della montagna (cf Mt 5,1‑7,28) come la giustizia propria del Regno, la quale ne segna la condizione di appartenenza.
Si tratta di quella giustizia sollecitata dall'annuncio e dalla testimonianza di Gesù, che sposta l'istanza del «dovuto» oltre la legge e il pattuito, correlandola alle esigenze della giustizia di Dio (cf Mt 5,48), che l'assume nella dinamica donante e perdonante[13].
La giustizia è dunque intrinseca al dinamismo teologale e morale della carità, da questa mutua spessore personale e finalità salvifica, sottraendosi al formalismo e all'anonimato di un rapporto distaccato e funzionale.
La giustizia, espressione della carità, umanizza il diritto come bene della persona, dandogli finalità di comunione nelle relazioni contrattuali, burocratiche e legali[14].
La carità esige la giustizia. S'adopera, cioè, a che i beni e i bisogni reali delle persone e dei popoli siano riconosciuti come diritti e strutturati in un ordine alla giustizia.
Questa, da parte sua, una volta istituita, dischiude nuovi spazi alla carità, cioè gli spazi propri del dono, del perdono, della gratuità, della misericordia.
Una carità che vuole essere, anzitutto, giustizia e lascia a questa spazi prima affidati alla sua sollecitudine, è più vigile, dinamica e profetica nel cogliere le possibilità nuove che le si schiudono in una società in rapida, continua e planetaria trasformazione, che determina squilibri enormi, sacche di emarginazione, bisogni inediti, nuove povertà.
Una giustizia, a sua volta, che intende esprimersi come via della carità, deve farsi prassi di promozione umana, cioè, impegno di umanizzazione della città dell'uomo ed edificare, al tempo stesso, la città di Dio[15].
La giustizia deve tornare ad essere un dinamismo salvifico e morale della carità, liberandola da quella concezione giusnaturalistica, che ne ha fatto una virtù aggiuntiva, funzione di una responsabilità puramente legale e secolare.
Espressione esigente del vangelo della carità, la giustizia ne assume e riflette l'azione evangelizzatrice e redentiva[16].
Per il cristiano sottrarsi al dovere di giustizia non vuol dire solo disattendere un obbligo morale, ma smentire se stesso come cristiano. Infatti senza spirito di giustizia «non può esserci vera vita cristiana»[17].
Al contrario «praticando la giustizia, il cristiano lavora per la propria salvezza»[18]; e la Chiesa trova nella causa della giustizia la «verifica della sua fedeltà a Cristo»[19].
Paolo, dopo l'esortazione a «rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto» (Rm 13,7), a mettere in pratica i doveri di giustizia, riformulata in termini negativi: «non abbiate alcun debito con nessuno» (13,8a), avanza un'eccezione e aggiunge: «fuorché quello di amarvi l'un l'altro» (13,8b)[20].
La carità è il debito inestinguibile, correlato al diritto insopprimibile della persona, a sua volta articolato al diritto di Dio e di Cristo, da cui riceve valore creatore e redentore.
Questa configurazione della carità, come il debito sempre eccedente della giustizia, è espressione particolarmente significativa dell'immanenza della giustizia nella carità e dell'obbligatorietà della carità come di una giustizia superiore.
Infatti la carità non segue la spontaneità del sentimento, ma porta la tensione esigente del diritto di Dio e di Cristo che urge in modo ineludibile (cf 2Cor 5,14).
[1] «La giustizia è la virtù per la quale con costante e perpetua volontà si attribuisce a ciascuno il suo» (S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 58, art. 1).
[2] Cf COZZOLI M., Virtù sociali, op. cit., pp. 7‑158.
[3] «La giustizia si fonda sull'amore, da esso promana e ad esso tende» (Giovanni Paolo II, Enciclica Dives in misericordia, 7, in Ench. Vat., 7, 900).
[4] Cf Ivi, 14, in Ench. Vat., 7, 937‑949
[5] Concilio ecumenico Vaticano II, Decreto sull'apostolato dei laici «Apostolicam actuositatem», 8, in Ench. Vat., 1, 946.
[6] Cf S. Tommaso, S. Th., II‑II, q. 117, art. 5.
[7] «Non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8, in Ench. Vat., 1, 946).
[8] Paolo VI, Discorso per la giornata dello sviluppo (Bogotá, 23 agosto 1968), in Acta Apostolicae Sedis, 198 (1968), 626‑627. I Padri, la teologia e il magistero hanno richiamato continuamente questa ineludibile esigenza di giustizia nella carità: cf PIZZORNI R., Carità e giustizia, Pontificia Università Lateranense ‑ Città Nuova, Roma 1980, pp. 193ss, COZZOLI M., Virtù sociali, op. cit., p. 69.
[9] CLEMENS R., A propos des notions de libération de la personne humaine et de société, in Revue nouvelle, 4(1946), p. 650.
[10] ROSMINI A., Filosofia del diritto, Napoli 1856, vol. I, p. 141.
[11] «Quando "giustizia" è attribuita a Dio, nell'Antico Testamento, è soprattutto l'aspetto positivo di salvezza... che è messo in risalto» (BONORA A., Giustizia, in Nuovo dizionario di teologia biblica, op. cit., p. 719). «Quando Dio è chiamato "giudice giusto" (Sal 9,9; 96,13; 98,9) si vuol esprimere non tanto una giustizia distributiva, ma piuttosto il compito regale che Dio esercita liberando i deboli, gli oppressi, i poveri» (Ivi, p. 720).
[12] Cf XXXII Congregazione generale della Compagnia di Gesù, Decreto IV, n. 29.
[13] Della novità storico‑salvifica e della mediazione teologica della giustizia ho ampiamente trattato nella voce Giustizia, in Nuovo dizionario di teologia morale, Cinisello Balsamo 1990, pp. 505‑511 e in Virtù sociali, op. cit., pp. 52‑56.
[14] Cf Giovanni Paolo II, Enciclica Dives in misericordia, 12.14, in Ench. Vat., 7, 924‑927.937‑949.
[15] Cf GS n. 39, in Ench. Vat., 1, 1440‑1441.
[16] Cf Sinodo dei vescovi, Documento su «La giustizia nel mondo» Convenientes ex universo (30 novembre 1971), in Ench. Vat., 4, 1243, cf Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 31, in Ench. Vat., 5, 1623; Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 15, in Ench. Vat., 6, 1218.
[17] Apostolicam actuositatem, 4, in Ench. Vat, 1, 930
[18] Sinodo dei vescovi, Convenientes ex universo, in Ench. Vat., 4, 1287.
[19] Giovanni Paolo II, Enciclica Laborem exercens, 8, in Ench. Vat., 7, 1424.
[20] Cf HERIBAN J., L'amore è la pienezza della legge (Rm 13,10), in Amerai Dio e il prossimo tuo, op. cit., p. 174.

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