venerdì 4 aprile 2008

Seconda Meditazione

1.2 La carità accogliente e obbediente del Figlio

L'evento Gesù, rivelazione della carità fontale e donante del Padre, è anche testimonianza della carità accogliente e obbediente del Figlio.
Gesù vive tutta la sua vita come un riceversi dal Padre, espressione della totale reciproca immanenza (cf Gv 10,30; 10,38; 14,9), che suscita la fedeltà del Figlio: «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7‑9); «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera» (Gv 4,34; cf Gv 5,30; 6,38; 8,29); «Io non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo... Io faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,28‑29).
Fino all'ora suprema della croce: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Questa relazione costitutiva e dinamica al Padre dà un'impronta di proesistenza a tutta la vita di Gesù.
Il con essere con il Padre muove come pro essere tutta la sua esistenza. Il dono del Padre che egli esprime è il suo farsi dono. L'autodonazione al Padre per la vita del mondo, è espressione dell'unico pro essere per Dio e per gli uomini.
Gesù vive l'amore filiale al Padre (cf Gv 14,31) e «resta nel suo amore» (Gv 15,10), adempiendo la sua volontà: «Io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14,31).
La volontà del Padre è l'offerta sacrificale della sua vita per gli uomini (cf Gv 6, 39‑40)[1]. Cioè, per amore del padre, Gesù si offre per gli uomini, vive per essi come in lontananza da lui[2].
In questo pro essere sacrificale d'amore, Gesù vive la comunione di reciproca immanenza col Padre nell'alterità più radicale, marcata dalla finitudine storica umana e drammaticamente provata nella derelizione della croce.
«L'unità di comunione perfetta tra Gesù e il Padre porta Gesù a realizzare il suo amore in quell'offerta di sé, nella passione, che sottolinea la distinzione, la sua alterità dal Padre, nella più totale "estasi d'amore" per cui il Figlio, per amore del Padre, offre se stesso, perdendo se stesso»[3].
La croce è la storia della libertà d'amore del Figlio, ma anche del Padre. La «consegna» che il Padre fa del Figlio sulla croce è l'autoconsegna cosciente e libera del Figlio «per noi» (cf Tt 2,14), «in riscatto per tutti» (1Tm 2,6; cf Gal 1,4; Ef 5,25): «Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2).
In questa offerta sacrificale sulla croce si consuma la fedeltà di Gesù al Padre: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30). Questo «tutto» avviene nell'estrema lontananza da lui, nella solidarietà fino alla morte con i peccatori (cf Fil 2,8).
Il Crocifisso «prende su di sé il carico del dolore e del peccato passato, presente e futuro del mondo, entra fino in fondo nell'esilio da Dio, per assumere quest'esilio dei peccatori nell'offerta e nella riconciliazione pasquale»[4].
Per liberare gli uomini dalla maledizione, Cristo si è fatto solidale in questa maledizione: «Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: "Maledetto chi pende dal legno" perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la legge» (Gal 3, 13‑14).
Il Padre volle rendere Cristo solidale con noi peccatori, per fare diventare noi solidali con la sua obbedienza e la sua giustizia: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
La solidarietà del Figlio di Dio con i figli degli uomini nella maledizione del peccato, fino alla morte, porta questi ad essere solidali anche nella sua risurrezione, infatti la risurrezione è il trionfo dell'amore della croce, la sua manifestazione salvifica.
E' la proclamazione che il perdersi nell'estrema derelizione della morte, non è la fine e il nulla, ma un nuovo inizio, una vita nuova, la libertà redenta.
Lo «stare fuori» della kenosi del Figlio dal Padre, la sua lontananza da lui nell'esilio dei peccatori, non ha significato la rottura della comunione con Lui, ma ha raggiunto il suo massimo.
E' in questa comunione che si è compiuta l'obbedienza sacrificale fino alla morte.
La morte non solo non ha potuto infrangere la comunione intratrinitaria, ma l'ha rivelata in tutta la sua potenza unitiva. Potenza che è esplosa a Pasqua come esaltazione dell'Amore crocifisso, risurrezione della vita consegnata alla morte per amore.
La risurrezione è l'affermazione dell'amore più forte della morte. Forte della indistruttibilità della comunione del Figlio col Padre; più forte di ogni iniquità, ingiustizia e odio umani.
Assunti nell'esilio della croce dall'amore del Figlio per il Padre, gli esiliati da Dio sono ricondotti dal Risorto alla comunione col Padre.
«Qualunque sia l'allontanamento dell'uomo peccatore nei riguardi di Dio, esso è sempre meno profondo del distanziarsi del Figlio rispetto al Padre nel suo svuotamento kenotico (Fil 2,7) e della miseria dell'abbandono (Mt 27, 46)»[5].
Questo allontanamento è assunto e revocato dal Crocifisso e Risorto nell'atto più grande dell'amore donato sulla croce e ricevuto nella risurrezione.
Gesù risorge come il «primogenito» (Col 1,18), il «primo» (At 26,23), la «primizia» (1Cor 15,20), di tutti gli uomini solidali alla sua morte redentiva.
«Amare il Padre in modo singolare ed unico, da parte del Figlio Gesù, è insieme "amare gli uomini sino alla fine" (Gv 13,1) ed il ritorno di Gesù al Padre nell'ora suprema in cui egli adempie la sua volontà, in atto supremo di libertà e di amore, è un ritorno non del Figlio solo, ma del Figlio con coloro che il Padre gli ha affidato, perché siano uno, nell'amore, come il Padre è unito al Figlio (Gv 17,11)»[6].

1.3 La carità donata e unificante dello Spirito

L'evento Gesù, storia della carità del Padre e del Figlio, è anche storia che rivela la carità di Dio come Spirito. L'amore fontale e donante del Padre, accogliente e testimoniante del Figlio, si realizza nella comunione effusiva dello Spirito Santo.
Già nell'antica economia lo Spirito esprimeva Dio stesso nella sua azione ad extra, nel suo libero aprirsi al mondo e alla storia[7].
Cioè nella creazione, nella vita di Israele, nell'ispirazione dei profeti.
Il tempo messianico era promesso e atteso come tempo dell'effusione dello Spirito.
Gesù, il Messia, è il Cristo, l'Unto dallo Spirito, il consacrato da Dio «in Spirito Santo e potenza» (At 10,38).
Gesù, generato per opera dello Spirito Santo (cf Mt 1,18‑20; Lc 1,35), riceve lo Spirito nel battesimo (Mt 3,16). La sua potenza lo riempie e ne sorregge e dirige l'azione (cf Lc 4,14‑18; Mt 12,35; Mc 1,12), fino all'ora decisiva della Pasqua.
E' nello Spirito che il Figlio si offre al Padre sulla croce: «Con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9,14). Nello e per lo Spirito Gesù Cristo, l'Unto di Dio, consuma il suo amore sacrificale per il Padre e per gli uomini. La consegna del Figlio alla morte per amore è, per Giovanni, la consegna nella morte dello Spirito al Padre: «Chinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30).
E' per questa consegna che il Figlio entra nella più profonda alterità dal Padre nell'esilio dei peccatori: «Il venerdì santo, giorno della consegna che il Figlio fa di sé al Padre e che il Padre fa del Figlio alla morte per i peccatori, è il giorno in cui lo Spirito è consegnato dal Figlio al Padre suo, perché il Crocifisso resti solo, nella lontananza da Dio, nella compagnia con i peccatori»[8].
La lontananza dal Padre nella morte per la consegna dello Spirito, ma nell'assoluta comunione espressa dall'amore sacrificale del Crocifisso, rende possibile:
- l'esilio del Figlio nell'alterità del mondo,
- la discesa agli inferi nella solidarietà con i prigionieri del peccato e della morte,
- il suo divenire maledizione nella terra dei maledetti, perché questi ritrovino in lui la via della benedizione e della riconciliazione con il Padre[9].
E' la via aperta nel giorno escatologico di Pasqua, il «terzo giorno», con la risurrezione del Crocifisso nella potenza dello Spirito: «Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello Spirito» (1Pt 3,18).
Lo Spirito, consegnato dal Figlio al Padre sulla croce, è donato dal Padre nella risurrezione come principio d'esaltazione e glorificazione dell'Umiliato. Gesù è «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4)[10].
La potenza dello Spirito opera nel Risorto, trasformando la sua condizione umana in maniera conforme alla sua dignità filiale, così che egli diventa «Spirito datore di vita» (1Cor 15,45).
Ricevuto dal Padre nella risurrezione, lo Spirito è donato dal Risorto (cf Gv 7,39) come principio della benedizione e riconciliazione di tutti gli uomini nella comunione col Padre: «Questo Gesù Dio l'ha risuscitato... Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso» (At 2, 32‑33)[11].
Il Figlio riceve nell'ora pasquale lo Spirito dal Padre. L'estraneazione della croce è così superata dalla comunione nello Spirito Santo.
Per il dono dello Spirito, il Crocifisso e Risorto entra nella comunione della gloria del Padre.
Per l'effusione dello Spirito, ricevuto dal Padre, sui lontani, con cui il Figlio è divenuto solidale nella lontananza della croce, tutti gli uomini sono riconciliati col Padre nella vicinanza dell'unico Spirito: «In Cristo Gesù voi che eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace... Per mezzo di lui possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,13‑14.18).
Il Padre dona lo Spirito al Figlio, risuscitandolo dai morti. Il Figlio effonde lo Spirito sugli uomini riconciliandoli col Padre. Il dono dello Spirito dal Padre al Figlio e per il Figlio agli uomini è il vincolo della comunione del Padre e del Figlio e della partecipazione degli uomini a questa comunione.
[1] Cf BORDONI M., La dimensione della carità nella cristologia e nella teologia trinitaria, in La Carità. Teologia e pastorale alla luce di Dio‑Agape, op. cit., p. 85. Anche BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III pp. 130‑131.
[2] «Il Cristo sofferente assume su di sé, in modo a lui proprio, l'esperienza della lontananza da Dio vissuta dai peccatori» (Commissione Teologica Internazionale, Documento Quaestio de Jesu Christo. Quaestiones selectae de christologia, 20 ottobre 1980, IV/7, in Ench. Vat., 7, 682).
[3] BORDONI M., La dimensione della carità, op. cit., p. 84. (Ivi, p. 91).
[4] FORTE B., Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Cinisello Balsamo 1985, p. 36.
[5] Commissione Teologica Internazionale, Quaestio de Jesu Christo, op. cit., IV/8, in Ench. Vat., 8, 683.
[6] BORDONI M., Gesù di Nazareth. Signore e Cristo, vol. II: Gesù al fondamento della cristologia, Herder-Università Lateranense, Roma 1982, p. 308.
[7] Cf Ivi, pp. 306.308.
[8] FORTE B., Trinità come storia, op. cit., p. 38. Cf anche CODA P., Per una ontologia trinitaria della carità, in Lateranum, 51(1985), p. 75.
[9] Cf FORTE B., Trinità come storia, op. cit., pp. 38‑40. «Nei testi intertestamentari l'esilio è il tempo dell'assenza dello Spirito, percorso dall'attesa dell'effusione messianica dello Spirito stesso: cf Salmi di Salomone 17,42; Henoch etiopico 42,2; 62,2; Testamento di Giuda 24,2; Testamento di Levi 18,7. Il racconto pasquale mostra un Messia che entra neH'esilio dell'assenza dello Spirito per riempire poi quest'esilio dell'effusione nuova del dono dello Spirito» (Ivi, p. 38).
[10] «Paolo continuamente, nelle sue lettere, attribuisce la glorificazione del Cristo allo Spirito attraverso il linguaggio della "potenza di Dio" (dynamis) (1Cor 6,14; 2Cor 13,4; Ef 1,18‑20)» (BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, p. 133).
[11] Cf BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, p. 134; FORTE B., Trinità come storia, op. cit., p. 34.

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