lunedì 21 aprile 2008

La carità di Dio in noi (3)

2.1 La carità esemplare di Cristo

Vivere la novità cristiana dell'amore vuol dire innanzitutto amare «come» Cristo: egli è la norma[1].
Amare «come» Cristo è ridisegnare su di lui la virtù morele dell'amore («come io... così voi»: Gv 15,12), nel modo in cui Cristo ha modellato il suo sull'amore del Padre («come il Padre... così io»: Gv 15,9)[2].
Amare, per il cristiano, vuol dire aprirsi alla sequela e all'imitazione della carità di Cristo. Cristo è il maestro, il modello e il principio della carità.
La carità prende in Cristo la forma della proesistenza.
La proesistenza di Cristo è la libertà che si espone totalmente nell'amore. Libertà che non ripone in sé il proprio centro, ma nell'amore[3].
In Gesù la libertà coincide con la carità, così che Cristo ha il volto della carità e la carità assume i lineamenti di Cristo.
Nell'amore con cui egli ha effettivamente amato si rivela a noi la norma dell'amore.
Questo traspare dalle pagine del vangelo e dalla testimonianza dei discepoli. Rapportandosi a esse, in particolare all'evento sommamente normativo della croce, questo «come» della carità di Cristo si è venuto concretizzando nella storia.
Le espressioni della carità di Cristo, in cui essa si offre in modo normativo a noi, sono:
- l’oblatività pura dell'amore che «ha dato se stesso per me» (Gal 2,20), «per noi» (Tt 2,14; Ef 5,2), «per i nostri peccati» (Gal 1,14), «in riscatto per tutti» (1Tm 2,6; cf Mt 20,28); dell'amore che «offre la vita per le pecore» (Gv 10,15), che «è morto per tutti» (2Cor 5,14.15);
- il servizio nella kenosi dell'amore che «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» e «umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7.8);
- la mansuetudine indifesa dell'amore che «oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta» (1Pt 2,23);
- l'ampiezza sconfinata dell'«amore più grande» (Gv 15,13), dell'amore «sino alla fine» (Gv 13,1), dell'amore che «dona la vita» (Gv 15,13; 1Gv 3,16).
Se queste espressioni rappresentano le coordinate dell'«amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3,19), quasi un tentativo di tracciarne l'eccedente «ampiezza, lunghezza, altezza e profondità» (Ef 3,18), con Paolo entriamo più strettamente nella configurazione normativa della carità esemplare di Cristo, evidenziando gli atteggiamenti in cui essa si esprime nell'inno all'amore: «La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4‑7)[4].
Notiamo come la carità sia qui caratterizzata non in modo astratto ma dall'azione che suscita[5]. Si tratta non di attributi o espressioni di un amore in generale, ma di modi di essere di una persona.[6].
La carità che Cristo è in se stesso, nella sua testimonianza di vita è la carità che io devo praticare e che la libertà è chiamata a testimoniare.
Non si tratta per il cristiano di un'altra carità, ma della carità che ha la forma e la misura dell'amore di Cristo. «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). «Rivestitevi dunque... di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente... Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità» (Col 3,12‑14; cf Rm 12,9‑13; Fil 2,3‑4): è il dover‑essere dell'uomo nuovo in Cristo, battezzato nella sua morte e risurrezione, che ne riveste e riproduce la carità in tutti gli atteggiamenti che la esprimono (cf Col 2,12‑4,1).
La nostra libertà è la sua carità.
Non siamo, dunque, chiamati a una carità qualunque, ma alla carità di Cristo: «L'amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti... Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5,14‑15).
Nel contempo, siamo chiamati alla stessa carità di Cristo verso i fratelli: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).
Il «come» Cristo dell'amore significa che la carità di Cristo è esemplare in tutta la sua radicalità. Non si dà una carità minimale: una carità che si accontenta, sottraendosi alla tensione oblativa, kenotica dell'amore di Cristo.
Né questa concerne soltanto taluni cristiani nella Chiesa, cioè i chiamati alla perfezione e, perciò, alla pratica dei consigli evangelici. Senza obbligo, invece, per quanti mirerebbero solo a salvarsi l'anima.
Non ci sono due carità: una ordinaria, per questi ultimi, e una straordinaria, per vocazioni speciali.
C'è una sola carità di Cristo che chiama tutti alla sua imitazione e alla sua sequela.
Chiaramente ciascuno all'interno della propria vocazione, secondo il proprio carisma, nell'adempimento del proprio ministero.
Ciò non deve lasciare spazio a sensi d'impotenza e di sfiducia, perché[7] «Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20). Non possiamo dimenticare che non siamo noi ad amare, ma è Cristo che dilata il nostro cuore, riempiendolo del suo amore che ci fa capaci di amare «come» lui.
Non è una prestazione umana, ma è un dono, e come tale va invocata e intensificata nella preghiera. E’ per questo che l'Apostolo «piega le ginocchia davanti al Padre» e lo prega per i suoi cristiani: «perché vi conceda, secondo i tesori della sua gloria, di irrobustirvi grandemente nell'uomo interiore grazie al suo Spirito, di ospitare il Cristo nei vostri cuori per mezzo della fede, affinché, radicati e fondati nell'amore, riusciate ad afferrare, insieme a tutti i santi, la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, cioè a conoscere l'amore del Cristo che trascende ogni conoscenza e così vi riempiate della totale pienezza di Dio» (Ef 3,14‑19).
L'esigente carità del Cristo, che sorpassa ogni umana potenzialità, è possibile come dono del Padre, grazie al suo Spirito.
L'intensità della carità è data essenzialmente non dalla prassi, ma dalla preghiera e dalla fedeltà alla grazia. Se il suo spessore in noi è debole, «Dio più grande del nostro cuore» (12Gv 3,20).
La radicalità e totalità della carità di Cristo è altresì possibile per la sua crescita intensiva in noi. Essa non è una conquista una volta per sempre né un ideale impossibile, perché, c'incoraggia sant'Agostino, «la carità nasce per crescere in perfezione»[8].
Ciò che conta allora non è poter dire: io sono perfetto nella carità, ma «io cammino nella carità» (Ef 5,1), ossia io sono in una libertà d'amore di Cristo.
Questa libertà dice insieme fedeltà e conversione permanente alla carità di Cristo che, per la sua grandezza, mi si presenterà sempre come raggiunta e ancora da raggiungere.
La carità «come» Cristo è una disponibilità rinnovata a coglierne e tradurne l'appello, nei modi realmente e quotidianamente possibili.
[1] MAGGIONI B., Amatevi come io vi ho amato, op. cit., p. 160.
[2] WARNACH V., Amore, op. cit., p. 54.
[3] SCHURLANN H., cit. in BORDONI M., La dimensione della carità, op. cit., p. 86.
[4] Per un approccio analitico cf VANNI U., Un inno all'amore che è anche una via (1Cor 13), in Amerai Dio e il prossimo, op. cit., pp. 186‑193.
[5] Cf La Bibbia di Gerusalemme, Bologna 1974, p. 2472.
[6] PENNA R., Solo l'amore non avrà mai fine, op. cit., p. 29.
[7] ROTTER H., Amore, in Dizionario li etica cristiana, op. cit., p. 40.
[8] S. Agostino, Tractatus in epistolam Joannis ad Parthos, 5, 4; PL 35, 2014.

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