venerdì 11 aprile 2008

Seconda meditazione

1.2. La carità effusa nei nostri cuori

L'altro «luogo» d'incontro della carità di Dio è il battesimo e per esso tutti i sacramenti della grazia. La carità non ci è soltanto configurata dalla croce di Cristo. Essa non ci sta semplicemente davanti come modello da contemplare e riprodurre nella vita cristiana e come referente di valori e normativo della libertà morale. «La carità di Dio è stata effusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
La carità di Dio, che si è manifestata nella croce di Cristo, è effusa dal Risorto, per il dono dello Spirito, nel cuore dei credenti. La missione rivelatrice e meritoria del Figlio è portata a compimento dalla missione interiorizzatrice ed edificatrice dello Spirito. «L'amore di Dio, del "Dio dell'amore", che è giunto a noi nell'amore di Cristo, si partecipa come la "carità dello Spirito" »(Rm 15,30)[1].
La carità sussistente in Dio, lo Spirito Santo che procede dall'amore del Padre e del Figlio e donato a noi dal Padre per mezzo del Risorto[2], è in noi carità dono costitutiva del nostro essere figli e forza per il nostro dover‑essere come libertà di carità. Costituiti dallo Spirito nella corrente d'amore che unisce il Padre e il Figlio (cf Gv 14,20) siamo fatti capaci di amare: «Questo amore trinitario, se così possiamo dire, desta e opera la nostra carità»[3].
Configurato in modo ontologico a Cristo, il nostro essere «trova il suo statuto ontologico nella forma di esistenza del Figlio che si esprime... come dono che viene dal Padre, che si accetta come dono e che si realizza come risposta vivente a questo dono»[4].
In altre parole, l'essere pro‑esistente del Figlio rende, per consacrazione battesimale, anche la nostra vita pro‑esistente. Il nostro uomo vecchio e carnale, egoisticamente centrato su se stesso, è convertito nell'uomo nuovo e spirituale, ricreato nella carità di Cristo. Questa è insieme la nuova essenza che definisce l'essere e i nuovi valori che normano e muovono la libertà del cristiano.
Il vangelo della carità, quale si è manifestato nella croce di Cristo, è parola e «spirito di vita» (Gv 6,63) che penetra in profondità il nostro essere, disponendolo al dover‑essere di carità e abilitandolo alla carità della croce.
La carità dello Spirito in noi è la carità testimoniata dalla croce di Cristo: «Lo Spirito grida a noi, attraverso l'evangelo, la carità di Cristo e ci attira ad essa»[5].
La Parola esprime lo Spirito e lo Spirito interiorizza la Parola: il vangelo della carità rivela a noi la carità dello Spirito e la carità dello Spirito approfondisce in noi il vangelo della carità. Senza lo Spirito la croce resta chiusa nel suo passato, potendo incidere solo come memorabile esempio.
Per lo Spirito del Crocifisso‑Risorto, la croce entra nella storia e si fa presente nell'oggi del cristiano e della Chiesa: la carità del Crocifisso ci raggiunge personalmente, pervadendo il nostro essere e il nostro agire[6].
La carità di Cristo diventa, così, la carità del cristiano.
Ciò, da un punto di vista morale ha due essenziali implicazioni.
A. La prima è che il vangelo della carità è la nuova legge o legge della grazia che lo Spirito scrive nel cuore dell'uomo. La scrive nel profondo dell’essere nuovo in Cristo e conformazione filiale col Padre, che suscita il dover‑essere d'amore del Crocifisso.
La carità morale è irradiazione esigente della carità ontologica: questa muove come amore tutta la libertà del cristiano. Ciò comporta che la carità non possa considerarsi come un dovere facoltativo e riducibile per il cristiano. La conformazione battesimale alla carità pasquale di Cristo significa che tutta la sua carità diventa la nostra carità. La carità di Cristo è fortemente esigente: ci prende totalmente e c'incalza (cf 2Cor 5,14).
B. La seconda implicazione è che la carità della croce è possibile: per quanto esigente e sofferta, essa è intensivamente realizzabile. Perché il cristiano non conta su di sé, ma sull'azione liberante e abilitante dello Spirito. La carità di Cristo in noi non è opera nostra ma «frutto dello Spirito» (Gal 5,22): «Dio ci ha dato uno Spirito di carità» (2Tm 1,7).
Virtù teologale, la carità non è acquisita dall'uomo ma infusa dalla grazia. Lo Spirito spoglia il cristiano dell'uomo vecchio e carnale, sottraendolo al dominio egoistico dell'io, e gli dà l'essere e il dover‑essere d'amore dell'uomo nuovo e spirituale. «Lo Spirito di Cristo infatti penetra interiormente l'uomo, diffondendo l'amore nei cuori (Rm 5,5)[7].
Già sul piano umano, noi vediamo come non è possibile amare, e così pervenire alla libertà, senza essere amati: è attraverso autentiche esperienze d'amore che l'uomo supera l'egocentrismo e il narcisismo infantile e raggiunge, nell'apertura dell'amore, la maturità dell'adulto.
Dalla storia della salvezza noi sappiamo come l'uomo è prepotentemente condizionato dalla forza devastante del peccato, che è però infranta dall'amore del Crocifisso‑Risorto, donato a noi per il dono dello Spirito[8].
Nello Spirito noi facciamo la straordinaria esperienza di essere amati da Dio, «l'amore col quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26), e perciò di essere costituiti amanti.
E questo il cristiano: un amante perché amato!
Amante dell'amore stesso di Cristo, che lo costituisce e abilita alla sua carità. Nessun egoismo, nessun odio, nessuna ingiustizia, per quanto grandi, resistono a questo amore. Costituita nell'amore del Crocifisso Risorto, in esso la libertà cresce e si rafforza, come progressivo lasciarsi fare dalla grazia liberante e abilitante dello Spirito.
L'effusione battesimale dell'amore di Dio nei nostri cuori, per il dono dello Spirito, introduce il cristiano nell'economia sacramentale della carità dono, efficacemente significata da ciascun segno della grazia.
Anzitutto i sacramenti che completano l'iniziazione cristiana: la confermazione nella carità battesimale, che suscita la missione e la testimonianza, e l'eucaristia.
Nel segno del pane e del vino, Gesù ha racchiuso tutta la carità della croce: è il sacramento del corpo dato e del sangue versato «per noi», ossia dell'amore senza limiti che porta Gesù a offrire la sua vita.
Celebrare nel segno del pane spezzato e del vino condiviso il memoriale della Pasqua significa entrare in contemporaneità con essa e, quindi, partecipare in modo vitale della carità del Crocifisso Risorto. L'eucaristia è assai più del ricordo di un amore insuperabile e della sua rivelazione. È la sua attuazione e comunicazione sostanziale.
Colui che si dà attraverso i segni del pane e del vino è Gesù stesso. Egli dona non qualcosa di sé, ma tutto se stesso: il suo riceversi dal Padre e donarsi a lui per noi, che definisce come carità la sua vita. Nel sacramento del corpo e del sangue di Cristo si compie la preghiera di Gesù al Padre «perché l'amore con cui mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26).
Questa inerenza eucaristica di Cristo in noi significa la nostra partecipazione all'amore del Padre per il Figlio e la nostra abilitazione a tradurre la fedeltà obbediente e testimoniante di Cristo. Nel memoriale della Pasqua la carità del Crocifisso passa nella nostra vita, operando un decentramento dell'io del cristiano, che lo costituisce in libertà e fedeltà di abnegazione, oblatività e comunione.
La comunione con il corpo e il sangue di Cristo per noi significa il nostro diventare pane spezzato, offerto a Dio per la vita del mondo[9].
Non dimentichiamo che «l'amore che ci è comunicato ha la sua sorgente nella vita trinitaria[10].
L'eucaristia è il sacramento della carità di Dio sgorgante dalla croce di Cristo, che intensifica la nostra carità come essere ecclesiale e sociale e dover‑essere d'amore in tutte le espressioni ed esigenze operative.
L'effusione pneumatica dell'amore di Dio è completata dagli altri sacramenti che segnano il vissuto cristiano. In relazione al peccato che interferisce come deviazione o inversione del vissuto caritativo cristiano, il sacramento della penitenza significa la conversione alla carità e la riconciliazione in essa.
In rapporto poi a condizioni o stati di vita del cristiano, la carità viene specificamente partecipata dal sacramento dell'unzione degli infermi: come singolare comunione all'amore sofferente e pieno di speranza del Crocifisso; dal sacramento dell'ordine sacro: come ministeriale conformazione alla carità sacerdotale di Cristo; e dal sacramento del matrimonio: come partecipazione dell'unione dell'uomo con la donna alla carità sponsale di Cristo e della Chiesa.
Siamo nell'economia della grazia, non della legge!
La carità non è precetto subìto coattivamente: è dono di salvezza, che muove come compito e fedeltà la libertà. Carità è essere amati da Dio: amore di Dio che costituisce amanti.
Amare è irradiare ed effondere la carità di Dio che è in noi: è fedeltà a Dio, al suo amore; e fedeltà a se stessi: all'amore di Dio in me, a ciò che il suo amore ha fatto di me[11]. E’ per questo che ogni rifiuto d'amare non è mera trasgressione di un comandamento, ma atto che disconosce (in sé) e decostituisce (in me) dell'amore di Dio.
«Noi amiamo perché egli ci ha amati» (1Gv 4,19): l'amore è interiore esigenza dell'essere amati da Dio, che muove come fedeltà, habitus di carità, la nostra libertà.
[1] SCHLIER H., Per la vita cristiana, op. cit., p. 90.
[2] Cf BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, p. 620.
[3] SCHLIER H., Per la vita cristiana, op. cit., p. 90.
[4] BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, p. 541.
[5] SCHLIER H., Per la vita cristiana, op. cit., p. 91.
[6] BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. II, p. 454.
[7] BORDONI M., Gesù di Nazareth, op. cit., vol. III, p. 548.
[8] GEVAERT J., Il problema dell'uomo. Introduzione all'antropologia filosofica, Torino‑Leumann 19814, p. 168.
[9] DAGENS C., L'Eucharistie, sacrement de la charité, in La charité aujourd'hui, op. cit., pp. 156‑158.
[10] Ivi, p. 158.
[11] «Il possesso e l'esercizio della carità è per i figli di Dio... una necessità interna del loro stesso essere..., animato non più dal néphesh adamitico, ma da un nuovo soffio di vita che è il pnèuma di carità» (SPICQ C., L'«agape» nella vita e nella morale cristiana, in Asprenas 15(1968), p. 125).

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